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La dieta mediterranea non è per forza vegetariana

Nel 1954 Angel Keys osservò che nella popolazione del Comune di Rofrano, nel Cilento, c’era una bassa incidenza di malattie cardiovascolari. Correlò questa situazione al regime dietetico basato in gran parte sul consumo di pasta, legumi, verdure, olio di oliva, frutta e anche vino.

In Italia, negli anni ’50, oltre il 40% della popolazione attiva era dedita ad attività agricole e gran parte del Paese si trovava in condizioni sociali analoghe a quelle dei cittadini di Rofrano. L’alimentazione dipendeva dalle disponibilità di cibo proveniente dal territorio e se una considerevole parte della dieta era di origine vegetale, non si può ignorare il ruolo di quelli di origine animale.

In tutte le aziende agricole c’erano infatti piccoli allevamenti di polli, tacchini, conigli e suini destinati prevalentemente all’alimentazione domestica. Inoltre, erano disponibili animali selvatici catturati con la cacciagione e, nelle zone costiere o con acque interne, era disponibile anche il pesce. Un aspetto altrettanto importante era rappresentato dalla pastorizia, allora molto florida, che era in grado produrre latte da trasformare in formaggi ed animali da macellare (soprattutto agnelli e castrati).

La dieta dei cittadini di Rofrano era da considerare come rappresentativa di gran parte delle aree rurali del nostro Paese, e a ragione si può quindi parlare di “dieta mediterranea”, caratterizzata appunto da una buona varietà di alimenti con una prevalenza di quelli di origine vegetale e i particolare i cereali e le leguminose, anche se quelli di origine animale erano presenti in modo significativo.

Le ragioni del consumo di alimenti ad elevato contenuto di carboidrati e quindi di notevole valore calorico dipendeva dallo stile di vita che veniva seguito e da ragioni economiche. Basti considerare che, sempre negli anni ’50, oltre il 40% della popolazione attiva era impegnata in agricoltura che richiedeva notevoli sforzi fisici ed era necessario un adeguato apporto calorico che i cereali (con la pasta ed il pane) potevano garantire. Inoltre, c’era una abbondante produzione di frumento che era disponibile a costi contenuti. Molto importante era anche il contributo calorico che arrivava dall’olio di oliva e dal vino, anch’essi spesso prodotti dagli stessi contadini.

I costi degli alimenti erano anche ridotti perché la maggior parte veniva cucinata a livello domestico e c’era un importante contributo che arrivava dalle donne, spesso impegnate in un doppio lavoro. Il consumo di alimenti di origine animale rappresentava una quota ridotta, ma sempre importante sotto forma di latte e derivati, di uova di carne e derivati e anche di pesce.

Dai dati disponibili risulta che il consumo totale di alimenti della popolazione italiana negli anni ’50 era di circa 350 – 400 kg pro capite annui; il consumo degli alimenti di origine animale era intorno agli 80-100 kg di cui 25 kg erano rappresentati dalla carne. Parlare quindi di dieta mediterranea come sinonimo di dieta vegetariana, non è corretto. Si può invece dire che si trattava di una dieta ricca di carboidrati adatta agli stili di vita di allora che richiedevano un elevato dispendio di energia.

Al momento attuale la popolazione attiva impegnata in agricoltura è meno del 10% ed è anche drasticamente diminuito il numero di persone impegnate in lavori pesanti. Il consumo degli alimenti su base annua è però praticamete raddoppiato e si attesta intorno ai 700 – 800 Kg. Il consumo di carne ha raggiunto circa 100 kg pro capite annui. È notevolmente incrementato il consumo di alimenti trasformati e anche il ricorso alla ristorazione collettiva.

Al momento attuale la dieta mediterranea “classica”, ad elevato contenuto di carboidrati, non sembra la migliore per la nostra popolazione in cui prevalgono le attività sedentarie.

Il vero problema è rappresentato dall’eccesso di consumo di cibo e da abitudini elementari scorrette. Si ha infatti un eccessivo consumo di zuccheri, anche con le bevande analcoliche; si consumano importanti quantità di cibi di origine industriale che alle volte presentano eccesso di sale ed anche di grassi sia animali, sia vegetali.

Un dato importante, spesso ignorato, riguarda le aspettative di vita che dai circa 60 anni del 1950 sono divenuti circa 80 attualmente. Sicuramente questo notevole incremento è dovuto a molti fattori quali il miglioramento delle condizioni igieniche ed i progressi della medicina, con i tanti farmaci che consentono di debellare malattie una volta letali; tuttavia il ruolo dell’alimentazione non può essere ignorato.

Ritornare alla dieta “mediterranea” degli anni ’50 non sembra quindi proponibile per tutta la popolazione, ma soltanto per quelle persone che possono procurarsi le materie prime e, soprattutto, che hanno il tempo di cucinarle. Gli altri dovrebbero invece seguire una dieta variata con un buon equilibrio tra alimenti di origine vegetale ed animale. È di fondamentale importanza ridurre l’apporto delle calorie che non dovrebbero essere superiori alla 2000 giornaliere.

Il tutto, però, dovrebbe essere sempre accompagnato da una ragionevole attività fisica.

Agostino Macrì

 

Fonte: La Stampa

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