Uomo e bovino: alle origini del benessere animale
Gli aspetti etici e i pregiudizi sono, insieme a quelli salutistici, le ragioni per cui una crescente fascia della popolazione elimina la carne e il latte dalle proprie abitudini alimentari. Due sono i temi “delicati” su cui avviare un dialogo sereno, pacato e costruttivo: l’uccisone degli animali per cibarsene e il rispetto della dignità e dell’etologia (studio comparato del comportamento animale, ndr) riservata ai così detti “ruminanti da reddito”.
Ho recentemente avuto un dialogo con un convito e colto vegano che ha escluso dalla sua dieta carne e latte per queste ragioni e che nel testo successivo identificherò con il nome di fantasia di Giorgio. Lui contestava a me, onnivoro convinto, d’incoraggiare l’atto immorale di uccidere un animale per cibarsene e il fatto che imprigionarli negli allevamenti “industriali” sia eticamente esecrabile.
Ho cercato di argomentare la mia scelta utilizzando punti di vista filosofici e di biologia evolutiva, evitando d’incorrere negli scontri ideologici che caratterizzano questo tipo di discussioni a cui ci hanno abituato i social media e la televisione e che non portano a nulla.
Ho ricordato a Giorgio che io sono un medico degli animali e come tale la nostra mission è quella di curarli, di assicurargli benessere e salute. Quando, all’incirca 10.000 anni fa, l’uomo scelse di domesticare l’Uro (Bos primigenius), tra le innumerevoli specie selvatiche con le quali condivideva il territorio, lo fece perché aveva delle caratteristiche comportamentali che ne permettevano una reciproca e vantaggiosa convivenza.
All’uomo l’Uro forniva latte e carne e in cambio l’uomo assicurava all’Uro protezione dalle malattie e dai predatori e diffusione come specie sul pianeta. A differenza dei molti animali selvatici estinti e continuamente braccati da predatori, fame, sete e malattie. Nessuna specie vivente, ad eccezione dell’uomo, ha a cuore l’individuo, ma solo ed esclusivamente una prospera diffusione nell’incessante lotta per la sopravvivenza.
L’uomo scelse di domesticare l’Uro perché era etologicamente predisposto a farlo come il vivere in grandi gruppi sociali, la convivenza dei maschi con le femmine, l’accoppiamento promiscuo, l’avere una struttura gerarchica, il comportamento estrale, l’agilità limitata e il rapporto con l’uomo a distanza ravvicinata.
Nel corso del cammino che ha portato bovidi e uomo fino ad oggi l’allevatore ha compreso, sia per esperienza empirica che per scienza, che l’allevarli rispettando la loro etologia comportava una maggiore produzione di latte e carne, una migliore fertilità e una maggiore resistenza alle malattie; ovvero il rispetto delle cinque libertà, stigmatizzate dal British Farm Animal Welfare Council nel 1979, ossia dalla fame, dalla sete, del comfort, dalle malattie, di esprimere il naturale comportamento e dalla paura – che altro non sono che le “buone pratiche zootecniche”.
Nel caso dell’allevamento dei bovidi, quindi, etica e profitto sono sinergici e positivamente correlati. Allevatori che maltrattano i propri animali, che non danno loro cibo e acqua a sufficienza, che li fanno vivere in ambienti ostili e non ne curano le malattie sono semplicemente “cattivi allevatori”, che producono scarsi profitti dalla loro attività e pertanto sono negativamente giudicabili non solo dai vegani, ma anche dagli zootecnici.
Certamente quando si giudica il benessere di un allevamento lo si deve fare con gli “occhi” di un bovide e non con quelli degli uomini. I ruminantia hanno una percezione del benessere completamente diversa da quella dell’uomo e tutte le antropomorfizzazioni creano aspetti devastanti, come avviene ad animali come cavalli, cani, gatti e uccelli da gabbia – dove sicuramente essere domati e sellati, castrati, chiusi in un appartamento, privati dell’accoppiamento, sottoposti ad una selezione rivolta a somigliare sempre di più all’uomo e farli cibare di “crocchette” è forse molto meno rispettoso della loro etologia e della loro dignità di quando fa l’allevatore di ruminanti.
Certo è che anche l’essere stati scelti dall’uomo come animali da compagnia o da cibo ha assicurato a queste specie una importante diffusione sul pianeta e l’affrancamento dalla fame, dalla sete e dalle malattie. Ma per tutto ciò c’è un “prezzo da pagare”. Per gli animali da compagnia il vedere cancellata la loro dignità etologica e per gli animali da reddito, in certi casi, l’uccisione precoce. L’uomo poi ha riservato alle specie selvatiche il confinamento in aree sempre più restrette a artificiali e altri tipi di uccisioni indirette.
In conclusione, ritengo che sia necessario e urgente avviare un dialogo costruttivo con cittadini e medici per meglio definire tutti i pro e contro salutistici ed etici che ha l’allevare animali da reddito, per evitare scontri ideologici sterili e pericolosi che hanno caratterizzato buona parte delle discussioni fin qui attivate.
Alessandro Fantini
Alessandro Fantini è medico veterinario, Direttore responsabile del Webmagazine Ruminantia e Presidente della Società Italiana di Buiatria.