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Se si smantellano gli allevamenti europei aumenterà l’import

Dall’Europa potrebbero arrivare misure che estenderebbero alle imprese zootecniche la direttiva sulla certificazione ambientale applicata alle industrie. Il comparto agricolo non ci sta. Invece delle penalizzazioni, incentivare i modelli sostenibili.

Dall’Europa sono in arrivo misure che – se non fermate o modificate in corso d’opera – preoccupano una gran parte del comparto agricolo: l’idea è quella di estendere alle imprese zootecniche (gli allevamenti, per capirci) la direttiva sulla certificazione ambientale applicata alle industrie.

La misura ha origine dalle disposizioni del Green New Deal europeo che si pongono l’obiettivo di “emissioni nette zero” dei gas climalteranti entro il 2050.In applicazione di ciò “si è pensato di rimettere mano alla Direttiva numero 75 del 2010 che si occupa di certificazioni ambientali” spiega Angelo Gamberini sulle pagine di Agronotizie.

Solo lo scorso anno l’Accademia dei Georgofili – nell’approfondimento “Improvvisazioni, falsità e clamori giornalistici sugli allevamenti e sui prodotti di origine animale” – esprimeva “una forte preoccupazione per la diffusione di informazioni che non poggiano su rigorose basi scientifiche e che diffondono dati molto lontani dal vero” mettendo in allerta sugli effetti di tali iniziative giornalistiche e propagandistiche e sul rischio di come tutto ciò possa rischiare di ledere un settore che “rappresenta un valore straordinario del ‘made in Italy’ e contribuisce in maniera determinante a definire larga parte del paesaggio italiano, un patrimonio nazionale riconosciuto anche dalla costituzione” esprimendo preoccupazione anche per “le centinaia di migliaia di lavoratori che sono all’interno del sistema delle produzioni animali e vedono minacciato il futuro del loro lavoro da campagne denigratorie dettate da logiche per loro incomprensibili perché lontane dalla realtà dei fatti”. Un messaggio che alla luce della proposta europea suona estremamente attuale.

Più #costi e oneri burocratici potrebbero tradursi in chiusure degli #allevamenti in Europa e nel conseguente aumento delle #importazioni. Condividi il Tweet

 

A rischio allevamenti europei e italiani. I commenti di Cia e Coldiretti

Maggiori costi e oneri burocratici potrebbero tradursi in chiusure degli allevamenti in Europa e aumentare le importazioni. Una beffa per un paese come l’Italia che vanta nell’enogastronomia tantissimi prodotti made in Italy, Dop, Igp e che – come dimostrano i dati Ispra – è tra i modelli più virtuosi.

Anche Coldiretti sottolinea come la norma metterebbe “a rischio migliaia di allevamenti italiani” “che stanno già pagando un costo altissimo per la crisi energetica e per la guerra in Ucraina”. Una scelta inaccettabile – ha dichiarato Ettore Prandini, presidente della Coldiretti – che rischia di condannare alla chiusura tantissimi allevamenti con un nuovo carico di burocrazia che fa aumentare i costi del sistema zootecnico (…). “In un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza, a Bruxelles si rischiano di fare scelte che aprono la strada alla carne sintetica”, afferma Prandini nel sottolineare che “la carne italiana nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne”.

Anche dalla Cia Agricoltori italiani si sottolinea come “mettere sullo stesso piano gli allevamenti nazionali (piccole e medie imprese) agli impianti industriali, rischia di sottoporre ulteriormente il sistema allevatoriale al giudizio negativo da parte dell’opinione pubblica. Bisogna ricordare gli enormi passi avanti fatti sulla strada della sostenibilità, della riduzione delle emissioni e del benessere dei capi. Migliorare la qualità e la sostenibilità degli allevamenti è, ormai, obiettivo condiviso di tutte le aziende zootecniche, che da tempo operano con la massima attenzione alla tutela dell’ambiente. Grazie all’applicazione delle migliori tecniche disponibili e a all’ottimizzazione delle materie prime utilizzate, le nostre stalle puntano, infatti, al raggiungimento del miglior livello di protezione possibile per la salute dei cittadini”.

Ostacolare gli allevamenti vorrebbe dire quindi aumentare le importazioni extra UE a danno del modello made in Italy. Le nuove scelte Ue – come ha sottolineato anche Ettore Prandini – “rischiano di aprire le porte alle importazioni di carne da paesi terzi che spesso garantiscono minori standard di sicurezza alimentare e maggiori impatti ambientali di quelli europei. Difendere la carne Made in Italy” – conclude Prandini – significa anche “sostenere un sistema fatto di animali, di prati per il foraggio e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni, anche in aree difficili”.

Ostacolare gli #allevamenti europei rischia di aprire alle #importazioni di #carne da Paesi terzi che spesso garantiscono minori standard di #SicurezzaAlimentare e maggiori #ImpattiAmbientali. Condividi il Tweet

 

Una misura che metterebbe a rischio i piccoli allevatori

Tra i soggetti particolarmente penalizzati vi sarebbero i piccoli allevatori. Luigi Scordamaglia, Filiera Italia, ha infatti sottolineato come tutto ciò si tradurrebbe in “nuovi obblighi burocratici ad alto costo, anche per allevamenti bovini di appena 100 capi o per allevamenti suini di oltre 400 capi”. “Tutti allevamenti di medio piccole dimensioni che costituiscono l’ossatura del sistema zootecnico e della produzione di DOP ed IGP nel nostro Paese”. Il consigliere delegato di Filiera Italia ha inoltre ribadito come “la Commissione europea va avanti con un’operazione di smantellamento della produzione agroalimentare europea rendendo sempre più vicino uno scenario di totale insicurezza alimentare per i cittadini europei”.

 

Non penalizzare ma prendere esempio dal modello virtuoso italiano

Ogni settore deve fare la propria parte per ridurre l’impatto ambientale. Ciò che però bisogna tenere bene a mente sono i reali numeri evidenziati in report e ricerche scientifiche  Fondamentale è anche confrontare i modelli per spingere verso esempi più virtuosi che possano fare da modello per il comparto UE. Come evidenziano i dati dell’Ispra, Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, il contributo degli allevamenti italiani alla produzione di gas serra incide solamente per appena il 5,2% ed è in progressiva diminuzione.

Numeri che quindi mostrano come la cifra sia sensibilmente più bassa rispetto a quella  indicata, per tale settore, dalla FAO (14,5%): ciò è dovuto, da un lato, agli standard italiani in agricoltura sicuramente più ecosostenibili se paragonati a quelli applicati in altri continenti e poi alla dieta mediterranea, che bilancia i cibi prevedendo una quota pro capite di carne inferiore rispetto alla media occidentale.

Uno degli aspetti più contestati riguarda spesso quello delle emissioni legate al comparto agricolo. Come spiega però l’Accademia dei Georgofili l’origine del carbonio del metano emesso dalle fermentazioni ruminali (che costituisce il 50% delle emissioni della zootecnia), è biogena ovvero è derivante da quello generato dalle piante con la fotosintesi e ingerito dagli animali con foraggi e concentrati. Tale tipo di emissioni risiede “in atmosfera con una emivita di circa 11,5 anni, per essere poi riassorbito dalle piante in un ciclo biologico, rispetto all’origine fossile del carbonio emesso dai combustibili, che si accumula nell’atmosfera per centinaia di anni provocandone il riscaldamento”.

Bisogna investire in #RisorseFinanziarie, #ricerca e #innovazione affinché la #zootecnia abbracci la piena #sostenibilità ambientale senza penalizzarla con eccessivi oneri burocratici. Condividi il Tweet

 

Ciò che serve sono risorse finanziarie, ricerca e innovazione per traghettare la zootecnia verso una piena sostenibilità ambientale

Servono risorse finanziarie, ricerca e innovazione per traghettare la zootecnia verso una piena sostenibilità ambientale senza penalizzarla con eccessivi oneri burocratici”. Questo l’appello di Cia-Agricoltori Italiani, a commento della proposta della Commissione Ue di modificare la direttiva sulle emissioni inquinanti, che allarga la richiesta dei certificati ambientali a tutti gli allevamenti di bovini, suini e pollame con oltre 150 unità di bestiame, venendo -di fatto- equiparati alle attività industriali. Secondo Cia, per mettere nelle condizioni il sistema allevatoriale italiano di raccogliere la sfida europea per un’economia a inquinamento zero, occorre dotarlo degli strumenti necessari ad aumentare la competitività e perseguire l’ambizioso piano di Bruxelles. Allo stesso tempo, si richiedono tempistiche meno rigide rispetto a quelle previste (il 2027 la deadline di attuazione della direttiva), in modo da permettere agli operatori una piena transizione green.

 

 

Letizia Palmisano è una giornalista freelance specializzata su temi ambientali e sui new media, quali i social network. La sua attività professionale spazia dal giornalismo alla consulenza nel mondo della comunicazione 2.0. Co-ideatrice del premio Top Green Influencer. È co-fondatrice della FIMA e fa parte del comitato organizzatore del Festival del Giornalismo Ambientale. Nel comitato promotore del Green Drop Award, premio collaterale alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2018 ha vinto il prestigioso Macchianera Internet Awards per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all'economia circolare. Il suo blog è www.letiziapalmisano.it