L’uomo è onnivoro, ma la diatriba è infinita
“Non solo buono da mangiare ma anche buono da pensare” è un’affermazione intelligente di Claude Lévi-Strauss perfettamente condivisibile ancora oggi, a riprova del “dilemma dell’onnivoro” che, nell’abbondanza delle scelte alimentari possibili, deve orientarsi con la cautela di un esploratore costretto a scegliere a ogni bivio su ipotesi e quasi mai su certezze.
La natura onnivora della nostra specie è trascritta nei complessi meccanismi dell’adattamento genetico e come tale ci ha permesso la sopravvivenza anche nelle escursioni climatiche più avverse, laddove i primati monofagici non disponevano di sostituzioni di emergenza.
Come scrive Michael Pollan nel suo libro ‘Il dilemma dell’onnivoro’: “Quando l’unico pasto congeniale per il koala sono le foglie di eucalipto, non c’è bisogno di molti circuiti cerebrali… e infatti il cervello del koala è talmente piccolo che non occupa nemmeno la metà della scatola cranica”.
La ricerca e la scelta del cibo, depurate dalla violenza della fame, hanno contribuito certamente allo sviluppo cerebrale e a quei collegamenti privilegiati tra cervello e intestino che la moderna fisiologia ha dimostrato in molteplici occasioni.
Gli onnivori godono inoltre del piacere della varietà. Il rovescio della medaglia è lo stress provocato da un’offerta eccessiva, che conduce a una visione manichea del cibo: da una parte il buono da mangiare e dall’altra il cattivo. Proprio quel tipo di giudizio che abbiamo ripetutamente contestato.
Tuttavia, bisogna pur dire che l’onnivoro non dispone ancora oggi di valide spie premonitrici per verificare la validità delle sue stesse scelte. Per questo ha dovuto aggrapparsi alle “raccomandazioni” degli aruspici o degli esperti (ovvero linee guida e piramidi) sulla miscela ottimale di proteine, grassi e carboidrati di cui i maghi del momento – dagli stregoni agli scienziati insigniti del Nobel – l’hanno dotato.
In sostanza, disponiamo di una male interpretabile piantina indicativa ancora troppo insicura e contestata per arrivare al traguardo della prevenzione e quindi al tesoro di una longevità attiva e/o perlomeno autosufficiente. Tuttavia, la strada culturale resta quella tracciata dagli esperti, con i limiti stessi della scienza che non garantisce mai certezze ed è costretta ogni volta a riflettere su se stessa per rinnovarsi.
Ciò di cui abbiamo bisogno è dunque una sintesi pratica di buonsenso. Da sempre la nostra natura di onnivori ci ha indotto ad avere una considerazione privilegiata per le carni. D’altra parte, la ricchezza nutrizionale delle carni è stata avvallata da fisiologi e clinici, pur se negli ultimi decenni l’epidemiologia ha fornito dati statistici che raccomandano una riduzione dei superconsumi in atto nei Paesi più sviluppati.
Si profila perciò l’opportunità, in termini di prevenzione cardiovascolare ma anche oncologica, di riportare i consumi di carne a una frequenza ottimale bi- o trisettimanale. Inoltre, sono affiorate motivazioni ecologiche di prudenza anche per l’impatto che gli allevamenti potrebbero avere sulla “sostenibilità” ambientale, con il prevedibile accesso di centinaia di milioni di persone a un consumo di proteine animali finora modesto.
Testo estratto da “L’alimentazione equilibrata”, di Agostino Macrì e Eugenio Del Toma, Edizioni Edra