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In Italia non ci sono “Pig palace”

Tanto rumore e tante notizie, più o meno veritiere, sui “Pig Palace” cinesi. Usati, come al solito, per screditare anche gli allevamenti italiani, che non sono minimamente paragonabili a quelli asiatici. Il vero e il falso sulle megalopoli suine

In Cina stanno costruendo grandi impianti per allevamenti di suini. Non è una novità. Ne erano sorti in passato, poi l’epidemia di peste suina africana ha sterminato il patrimonio suinicolo cinese fermando i progetti di nuovi allevamenti ciclopici, come il famigerato “Pig Palace”. Superata l’emergenza, nel 2020 importanti gruppi del settore suinicolo cinese hanno ripreso i lavori completando edifici multipiano capaci di “sfornare” oltre due milioni di capi per anno.

Perché stupirsi allora per un nuovo impianto che si ferma a “soli” 1,2 milioni di capi anno? Domanda retorica, per ricordare come alcuni fatti vengano presentati e manipolati per sostenere tesi di parte, a volte solo ideologiche. In questo caso per mettere l’accento sulla presunta “pericolosità” degli allevamenti intensivi, la “disumanità” della zootecnia, il mancato rispetto della “dignità” degli animali, la scarsa “coscienza” di chi consuma carne. Senza alcuna distinzione fra allevamenti cinesi e la realtà europea e italiana in particolare.

Così una notizia, nemmeno attuale, rimbalza dai social agli schermi TV, sino alla carta stampata. Nulla di male se le tesi sostenute avessero un qualche fondamento. Prendere come pretesto quanto si realizza in Cina per criminalizzare la zootecnia è profondamente sbagliato. Iniziamo dalle dimensioni. In Italia sono in attività poco meno di 30mila allevamenti di suini. Il nostro patrimonio suinicolo è inferiore ai nove milioni di capi. Calcolatrice alla mano, la media di capi per allevamento è di circa 290 animali.

Siamo lontani anni luce dai numeri dei mega impianti cinesi. I nostri allevamenti non andrebbero nemmeno definiti intensivi, ma “protetti”.  Lo conferma il divieto di allevare suini all’aperto in alcuni comuni di Liguria e Piemonte, dove la peste suina africana ha fatto la sua comparsa fra i cinghiali selvatici. Solo l’allevamento confinato, con adeguate misure di biosicurezza, è in grado di proteggere efficacemente i suini da un virus per il quale non esistono cure. La stessa precauzione viene presa per gli allevamenti avicoli, dopo il ripetersi di episodi di influenza aviaria negli uccelli selvatici.

Una riflessione merita poi la denuncia di un “consumo massiccio di carne”. In Italia il consumo reale di carne, di tutta la carne, si ferma a 38 chilogrammi procapite, in linea con i suggerimenti della dieta mediterranea, grazie alla quale vantiamo un’attesa di vita fra le più alte al mondo. E’ comprensibile che qualcuno decida per motivi etici di non consumare carne. Ma non per questo può sentirsi autorizzato a puntare il dito contro chi fa scelte alimentari diverse. Come pure non si può fare confusione fra uomo e animali, guardando gli allevamenti sotto la lente distorta di un animalismo antropologico e idealista.

In Italia sono in attività poco meno di 30mila #allevamenti di #suini e il patrimonio suinicolo è inferiore ai nove milioni di capi, con una media di capi per allevamento è di circa 290 animali. Condividi il Tweet

Illuminanti a questo proposito le parole di Giuseppe Pulina, professore ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti dell’Università di Sassari e presidente dell’Associazione Carni Sostenibili: “Quanto ho letto in questi giorni sui social e in particolare su Facebook sono insensati post di noti influencer che si scagliano contro la produzione della carne con il pretesto del grattacielo per suini”, afferma il Professore: “Chi scrive porta esempi paradossali: se ci sono animali che abitano l’uno sull’altro (nei condomini) sono proprio i nostri animali da compagnia! Allora il tema non è in che tipo di strutture abitino gli animali (e molti, forse troppi, dei nostri pet sono “cani da terrazzino”, o peggio ancora da “divano”, ambiente totalmente naturale, ovviamente), ma come ci vivono dentro. Anche i lupi o i gatti selvatici conducono una vita diversa in natura, ma questo non è un termine di paragone. Spazi, benessere e rispetto della salute di animali e uomini sono i presupposti per giudicare l’eticità di un allevamento.”

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.