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Un mondo senza allevamenti non offrirebbe più cibo

C’è chi pensa che senza allevamenti il mondo avrebbe più cibo a disposizione, mentre è esattamente il contrario. Aspetti nutrizionali, salutistici, sociali, uso dei terreni marginali, dieta reale dei ruminanti, aspetti sociali e culturali… Un mondo senza allevamenti sarebbe molto più povero, e avrebbe solo più fame.

Poco più di una manciata di anni per arrivare al 2050 e saremo davvero in tanti. Per quella data, dice chi se ne intende di proiezioni demografiche, la Terra ospiterà almeno 9,7 miliardi di persone, due miliardi più di oggi. Non sarà solo merito della natalità, ma anche dell’allungamento dell’aspettativa di vita (oggi, a livello globale, è di 72,6 anni).

Ci saranno più bocche da sfamare e cambieranno le abitudini alimentari dei Paesi con economie emergenti e in sviluppo. Migliori condizioni economiche contribuiranno a far uscire dalla povertà fasce sempre più ampie di popolazione. Maggiori disponibilità economiche coincideranno con un aumento della richiesta di carne. È sempre accaduto, accadrà ancora. A questo punto è opportuno chiedersi se il mondo potrà soddisfare l’aumentata richiesta di cibo e in particolare di carne.

Sulla scia di movimenti d'opinione ispirati a una visione romantica del #MondoAgricolo, si corre il rischio di affamare il mondo che verrà. Come quando si punta il dito sugli #allevamenti. Condividi il Tweet

L’agricoltura ha già dato in passato ampia dimostrazione della capacità di rispondere alle maggiori richieste di alimenti. Ricerca, miglioramento genetico, innovazioni tecnologiche e colturali potranno ripetere il “miracolo”. Ma occorre scegliere la direzione giusta. Invece, sulla scia di movimenti d’opinione ispirati a una visione “romantica” del mondo agricolo, si corre il rischio di “affamare” il mondo che verrà.

Accade quando si punta il dito sugli allevamenti, accusandoli di “sprecare” cibo che potrebbe invece arrivare direttamente sul piatto, senza passare dalla bocca degli animali per diventare carne. Meglio allora mettere una tassa sulla carne (incuranti degli effetti che questo potrebbe avere) per scoraggiarne il consumo? O magari mettere al bando gli allevamenti per far credere di risolvere in un sol colpo i problemi di fame e cambiamenti climatici? Sarebbe una scelta rovinosa, della quale non sempre si ha piena coscienza. Vediamo perché.

Mettere al bando gli #allevamenti per far credere di risolvere in un sol colpo i problemi di #fame e #CambiamentiClimatici sarebbe una scelta rovinosa, della quale non sempre si ha piena coscienza. Condividi il Tweet

Uno studio della Fao mette a disposizione i “numeri” a cui fare riferimento. Per produrre carne bovina, ad esempio, gli animali allevati nel mondo utilizzano circa sei miliardi di tonnellate di alimenti (calcolo fatto sulla sostanza secca). L’86% di questi alimenti non sarebbe utilizzabile direttamente dall’uomo. Non solo le erbe dei pascoli, alle quali corre subito il pensiero, ma anche tanti altri nutrienti che provengono da lavorazioni di materie prime come l’orzo dopo che si è prodotta la birra, gli agrumi dai quali si è estratto il succo, le barbabietole dalle quali si è ricavato lo zucchero. E molti altri esempi si potrebbero citare. Tutti sottoprodotti naturali e ricchi di sostanze nutritive che, se non utilizzati, potrebbero avere un considerevole impatto ambientale. Gli animali invece li trasformano in modo efficace in preziose proteine, e non solo.

Per produrre #CarneBovina, gli animali allevati nel mondo utilizzano circa sei miliardi di tonnellate di #alimenti (calcolo fatto sulla sostanza secca). L’86% di questi non sarebbe utilizzabile dall'uomo. Condividi il Tweet

Resta la quota di cereali e leguminose, poco oltre il 10%, che invece di essere utilizzata per gli animali potrebbe essere destinata all’uomo. Ma non è detto che ciò sia conveniente. Le stime della Fao indicano che per produrre un chilo di carne siano necessari tre chili di cereali. Sono medie, e come tali vanno interpretate.

Nel caso delle specie avicole l’indice di conversione degli alimenti è assai più efficiente, sotto il rapporto due a uno. Merito dei progressi nella ricerca. Ma non è questo il dato importante. La trasformazione in carne offre molto più che le sole proteine ricche di aminoacidi essenziali, difficili da trovare nei vegetali. Noto l’apporto di vitamine del gruppo B offerto dalle carni, e poi minerali, come ferro, zinco e via elencando. Sotto il profilo salutistico la trasformazione in carne offre dunque vantaggi rispetto al consumo diretto di cereali e altri vegetali edibili impiegati in alimentazione animale.

Un mondo senza #allevamenti non offrirebbe all'uomo più #cibo a disposizione, semmai aprirebbe le porte a squilibri nutrizionali da correggere con #cibi ultra-processati. Condividi il Tweet

Un mondo senza allevamenti non offrirebbe all’uomo più cibo a disposizione, semmai aprirebbe le porte a squilibri nutrizionali da correggere con cibi ultra-processati. La “carne-non-carne” prodotta in laboratorio ne è un esempio. Senza trascurare poi le conseguenze sull’ambiente. Solo la presenza degli animali consente l’utilizzo di terreni marginali, assicurando la presenza dell’uomo e la preservazione di un delicato equilibrio idrogeologico.

Pascoli e boschi abbandonati a se stessi favoriscono poi la crescita di specie vegetali e animali alloctone. Le stesse emissioni di gas climalteranti da parte dei ruminanti sono da rivedere alla luce della capacità di pascoli e colture nella fissazione del carbonio nel terreno. Poi il grande capitolo della fertilità dei campi, garantita dalla presenza degli animali, senza necessità di concimi chimici.

Solo la presenza degli #animali consente l'utilizzo di #TerreniMarginali, assicurando la presenza dell'uomo e la #preservazione di un delicato #equilibrio #idrogeologico. Condividi il Tweet

Nel considerare la competizione alimentare fra uomo e animali nel mondo che verrà non si possono poi trascurare gli aspetti sociali. Un piccolo allevamento di polli, qualche suino o la presenza di un bovino, infatti, può essere la via di uscita dalla fame nelle aree del mondo più povere. Accadeva anche da noi. Se potessimo chiederlo ai nostri nonni, giusto un secolo fa, ce ne darebbero conferma, ricordando l’importanza degli animali di bassa corte nello sfamare la gente dei campi e non solo. Fame che in tante parti del mondo ancora esiste e che in futuro potrebbe farsi sentire più di oggi. In particolare se non ci fossero animali da allevare.

Un piccolo #allevamento di #polli, qualche #suino o la presenza di un #bovino può essere la via di uscita dalla #fame nelle aree del mondo più povere. Condividi il Tweet

 

 

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.