La carne artificiale e i suoi condimenti
L’idea di coltivare la carne artificiale in laboratorio non è nuova: Winston Churchill, nel suo libro “Thoughts and adventures” del 1932, scriveva che nell’arco di cinquant’anni avremmo smesso di allevare un intero pollo per mangiarne le ali, o il petto, piuttosto avremmo coltivato ogni singolo taglio separatamente. I primi studi in materia risalgono all’inizio degli anni 2000, oggetto delle ricerche era la possibilità appunto di coltivare in vitro le proteine muscolari dell’animale allo scopo, allora, di studiare alternative alimentari per gli astronauti che intraprendevano lunghi viaggi nello spazio.
I risultati furono promettenti, dalla coltivazione senza uso di antibiotici delle cellule di un pesce rosso, si ottennero proteine muscolari a basso livello di contaminazione. Si notò un valido processo di auto-rigenerazione, una buona proliferazione cellulare e infine, l’espianto raccolto assomigliava a pesce fresco. Assomigliava, però. La carne convenzionale è il prodotto derivato dalla maturazione del muscolo animale, processo durante il quale hanno luogo importanti trasformazioni biochimiche, tra cui un innalzamento dell’acidità, effetto questo di un’assenza di ossigeno cui i tessuti sono sottoposti durante la cosiddetta frollatura.
Di fatto, l’isolamento delle cellule staminali, la coltura cosiddetta ex-vivo (sperimentazioni effettuate su un tessuto vivente all’esterno dell’organismo) e l’ingegneria tissutale hanno dato una spinta alla ricerca in materia che è così arrivata alla produzione di muscoli bio-artificiali (anche adottabili in impiantologia medica). La carne artificiale, o meglio le proteine muscolari artificiali, sono prodotte generalmente a partire dalla coltura delle cellule staminali di alcuni animali, che proliferano (grazie a fattori di crescita, nutrienti e ormoni) e si differenziano in cellule muscolari artificiali, e in seguito si fondono e formano la fibra muscolare. Una volta maturate, vengono raccolte e assemblate come il classico macinato, e dunque prendono le sembianze di un hamburger. Al macinato artificiale possono essere anche addizionati sale e altri condimenti, condensanti e in alcuni casi pangrattato e polvere di albume d’uovo. Inutile dire che ad oggi i prezzi di produzione sono elevatissimi: si parla di 18.000 dollari al chilo (non proprio sostenibile).
La crescita della domanda di carne, spiegata sia dal miglioramento delle condizioni economiche di intere nazioni che dalla crescita demografica, la difficoltà a rispondervi con l’offerta odierna, le ricadute ambientali degli allevamenti per una tale produzione globale di massa di prodotti carnei, insieme a un’aumentata attenzione del consumatore occidentale al benessere animale, hanno attirato l’interesse di alcuni investitori e start-up verso la carne in provetta.
Le opportunità aperte da questa frontiera di ricerca sono molte: le cellule staminali possono essere utilizzate come base per carni con caratteristiche finora non immaginabili, inoltre la composizione biochimica della carne potrebbe essere variata per renderla un prodotto con caratteristiche nutrizionali controllate (ad esempio potrebbero essere addizionati alla matrice proteica acidi grassi polinsaturi).
La carne in provetta rientrerebbe nella categoria alimentare dei così detti novel food, e questo la assoggetterebbe ad un severo processo volto a determinarne la sicurezza ai fini di una precisa indicazione di idoneità al consumo umano, seppure nessuno studio e valutazione potranno essere paragonabili ai milioni di anni di esposizione alla carne animale. I rischi collegati all’adozione di nuovi schemi alimentari, e nello specifico all’inserimento nella dieta di alimenti nuovi, somministrati al corpo per la prima volta, sono molteplici e si contrappongono ai presunti benefici collettivi che questa innovazione può produrre.
Esistono alcuni limiti e ostacoli: le cellule staminali, poiché sono soggette ad un elevato tasso di proliferazione, sono piuttosto instabili, non è possibile escludere infatti il manifestarsi di una mutazione in cellule cancerogene (probabilmente innocue, ma presenti), che poi risulterebbero difficili da identificare tra le altre. Inoltre, oltre che a non risolvere il “problema” dell’allevamento, la coltivazione delle cellule in provetta avviene in un mezzo contenente alcuni nutrienti e siero fetale bovino o di vitello appena nato, la cui composizione non è del tutto nota, e per questo la sua assunzione non è scevra di rischi. Infine, non è ancora stimabile l’impatto ambientale imputabile alla produzione della materia prima necessaria alla coltivazione delle cellule staminali a livello industriale.
Malgrado i rischi, alcune aziende annunciano di aver lavorato alla produzione di carne artificiale, di pollo, di anatra e di bovino. In America sono state inoltre organizzate delle degustazioni: la regolamentazione in materia alimentare statunitense è diversa da quella europea (gli alimenti sono ritirati dal mercato solo dopo che il rischio rappresentato dalla loro somministrazione è dimostrato – in Europa vige invece il Principio di precauzione). Ad ogni modo, chi ha già assaggiato l’hamburger artificiale lo descrive insipido e poco saporito… Sarà il caso di saltarlo nel burro?
Gloria Luzzani
Svolge attività di studio e ricerca in materia di nutrizione, sostenibilità di filiera e promozione della stessa presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile dell’Università Cattolica. È dietista nutrizionista specializzata nella gestione del sistema agroalimentare.