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illustrazione laura capellini

Mangimi animali più circolari per ridurre il consumo di risorse naturali

Meno utilizzo di acqua e suolo se si ricorre all’utilizzo di sottoprodotti agricoli nelle diete animali. Ad affermarlo è uno studio scientifico pubblicato su Nature Food.

Come raggiungere una maggiore sostenibilità dei sistemi agroalimentari? Un contributo può arrivare dal comparto della mangimistica: cambiare il mangime riduce il consumo di risorse naturali. È quanto messo in evidenza dallo studio “Preserving global land and water resources through the replacement of livestock feed crops with agricultural by-products” (Preservare la terra e le risorse idriche globali attraverso la sostituzione delle colture per l’alimentazione del bestiame con sottoprodotti agricoli), a firma del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Food. Un maggior utilizzo di sottoprodotti nel settore mangimistico, in un’ottica circolare, può portare a un significativo risparmio dell’uso di suolo e di risorse idriche, quindi a un minor impatto ambientale dei sistemi agroalimentari.

Le carenze degli studi sui mangimi finora pubblicati

Finora mancava uno studio globale sugli effettivi impatti ambientali relativi all’uso del suolo e dell’acqua per la produzione animale e sui potenziali benefici derivanti dalla sostituzione di mangimi convenzionali con sottoprodotti agricoli disponibili localmente. E i pochi pubblicati si focalizzano sull’aspetto associato alle emissioni di gas serra. Ad oggi, molti studi hanno proposto strategie che promuovono la sostituzione di mangimi che possono competere con i bisogni alimentari con prodotti alternativi a basso impatto e a basso costo, come i rifiuti alimentari, i sottoprodotti e i residui agricoli, i prodotti alimentari scarti dalle aziende produttrici di alimenti (noti former foodstuff) e altri sottoprodotti animali. Tuttavia, la maggior parte di tali studi analizza ipotetici scenari di sostituzione senza garantire il rispetto delle attuali leggi sugli alimenti e sui mangimi, o senza considerare l’effettiva disponibilità di questi ingredienti, e le analisi sono per lo più su scala locale o regionale, piuttosto che su scala globale.

L’innovazione del nuovo studio

Nello studio “Preserving global land and water resources through the replacement of livestock feed crops with agricultural by-products” si è colmato questo gap conoscitivo mediante l’uso su scala globale di un modello agro-idrologico fisicamente basato e spazialmente distribuito con risoluzione di circa 10 km. Questo modello valuta in riferimento ad ogni area agricola la richiesta idrica giornaliera delle colture primarie effettivamente coltivate e utilizzate come mangime. Tale richiesta idrica viene calcolata lungo il periodo di crescita della pianta attraverso il calcolo del bilancio idrico nel suolo locale, considerando cioè dati locali climatici, fenologici e di suolo. Inoltre, si è stati anche in grado di distinguere se l’acqua utilizzata per la crescita della pianta è acqua piovana o acqua di irrigazione.

Gli alimenti di origine animale contribuiscono al 16% dell’approvvigionamento alimentare globale e sono un’importante fonte proteica nella dieta umana, a fronte però di un utilizzo di suolo e di risorse idriche per la loro produzione pari ad 1/3 delle risorse utilizzate in agricoltura e fino a 3/4 dell’intero suolo agricolo (se non altro perché quest’ultimo è composto per tre quarti appunto da cosiddetti “terreni marginali”, sui quali non è possibile coltivare nulla, ma solo allevare animali). “L’uso di sottoprodotti agricoli nelle diete animali non solo diminuirebbe la competizione tra i settori e la pressione sulle risorse, ma aumenterebbe anche la disponibilità di calorie consumabili direttamente per la dieta umana (come ad esempio i cereali)- O, nel caso in cui le risorse risparmiate vengano utilizzate ad altri fini tra i quali la produzione di alimenti vegetali carenti nelle attuali diete, migliorerebbe la sicurezza alimentare in diversi Paesi, con scelte alimentari più salutari oltre che più sostenibili”, spiega Camilla Govoni, ricercatrice del Politecnico di Milano e che ha condotto lo studio con Maria Cristina Rulli del Politecnico di Milano, Paolo D’Odorico della University of California di Berkeley e Luciano Pinotti dell’Università degli Studi di Milano.

Gli autori sono partiti dalla competizione per le risorse naturali fra produzione di cibo animale e cibo umano, a livello diretto e indiretto, analizzando scientificamente il quadro globale per poi ricercare delle strategie per ridurre sia tale competizione sia l’uso insostenibile delle risorse naturali che da essa può derivare. Utilizzando un modello agro-idrologico combinato con dati di resa specifici della coltura sono arrivati a stabilire in che misura la sostituzione di alcune colture foraggere con sottoprodotti agricoli disponibili farebbe risparmiare in termini di risorse alimentari.

Lo studio dimostra che una sostituzione con sottoprodotti agricoli dell’11-16% di colture ad alto contenuto energetico oggi utilizzate come mangime animale (ad esempio i cereali e manioca) farebbe risparmiare tra i 15.4 e i 27.8 milioni di ettari di suolo, tra i 3 e 19.6 km³ e tra i 74.2 e i 137.8 km³ di acqua di irrigazione e acqua piovana, che potrebbero essere destinate alla crescita di altre colture.

L’importanza dei sottoprodotti

I sottoprodotti sono gli scarti di produzione che possono essere gestiti come beni e non come rifiuti, se soddisfano le condizioni previste dalla legge (art. 184-bis del D.L.vo 152/2006), con grandi vantaggi economici e gestionali. In particolare, i sottoprodotti agricoli sono i prodotti secondari derivati dal processamento di colture primarie come cereali e zucchero. Nello studio sono stati considerati: la crusca di cereali, la polpa di barbabietola da zucchero, la melassa, i residui di distilleria e la polpa di agrumi.

Ricorrere a ingredienti alternativi per i mangimi nelle diete animali significherebbe da un lato interrompere la potenziale competizione tra produzione animale e produzione vegetale, dall’altro un aumento della sostenibilità e una riduzione dell’impatto ambientale. “Una diminuzione della domanda di mangimi potrebbe determinare una minore importazione degli stessi con conseguenti benefici sia di tipo economico che socio-ambientale”, spiega Maria Cristina Rulli, docente di Idrologia e coordinatrice del Lab Glob3ScienCE (Global Studies on Sustainable Security in a Changing Environment) del Politecnico di Milano:

Altro vantaggio legato alla diminuzione della domanda di cereali è quello che potrebbe portare a un eventuale maggiore disponibilità di cibo per noi, in un momento storico in cui l’approvvigionamento di tali colture deve fare i conti con le pesanti carenze dovute alla guerra in corso tra Russia e Ucraina, agli effetti sull’approvvigionamento alimentare della pandemia da Covid-19, alla crisi del Mar Rosso, al calo dei raccolti causato da eventi climatici estremi sempre più frequenti come le inondazioni, le siccità e le ondate di calore.

L’approccio deve essere quello di sviluppare una “smart animal nutrition“, in cui la ricerca deve proporre soluzioni per aumentare la produzione di proteine animali senza aumentare l’impronta ambientale delle stesse”, osserva Luciano Pinotti, docente di Nutrizione e Alimentazione del dipartimento di Medicina veterinaria e Scienza animali dell’Università degli Studi di Milano: “Da ciò l’importanza di studiare l’alimentazione animale non solo in termini di competizione, ma anche di sinergie e complementarità con quella umana, così da ottimizzare l’utilizzo dei nutrienti nella catena alimentare. La sfida principale è quella di studiare mangimi innovativi ed alternativi ai convenzionali, ove possibile non in competizione con l’alimentazione umana, che siano parte di un’economia circolare, in un’ottica di one nutrition.”

Come combinare sostenibilità e attenzione ai costi dei prodotti

“Facendo riferimento al nostro articolo, il costo di un prodotto animale, che sia carne o prodotti caseari, ottenuto allevando animali alimentati con sottoprodotti agricoli dovrebbe essere diverso rispetto a uno stesso prodotto dove l’animale è stato alimentato totalmente con mangimi convenzionali come può essere la granella di mais, poiché il costo ambientale è nettamente diverso”, concludono i ricercatori: “Siamo stati abituati ad avere una concezione lineare della produzione in quasi la totalità dei settori, per decenni è stata seguita la linea del “Take-Make-Waste” (prendi-produci-smaltisci), senza rendersi conto degli effetti collaterali di questo approccio. Solo recentemente ci si è iniziati a rendere conto non solo delle inefficienze economiche che questo modello crea lungo la catena di produzione, ma soprattutto degli impatti ambientali, della limitata disponibilità di risorse e della problematica legata alla gestione dello smaltimento di enormi quantità di rifiuti che derivano dall’uso di tale modello”. Se queste esternalità non sono considerate nella determinazione dei costi, è tuttavia cruciale prendere consapevolezza che escludere questi costi dai prezzi dei beni presenta a consumatori, governi e imprese informazioni distorte sul mondo, sull’ambiente e sull’economia.

Giornalista ed eco blogger, da sempre si occupa di temi legati alla sostenibilità ambientale e al food. Scrive per testate giornalistiche sia cartacee sia online e per blog aziendali. È laureata in Sociologia, con indirizzo Territorio e ambiente, all'università La Sapienza di Roma.