Allevamenti e Green New Deal
Se la stessa attenzione all’ambiente che troviamo nelle stalle fosse replicata in tutte le altre attività dell’uomo, il Green New Deal lanciato da Ursula von der Leyen avrebbe molte più possibilità di successo.
Arrivare al 2050 in condizioni di neutralità climatica. Ovvero lavorare affinché le attività dell’uomo abbiano impatto zero sui cambiamenti climatici. È l’impegnativo “Green New Deal” che si è data la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Tanto più impegnativo dopo i deludenti risultati degli ultimi incontri del Cop 25 a Madrid, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici. Ma la presidente della Commissione europea non si scoraggia nemmeno quando le si ricorda che l’Europa può fare poco, visto che con le sue emissioni contribuisce solo per il 10% ai cambiamenti climatici. Gli altri, dice con convinzione la presidente Ue, si accoderanno e adotteranno a loro volta la filosofia del green deal.
Che la lotta ai cambiamenti climatici sia necessaria ne sono tutti, o quasi, convinti. L’importante ora è capire come si intenda raggiungere l’obiettivo. Si parla giustamente dei trasporti e quindi di aerei, auto, camion, navi da crociera. Si invoca una svolta verso la mobilità elettrica, ma la strada è ancora lunga. Qualcuno ricorda i progressi nelle energie rinnovabili che in alcune zone del mondo (come addirittura il Texas) stanno prendendo il sopravvento sul carbone, e via di questo passo. Ma con meno convinzione di quanta ne sarebbe necessaria.
Se la stessa attenzione all'#ambiente che troviamo nelle stalle fosse replicata in tutte le altre attività dell'uomo, il #GreenNewDeal lanciato da Ursula #VonDerLeyen avrebbe molte più possibilità di successo. Condividi il TweetL’atteggiamento cambia quando ad essere chiamata in causa è l’agricoltura con i suoi allevamenti, specie se “intensivi”. Con enfasi si citano numeri che parlano di esorbitanti consumi di acqua per produrre un chilo di carne. Con toni apocalittici si indicano terre depauperate per produrre alimenti e mangime per il bestiame. Con allarmismo si denunciano le emissioni da parte dei ruminanti di gas climalteranti (brutto neologismo che include fra gli altri metano e anidride carbonica). Ed ecco pronta la soluzione a tutti i guai del pianeta: ridurre, o meglio azzerare, il consumo di carne e svuotare gli allevamenti, come sostengono alcuni “illuminati” sedicenti esperti.
Ma le cose stanno davvero così? Prendo in prestito le considerazioni di “Bay Nature”, associazione ambientalista californiana che da tempo di occupa della tutela della straordinaria biodiversità che si può incontrare nella Baia di San Francisco, negli Usa. Fra le sue attività, quella di favorire la divulgazione delle conoscenze in campo naturalistico, pubblicando su carta e sul Web i risultati delle ricerche condotte sui temi ambientali. Il tutto appoggiandosi in gran parte sul contributo dei suoi sostenitori. Così nelle sue pubblicazioni si può incontrare un approfondimento sulle Lontre di mare e sul loro ruolo di sentinelle ambientali, o conoscere il progetto per ripopolare di ostriche la Baia di San Francisco utilizzando le valve di scarto.
Sfogliando i vari contributi scientifici si incontra poi un articolo che parla del ruolo del pascolo e dell’allevamento dei bovini. Per scoprire che con la loro presenza gli animali favoriscono la fertilità del terreno, che può così produrre maggiori quantitativi di massa vegetale che poi alimenta gli stessi animali. Pascoli più rigogliosi sono allo stesso tempo una perfetta “macchina” per catturare anidride carbonica. Risultato: l’impronta carbonio, il “carbon footprint” per dirla con un anglicismo alla moda, risulta positiva. In altre parole, è più il carbonio trattenuto dal terreno di quello emesso in atmosfera.
E non è finita qui. La presenza di animali e allevamenti è a sua volta strumento di controllo dell’ambiente, evitando che specie vegetali non autoctone prendano il sopravvento. Come pure che uno sviluppo incontrollato della vegetazione possa favorire eventi di grave pericolo, ad esempio gli incendi, dei quali la California conserva recenti ferite.
La presenza di #animali da #allevamento e l'oculato impiego delle loro #deiezioni è indispensabile per migliorare la #fertilità dei #terreni, riducendo la necessità di utilizzare #concimi chimici. Condividi il TweetTornando all’impronta di carbonio, le evidenze ottenute in California non sono diverse da quelle riscontrate in Italia, sia nei pascoli sia nelle colture intensive. Lo dimostrano alcune ricerche condotte in Pianura Padana utilizzando tecniche agronomiche opportune, come la semina su sodo. I numeri emersi dalle ricerche del Crpa (Centro ricerche produzioni animali) sulla coltivazione del sorgo testimoniano che il bilancio del carbonio anche in questo caso è positivo. Si conferma inoltre come la presenza degli animali e l’oculato impiego delle loro deiezioni sia indispensabile per migliorare la fertilità dei terreni, riducendo al contempo la necessità di utilizzare concimi chimici.
I problemi arrivano, si potrebbe obiettare, quando dal pascolo e dai sistemi estensivi, come quello citato da Bay Nature, si passa alle “formule” intensive dei nostri allevamenti. Lo pensano in molti, sospinti nella loro convinzione da campagne di comunicazione (e di marketing) che descrivono gli allevamenti come luoghi dove gli animali sono ammassati gli uni sugli altri, in condizioni di forte disagio, “bombardati” da farmaci per sopportare condizioni di vita impossibili.
Negli #allevamenti si sperimentano con successo #mangimi e #alimenti che riducono le #emissioni gassose e la dispersione di #azoto. Condividi il TweetAl contrario, gli allevamenti sono attenti al benessere degli animali (esistono a questo proposito norme precise), l’uso dei farmaci è fatto solo in casi di assoluta necessità e con il controllo veterinario (recente è l’introduzione della ricetta elettronica, che consente di monitorare ogni intervento). Il tutto orientato a un’efficienza che si traduce in un minore impatto ambientale e in una produzione più sostenibile. Le evidenze scientifiche non mancano. Inoltre negli allevamenti si sperimentano con successo alimenti che riducono le emissioni gassose e la dispersione di azoto. E ciò che resta viene impiegato a fini energetici (il biogas ne è un esempio), prima di divenire un fertilizzante naturale.
Attenzione dunque ad attaccare sempre gli allevamenti. Infatti, se la stessa attenzione all’ambiente che troviamo nelle stalle fosse replicata in tutte le altre attività dell’uomo, il Green New Deal lanciato da Ursula von der Leyen avrebbe molte più possibilità di successo.