Il grande business della finta carne
Ammonta a 290 miliardi di dollari la stima del business delle proteine alternative alla carne, spesso cibi ultra-processati. Consumarli per aiutare l’ambiente? Ridurrebbe solo dello 0,34% le emissioni di gas serra.
Non sono certo tempi di magra per il comparto dei prodotti a base vegetale che puntano a sostituire quelli di fonte animale: in Italia valgono 458 milioni di euro, un fatturato che si stima crescerà in modo esponenziale. Ma se si dirottassero maggiori investimenti sulle proteine vegetali alternative i danni per economia e salute non si farebbero attendere.
Gli scaffali e i banco-frigo dei supermercati pullulano di finta carne e finte uova. Al loro posto, mix di vegetali e altre sostanze che dopo vari processi industriali diventano finti hamburger, finte polpette, finte cotolette, finte frittate e via dicendo. Per sapore e forma assomigliano agli originali di origine animale, ma è tutto a base di ingredienti ultra trasformati.
Il mercato delle proteine alternative è in rapida crescita: Boston Consulting Group stima che nel mondo si attesterà sui 290 miliardi di dollari di business entro il 2035 e che una porzione su dieci di carne, uova, latticini e frutti di mare consumati in tutto il mondo sarà prodotta da proteine alternative entro il 2035. Dal rapporto Food for thought: the protein transformation si prevede un aumento dagli attuali 13 milioni di tonnellate all’anno a 97 milioni entro il 2035, quando costituirà l’11% del mercato totale delle proteine. Ma tecnologie più innovative e un maggiore supporto normativo potrebbero accelerare la crescita fino al 22% del mercato entro il 2035.
Il mercato delle ##ProteineAlternative si attesterà sui 290 miliardi di dollari entro il 2035 e arriveranno a costituire l'11% del mercato totale delle #proteine. Condividi il TweetNello specifico, Stati Uniti, Canada ed Europa rappresentano i mercati più maturi per le proteine alternative, con molti di questi prodotti sugli scaffali dei supermercati già da diversi anni. L’America Latina e il resto del mondo – secondo le previsioni del Report- cresceranno rapidamente, ma rimarranno marginali.
Dunque è tempo di vacche grasse per gli investitori che hanno fiutato il business della lavorazione delle proteine alternative: negli ultimi anni ha attirato super investimenti: solo nel venture capital si è passati da poco più di 600 milioni di dollari del 2018 ai 4,5 miliardi del 2021 (dati Dealroom).
Impatti
Non ha senso puntare tutto sulle proteine vegetali. In primis perché non si risolverebbe il problema dell’inquinamento ambientale e poi perché si creerebbero problematiche a livello sanitario ed economico.
La zootecnia italiana vanta emissioni inferiori del 50% rispetto alla media globale, grazie agli investimenti per rendere le stalle più efficienti e per incrementare la produzione di biogas e biometano, quindi energia rinnovabile creata dagli scarti di lavorazione. Tra l’altro, un recente studio Impact of plant-based meat alternatives on cattle inventories and greenhouse gas emissions, ha analizzato cosa accadrebbe se aumentasse il consumo delle carni vegetali a discapito di quelle tradizionali e lo scenario mostra che ci sarebbe una riduzione solo dello 0,34% delle emissioni di gas a effetto serra. Da non tralasciare, poi, che i sostitutivi di latte e carni, sono prodotti ultraprocessati che prima di arrivare sugli scaffali richiedono grandi quantità di energia e di acqua per la produzione.
Dal punto di vista economico, la zootecnia italiana nel complesso – allevamento e trasformazione industriale per i settori bovino, suino e comparto lattiero caseario – conta su un giro d’affari di oltre 46 miliardi di euro. Una crisi innescata da una forzata crescita delle proteine vegetali a discapito di quelle animali comporterebbe pesanti ricadute di fatturato e occupazionali. Tra l’altro, il settore è già in sofferenza per il del caro materie prime, caro bollette e criticità legate al conflitto tra Russia e Ucraina: non a caso è stato stanziato un miliardo e duecento milioni per salvare la filiera agroalimentare del made in Italy. Un provvedimento che punta a ridurre anche la dipendenza dall’estero: sul fronte carni l’Italia produce solo il 51% della carne bovina, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra, il resto lo importa.
Dal punto di vista nutrizionale le proteine nobili di origine animali non hanno uguali: presentano un miglior assortimento di aminoacidi essenziali e sono digerite, assorbite e utilizzate con grande efficienza dall’organismo, senza dimenticare che carni, latticini e pesce contengono molte altre sostanze importanti, come il “ferro eme” assorbito con molta facilità dal corpo umano.
Le proteine presenti nei vegetali presentano spesso degli aminoacidi limitanti, ossia degli aminoacidi essenziali che sono presenti in quantità limitata. Gli alimenti vegetali contengono sì ferro, ma “non eme” il quale ha una assimilazione molto più lenta e difficile (biodisponibilità).