TOP

La carne che verrà: previsioni della Commissione europea

È necessario frenare l’impoverimento della zootecnia europea, che si traduce in danni economici, sociali e persino ambientali. Un’emorragia di allevamenti che colpisce duramente l’Italia, dove solo la filiera avicola riesce a tenere il passo.

Fra i problemi che il nuovo esecutivo dell’Unione europea (UE) dovrà affrontare c’è quello del progressivo declino della produzione di carne nei 27 Paesi partner. Con l’Italia che in questa graduatoria si trova ai primi posti. Una situazione che dovrebbe destare preoccupazione in tutti, anche in coloro che hanno rinunciato a consumare carne. Più d’uno i motivi, come vedremo. Ma andiamo con ordine e partiamo dai numeri che emergono da una recente analisi sul futuro dell’agricoltura, diffuso dalla Commissione europea, DG Agricoltura e Sviluppo Rurale.

Nel documento si conferma che nel 2023 la produzione europea di carne bovina ha subìto una battuta d’arresto del 3,9%. Anche paesi come Spagna e Irlanda, reduci da anni di sviluppo della zootecnia da carne, hanno invertito la rotta. Una tendenza destinata a protrarsi anche quest’anno, tanto da prevedere un’ulteriore flessione del 2,3% delle disponibilità di carne nella UE. Si è ridotto poi il numero di vacche nutrici, “categoria” alla quale appartengono gli allevamenti idealmente promossi dalle politiche verdi comunitarie.

Il settore bovino

Su tutti emerge il caso Italia, che nel volgere di un anno ha visto il settore della carne bovina contrarsi del 17%, con una perdita di 127mila tonnellate. Colpa della “fragilità” della nostra filiera delle carni bovine, dipendente in larga misura dalle importazioni di vitelli da allevare nelle nostre stalle sino al termine del ciclo produttivo. Francia e Polonia, nostri principali fornitori di vitelli, hanno ridotto le loro disponibilità con un conseguente e importante taglio della produzione di carne bovina nel nostro Paese.

In Italia dovrebbe essere motivo di attenzione non solo il calo della produzione di carne bovina, ma la progressiva erosione del nostro patrimonio animale. Dal 2010 a oggi hanno chiuso i battenti oltre 68mila stalle, mentre il numero di capi allevati è sceso nello stesso periodo di 263mila capi, quasi il 5% in meno.

Il settore suinicolo

Situazione analoga, se non peggiore, si registra per i suini. Il calo è del 6,6% e riguarda tutti i Paesi, con l’unica eccezione della Bulgaria. Ma per questo settore taluni indicatori lasciano spazio a una possibile ripresa, ma solo a fine anno. Sempre che l’emergenza Peste Suina Africana, che sta interessando un crescente numero di nazioni europee, non complichi la situazione.

Sulle condizioni del comparto pesa poi l’evoluzione dei mercati internazionali, con la Cina che ha ridotto l’import, mentre l’UE ha perso competitività su alcuni importanti sbocchi di esportazione, come Usa, Giappone e Australia. In Italia il numero di allevamenti suini si è contratto e ora se ne contano poco più di centomila, a fronte dei 142mila di circa 10 anni fa. Pesa sull’evoluzione del settore nel nostro Paese la ridotta capacità di spesa che sta spostando le preferenze del consumatore. Accade ad esempio per il prosciutto crudo, in calo, che cede il posto a quello cotto, in decisa crescita.

Il settore avicolo

Segno positivo solo per le carni avicole europee, che dopo due anni di difficoltà hanno ripreso slancio nel 2023, segnando una crescita del 2,1%. Merito della capacità del settore di adeguarsi con relativa rapidità all’evoluzione dei consumi e all’efficienza della filiera, che riesce a offrire un prodotto democratico, di qualità e sicuro a prezzi competitivi. Non a caso le carni avicole risultano le più consumate al mondo e anche l’Italia è su questa stessa scia.

La produzione di carni avicole nel nostro Paese è cresciuta del 7,7% nel 2023 e vanta un livello di autosufficienza del 105,5%. Cresce il numero degli allevamenti, ma diminuisce il numero dei capi allevati, conseguenza del progressivo allinearsi alle esigenze di benessere animale. Da segnalare inoltre il minore ricorso alle gabbie arricchite per la produzione di uova, mentre crescono gli allevamenti a terra.

Possibili conseguenze dell’impoverimento della zootecnia europea

Di fronte a questo progressivo impoverimento della zootecnia europea c’è da interrogarsi sulle conseguenze che ne potrebbero derivare, a iniziare dalla crescente richiesta di proteine da parte di un mondo sempre più popolato. Come confermano FAO e OCSE, la produzione di riso, frumento e mais, principali cereali della dieta dell’uomo, potranno aumentare del 20%, ma sarà necessario anche un aumento del 35% delle produzioni di origine animale.

Senza dimenticare che molti alimenti di origine vegetale non possono essere disponibili ovunque. Queste aree impossibilitate a produrre alimenti direttamente consumabili dall’uomo possono però ospitare allevamenti in grado trasformare in preziose proteine essenze vegetali altrimenti di nessun interesse sotto il profilo alimentare.

L’assenza di animali è poi motivo di abbandono dei terreni e di spopolamento delle aree marginali, con conseguenze sul degrado dei boschi e incuria di quelle opere di regimazione delle acque grazie alle quali si frena il dissesto idrogeologico. Perché l’agricoltore, e in particolare l’allevatore, è un custode dell’ambiente e del territorio, un ruolo non a caso riconosciuto in Italia da una recente normativa.

Ce n’è a sufficienza per invitare chi ha responsabilità di indirizzo delle politiche agricole a mettere in atto strumenti idonei a invertire un percorso che ci sta impoverendo di risorse il cui valore strategico è inutile ricordare. La visione ideologica della tutela ambientale che sino a oggi ha guidato tali scelte si sta dimostrando inefficace. Equilibrare obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica è possibile. Le filiere della produzione animale hanno raccolto da tempo questa sfida e i risultati ci sono. Ostacolarne il progresso sarebbe colpevole.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.