Puntatore di prosciutto: un mestiere importante
La cultura del cibo italiana si vede anche dalle professioni che, nel tempo, ha portato a formarsi. Ci sono lavori, anzi mestieri, che non sono solo molto utili, importanti e legati alle nostre migliori tradizioni. Sono anche molto ricercati all’estero, e quindi un’ottima opportunità sia per chi li ha impartati, sia per la promozione del modello alimentare italiano nel resto del mondo. Uno di questi è sicuramente il puntatore di prosciutto. Vediamo perchè attraverso questo interessante articolo di Maria Teresa Manuelli su Food24 de Il Sole 24 Ore.
Puntatore di prosciutto: un mestiere molto ricercato anche all’estero
Per trovare un buon lavoro a volte ci vuole proprio naso. Mai modo di dire è più azzeccato come nel caso del ‘puntatore’ o ‘spillatore’ di prosciutto crudo. Ovvero, un personaggio dal fiuto straordinario, capace di maneggiare con arte un appuntito ago in osso di cavallo per ‘assaggiare’ incessantemente con il naso, uno ad uno, i crudi e verificarne la perfezione. Una figura arcana che da secoli, visto che il gesto si ripete immutato dall’epoca romana, è in grado di trasformare una coscia di maiale stagionata in un prosciutto. Questa operazione viene effettuata sia in azienda periodicamente per valutare la stagionatura, sia dagli ispettori dei Consorzi prima di marchiarli con i propri simboli: ogni singola coscia viene sottoposta a questo rigoroso e codificato controllo olfattivo.
Buon olfatto e allenamento
Come si diventa un esperto puntatore di prosciutto? «Un tempo – spiega Giorgio Cerati, responsabile della produzione del Salumificio Vitali e puntatore di lungo corso – era la figura più anziana del salumificio, quella a cui si poteva dare più fiducia. Con il crescere delle aziende e il differenziarsi dei ruoli le persone dedicate sono ancora di particolare fiducia e indubbia predisposizione, ma di solito vengono scelte tra i responsabili della qualità o della salagione». L’olfatto, però, da solo non basta, serve anche allenamento e un buon insegnante, perché si deve anche imparare a riconoscere i vari ‘profumi’ della carne, diversi a seconda del punto di assaggio, e distinguerli dagli odori dei difetti.
«Come in tutti i lavori – prosegue Cerati – ci sono persone più o meno dotate che vengono scelte dopo anni di lavoro in azienda, perché il compito che andranno a svolgere è di grande responsabilità». Un prosciutto crudo, infatti, per l’azienda è un immobilizzo di capitale non indifferente. Dover decidere se mandare al macero un simile investimento non è cosa da poco: un salumificio medio ha circa 200mila prosciutti in magazzino (150mila da salagione e altri 50mila in stagionatura) per un totale di circa 10 milioni di euro chiusi in cantina. Di questi una percentuale fortunatamente molto bassa, circa lo 0,2%, viene scartato perché non supera l’esame della spillatura. «Ma il puntatore in azienda – specifica Cerati – serve anche per decidere a quale linea di stagionatura avviare la singola coscia. A seconda del profumo, sarà destinata alla linea senza osso o a quella con osso, e all’interno di questa alla stagionatura più lunga o più breve».
Un’operazione da eseguire in silenzio
E’ comunque un mestiere che si apprende senza scuole, come dicevamo, ma che non si può imparare da soli. «Serve sempre un tutor o maestro – chiarisce Cerati – sia per imparare quali sono i punti precisi in cui inserire l’ago di osso sia per apprendere la differenza tra profumo e odore anomalo che si può trovare in quel punto». Un puntatore in media analizza circa 3.500 prosciutti al giorno. «Nel tempo diventa un’operazione naturale e il mestiere non è pesante: la temperatura nelle sale di stagionatura è costante sui 19° e con umidità controllata. Inoltre, oggi grazie alla robotica, le cosce vengono staccate e appoggiate meccanicamente sul tavolo. Ma è comunque un mestiere che richiede silenzio e molta concentrazione: dall’olfatto dipende il destino del prosciutto».
Le caratteristiche per un prosciutto perfetto? «Per prima cosa deve avere un bell’aspetto esterno, poi si passa all’analisi dell’odore. Per esempio, in alcuni punti più vicini all’osso, che sono l’anchetta e la noce, si possono formare delle piccole crepe che danno luogo al cosiddetto ‘secco’, ovvero infiltrazioni di aria che letteralmente ‘seccano’, ovvero asciugano di più la carne. Queste zone hanno un odore molto particolare e diverso dal resto. In altri casi, invece, il sale non ha lavorato nel modo adeguato e si formano delle macerazioni che obbligano a buttare via l’intera coscia, perché ormai il prodotto non è recuperabile».
Un mestiere ricercato anche all’estero
Cerati si porta dietro questa passione ormai da più di 30 anni. Ha iniziato da ragazzo, durante la pausa estiva della scuola, presso un piccolissimo salumificio artigianale: «C’eravamo io, il titolare e sua moglie – ricorda -. Questa famiglia mi ha insegnato tutto, dalla produzione al controllo degli ambienti frigoriferi, dalla stagionatura, fino alla puntata e al disosso. Sono rimasto per oltre 13 anni prima di cercare altre esperienze più industriali. Ma già in quegli anni si è scoperta la mia predisposizione per la spillatura, grazie al mio olfatto sviluppato».
Il mestiere è comunque molto ricercato, sia da parte di grandi gruppi commerciali sia di aziende italiane (con uno o più spillatori interni ) ed estere. «Soprattutto il responsabile di produzione con competenze di puntatore – conclude Cerati – è richiesto e ben remunerato da Paesi come Cina e Stati Uniti, per portare la tradizione italiana nei loro Paesi. Per fortuna nel nostro settore ancora il lavoro svolto con competenza e passione viene gratificato». E nessuna tecnologia riesce a riprodurre e sostituire i sensi umani, per cui la componente ‘manuale’ del lavoro è fondamentale. Così come per l’ago, che ancora è un osso di cavallo per le sue caratteristiche inimitabili di porosità ed elasticità che nessun altro materiale riesce finora a riprodurre.