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Riduzioni di metano: dalla COP27 molte promesse  

Giunti quasi al termine della ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si può sottolineare che si sta commettendo l’errore di ignorare le emissioni di petrolio e gas, attaccando l’agricoltura anche laddove è già più efficiente.

“Parole, parole, parole” cantava Mina in una vecchia canzone mai passata di moda. Di certo alla COP27 non stanno mancando le promesse. Cosa dobbiamo aspettarci? Alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in corso fino al 18 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, i Paesi partecipanti sono impegnati a raggiungere accordi per frenare il climate change e contrastare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi entro la fine del secolo. L’Onu ha già messo le mani avanti, presentando un decalogo contro l’ambientalismo di facciata e i falsi impegni per il clima dichiarati da multinazionali, mondo della finanza, città ed enti territoriali.

Joe Biden nel suo discorso alla COP27 ha toccato il grande tema del metano, annunciando nuove misure per accelerare l’azione globale per il clima e ridurre le emissioni di questo potente gas a effetto serra negli Stati Uniti: “Tagliare il metano di almeno il 30% entro il 2030 può essere la nostra migliore possibilità di raggiungere l’obiettivo di 1,5°C”. Un obiettivo nobile. Ma lo scetticismo c’è, considerando che finora non si è dato più di tanto peso alle emissioni di metano legate al settore petrolifero e del gas, sia per la fase di produzione, sia per le enormi perdite lungo la catena di approvvigionamento di tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Turkmenistan. Ciò su cui in generale e da decenni si punta il dito sono, invece, le emissioni riconducibili agli allevamenti e all’agricoltura, seppure queste siano già in diminuzione nei Paesi occidentali come gli USA e  soprattutto quelli dell’Unione europea.

Il metano ha 84 volte più potenziale di riscaldamento globale lungo l’arco di 20 anni rispetto alla CO2 e, per affrontare l’emergenza climatica, le crisi sanitarie e garantire all’economia di riprendere vigore, occorre investire in una transizione energetica sicura, equa e pulita. Al momento non è così. Nel comparto dei combustibili fossili, l’estrazione, la lavorazione e la distribuzione di petrolio e gas rappresentano il 23% delle emissioni, mentre l’estrazione del carbone il 12%. Ed è sempre in questo settore che si ha il maggior potenziale di mitigazione entro il 2030, nello specifico con misure ad hoc si potrebbero tagliare le emissioni nel punto di estrazione e lungo tutta la filiera del petrolio e del gas di 29-57 Mt/anno e di 12-25 Mt/anno in quella del carbone. I dati emergono dal “Global Methane Assessment”, un recente report pubblicato dall’UNEP e dalla Climate and Clean Air Coalition.

Nel comparto dei #combustibiliFossili, l’estrazione, la lavorazione e la distribuzione di #petrolio e #gas rappresentano il 23% delle emissioni, mentre l’estrazione del #carbone il 12%. Condividi il Tweet

Uno dei problemi principali è quello dei rilasci di metano riconducibili ai guasti alle apparecchiature, che possono durare per settimane. Nello studio “Satellites Detect a Methane Ultra-emission Event from an Offshore Platform in the Gulf of Mexico”, a cura del gruppo di ricercatori guidato dall’Universitat Politècnica de València pubblicato su Environmental Science and Technology Letters in una piattaforma per l’estrazione di petrolio e gas nel Golfo del Messico in soli 17 giorni, nel dicembre 2021, dall’impianto sono fuoriuscite 40mila tonnellate di metano, equivalenti al 3% delle emissioni annuali di petrolio e gas del Messico. Il disastro è stato scoperto grazie ai satelliti che riescono a individuare grandi eventi di emissione e stanno diventando sempre più precisi, con una migliore risoluzione. Cosa che, tempo fa, non era possibile per monitorare le emissioni di metano in modo indipendente.

Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il metano è responsabile di almeno un quarto del riscaldamento attuale ed altri rapporti mostrano che la riduzione del metano del 45% in questo decennio eviterebbe un riscaldamento di 0,3 gradi Celsius entro il 2040. Agire subito è vitale: il metano è un gas a effetto serra di breve durata: se lo si riduce i vantaggi si vedranno subito, impedendo anche 255mila morti premature, 775mila visite ospedaliere legate all’asma, 73 miliardi di ore di manodopera perse a causa del caldo estremo e 26 milioni di tonnellate di perdite di raccolto ogni anno.

Il paper di Nature Revisiting enteric methane emissions from domestic ruminants and their δ13CCH4 source signature e il lavoro di Science A 21st-century shift from fossil-fuel to biogenic methane emissions indicated by 13CH4 ci dicono che “il budget di metano in capo alle fermentazioni enteriche  nel mondo sta aumentando a causa dell’imponente aumento dei capi nei Paesi intertropicali”, fa presente il Professor Pulina, presidente di Carni Sostenibili: “Europa, USA e Russia registrano forti diminuzioni. Il tema è che dobbiamo ridurre o stabilizzare le emissioni di metano enterico, salvaguardando la produzione di alimenti soprattutto nei Paesi emergenti. Il che significa che se smettiamo di consumare carne dalle nostre parti non incidiamo sul budget CH4, mentre chiederlo ai Paesi poveri è immorale”.

Il #metano è responsabile di almeno un quarto del riscaldamento attuale ed altri rapporti mostrano che la riduzione del metano del 45% in questo decennio eviterebbe un riscaldamento di 0,3 gradi Celsius entro il 2040. Condividi il Tweet

L’unica via, sottolinea il professore, “è l’intensificazione produttiva, che consentirebbe a questi Paesi di stabilizzare le emissioni (e arrestare il riscaldamento da CH4), mentre noi già da tempo contribuiamo a raffreddare l’atmosfera. Per il metano fossile è ovvio che gli sforzi di contenimento delle emissioni si pagano da soli, soprattutto ora che i prezzi del gas volano. E in conclusione, le emissioni di metano in agricoltura possono essere contenute soltanto con forti iniezioni di tecnologia per stabilizzarle tutte, fossili e biogeniche, ai fini di non contribuire più al riscaldamento globale.”

 

 

Giornalista ed eco blogger, da sempre si occupa di temi legati alla sostenibilità ambientale e al food. Scrive per testate giornalistiche sia cartacee sia online e per blog aziendali. È laureata in Sociologia, con indirizzo Territorio e ambiente, all'università La Sapienza di Roma.