Meat Sounding, nutrizione e carne non carne
Il Nutresco in Rhodesia, l’Arlac in Argentina, il Pro-nutro in Sud Africa, l’Incaparina in Guatemala. Tutte formulazioni a base di vegetali, dove rientravano mais, farina di cotone, lieviti e altre fonti proteiche. Erano gli anni ’60 del secolo scorso e il compito di questi alimenti era quello di nutrire una popolazione mondiale in tumultuosa crescita. Si arrivò anche a studiare alimenti a base di batteri che si moltiplicavano su idrocarburi. Promettevano una fonte di proteine inesauribile. E risolvevano al contempo il problema dello smaltimento di alcuni sottoprodotti della lavorazione del petrolio. Potevano nutrire sia gli animali sia l’uomo. Poi non se ne fece nulla. L’agricoltura tradizionale fu capace di rispondere con imprevedibile prontezza alla maggiore richiesta di alimenti. E di quei precursori di un’alimentazione tutta al vegetale non se ne fece nulla.
Merito della ricerca genetica che in campo vegetale ha sviluppato varietà più produttive e più nutrienti, analogamente a quanto avvenuto in campo animale. Ora ci si interroga sulla sostenibilità di questo sviluppo. Una domanda difficile, alla quale spesso si danno risposte viziate dall’ideologia. Da una parte chi inneggia al credo vegetariano e punta il dito sugli allevamenti, dall’altra chi accusa la lattuga di consumare più risorse di un qualunque allevamento. Stiamo dalla parte di chi crede che un’alimentazione varia, dove proteine animali e vegetali si danno mano l’una all’altra e siano la risposta migliore per farci stare meglio e in salute. Il tutto ottenuto da animali in condizioni di benessere e da campi coltivati seguendo le buone regole agronomiche, rispettose dell’ambiente.
Così se una tagliata di manzo si dà il turno con un piatto di fagioli o se un petto di pollo si alterna ad una ricca insalata, si otterrà salute e piacere della tavola. Ma non è corretto “imbrogliare le carte”. Una bistecca di soia non ha nulla a che vedere con una bistecca di vitellone. Chiamare hamburger un pur ottimo mix di vegetali dal colore bruno crea solo confusione. A nessuno, negli anni ’60, era venuto in mente di chiamare “braciola” il Nutresco della Rhodesia o “bistecca” l’Incaparina del Guatemala. Ma allora si temeva un vertiginoso aumento della fame nel mondo. E chi si cibava di soli vegetali lo faceva per motivi diversi da quelli di oggi.
Angelo Gamberini
Angelo Gamberini è giornalista professionista e medico veterinario, autore di libri sull’allevamento degli animali, impegnato nella divulgazione dei temi tecnici, politici ed economici di interesse per il mondo degli allevamenti.
(Nella foto, una “bistecca” di tofu)