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Salume vegano. Sul nome non ci siamo

Salame vegano, hamburger vegetale, würstel di soia e molti altri. Ormai c’è l’imbarazzo della scelta. Sugli scaffali dei rivenditori si moltiplicano i prodotti che si richiamano alle carni e ai salumi, pur non contenendo un milligrammo di proteine animali. Anzi, chi sostiene questi prodotti a spada tratta sottolinea la loro purezza vegan-vegetariana. E però non rinuncia a chiamarli salami, wurstel, prosciutti, polpette. Qualcosa vorrà dire.

Se ne sono accorti due europarlamentari appartenenti a due schieramenti diversi, e anche questo qualcosa vorrà pur dire. Sono Paolo De Castro (Socialisti e democratici) e Giovanni La Via (Partito popolare europeo), che il 28 ottobre hanno presentato alla Commissione europea una interrogazione scritta sulla questione. Rimasta troppo a lungo sottovalutata ma esplosa proprio in questi giorni.

I due europarlamentari rilevano che “molti prodotti agro-alimentari a base vegetale basano i propri risultati di vendita su denominazioni che richiamano quelli a base di carne o lattiero-caseari, andando contro alle regole in materia di etichettatura (regolamento Ue n. 1169/2011) e di commercializzazione dei prodotti lattierocaseari (regolamento Ue n.1308/2013)”.

Come dire: due pesi e due misure. Quando fa comodo il mondo delle carni e dei salumi è solo un covo di allevatori e produttori spietati e senza scrupoli. In altri casi, è una miniera di denominazioni rinomate, sinonimo di qualità e di eccellenza, da cui attingere a piene mani. E loro, i difensori del pensiero vegan-vegetariano, non si fanno problemi a usare nomi che rassicurano i consumatori. Salvo aggiungere appunto “vegano” o “vegetariano”.

Per ragioni di marketing, naturalmente. Per vendere. Sui quattrini c’è poco da scherzare. Eh no, viene da dire. Troppo comodo. Primo, perché sono denominazioni tutelate e protette. E tutti sappiamo bene la scrupolosità del processo che porta a conquistare i marchi DOP e IGP. I sacrifici che si fanno e le tradizioni secolari dietro a decine di produzioni made in Italy.

Secondo, perché è un vero e proprio inganno per chi fa la spesa. È ovvio che essendo diverse le materie prime sarà diverso anche l’apporto nutrizionale. Inutile farsi illusioni. Se sono cibi diversi perché devono chiamarsi allo stesso modo? Uno spezzatino di tofu non sarà mai uguale a uno spezzatino di manzo. E una bresaola vegana c’entrerà poco con quella della Valtellina Igp. E vogliamo paragonare una mozzarella di bufala con una di soia?

Ma come? Mentre tutti invitano a una maggiore trasparenza, a un’etichetta più chiara, a informare meglio il consumatore, gli alfieri della purezza vegan sfruttano i brand di carni e salumi? E che dire della salumeria vegana aperta in provincia di Prato all’inizio di novembre? “Perché imitare cibi carnivori?”, chiede il giornalista del Corriere della Sera al titolare in un’intervista del 19 novembre. “È un’obiezione che ci hanno fatto in molti”, risponde. “Ma io dico: perché non farlo? Ci sono formule sperimentate con successo da centinaia di anni, noi ci limitiamo a riconvertire quello che esiste già”.

Appunto. Perciò De Castro e La Via, che condividono ci sia “una formula sperimentata con successo da centinaia di anni”, sottolineano che questa formula è anche tutelata. E hanno chiesto alla Commissione europea di intervenire, sollecitando di “regolamentare il settore” e “predisporre una normativa europea in grado di salvaguardare determinate denominazioni riferibili a prodotti a base di carne”.

Speriamo che l’Europa prenda posizione e si dia da fare. Che ponga fine all’uso improprio di denominazioni di cibi di origine animale. Solo allora, al di là dell’aggressività mediatica dei paladini veg, andremo a guardare il mercato e le risposte dei consumatori. Ad armi pari. Andremo a vedere se davvero la gente ha paura dei salumi “veri”. E scopriremo se piacciono di più gli originali o le imitazioni.

 

Federico Robbe

Fonte: Salumi&Consumi

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.