Il delicato argomento dell’uccisione
Prima o poi, ma sarebbe meglio subito, dovremmo trovare il coraggio di affrontare dapprima intellettualmente e poi davanti alla gente il delicato argomento dell’uccisione degli animali da allevamento. La morte spaventa tutti noi, e su questo tema da tempi immemorabili l’uomo ha trovato molti modi per esorcizzarla con la cultura e con la religione.
Tutti assistiamo con disagio alle discussioni sul fine vita di persone con malattie incurabili che danno una pessima qualità della vita e privano di ogni speranza. Discussione che nel mondo occidentale è ben lontana dal trovare una soluzione.
Il tanto agognato ritorno alla naturalità fa dimenticare quanto siano spietate le leggi della natura, puntualmente descritte da tanti intellettuali e scienziati ma riassumibili nella “selezione naturale del più forte” magistralmente descritta da Charles Darwin nel 1859 ne “L’origine della specie”.
L’uomo, nel suo lungo cammino sulla Terra, per sopravvivere ha dovuto “domare” la natura ed asservirla alla propria sicurezza e salute. La scienza ha permesso all’uomo di ridurre al minimo la competizione con le altre specie che popolano il pianeta e risolvere i problemi primari del proteggersi dalle intemperie, dalla fame e dalla sete. Per questo sono nati l’agricoltura e gli agglomerati urbani.
Il cacciatore/predatore di allora ha imparato a domesticare alcuni animali che cacciava e a coltivare la terra. Gli animali che l’uomo decise di domesticare per farne cibo o ricavarne aiuto nella caccia o nel lavoro hanno avuto il grande vantaggio evolutivo di non estinguersi e di diffondersi sulla terra a scapito delle specie selvatiche, e questo ha un’importanza non marginale.
Insomma, l’uomo ha plasmato la natura per le sue necessità e ciò che è rimasto di “naturale” lo è perché l’uomo ha deciso che restasse così. Forse anche per un senso di colpa. Uccidere un animale per cibarsene è il comportamento naturale di qualsiasi predatore, e l’uomo è un predatore che può completare la sua dieta anche con essenze vegetali.
Nessun allevatore sano di mente prova piacere nell’uccidere un animale per trasformarlo in cibo. Lo considera un atto naturale. La vita si estingue nella morte e la morte genera la vita. Nelle culture primitive la caccia e l’uccisione degli animali allevati era spesso ritualizzata. Molti di questi rituali sopravvivono ai nostri giorni.
Una quantità sempre crescente di persone è a disagio nel pensare che sta mangiando carne di un animale che è stato ovviamente ucciso, pertanto modifica il suo stile alimentare. Dimentica comunque che l’uccidere rimane nei suoi comportamenti quotidiani quando usa un insetticida per le mosche e le zanzare, quando distribuisce veleno per i topi o assume un antiparassitario o un antibiotico. O quando estirpa un infestante.
Sarebbe utile che i media, invece di accanirsi contro gli allevatori, promuovessero questi dibattiti pur sapendo che ciò è sgradevole: certi argomenti creano infatti disaggio e la gente si vuole solo divertire, o guardare con morbosità nel buco della serratura della vita altrui.
Di converso, la nostra filiera ha da tempo preso coscienza della necessità di non provocare inutili sofferenze fisiche e psichiche agli animali, adottando sempre più tecniche di macellazione che garantiscano un elevato livello di benessere animale e continuando a reprimere e isolare i comportamenti non virtuosi (spesso la negligenza di pochi mette in forte difficoltà i più, che ogni giorno lavorano in modo corretto). Del resto, a differenza di quanto avviene in altre parti del mondo, in Italia e in Europa il benessere animale è preso molto sul serio e un suo mancato rispetto è un reato.
La persona che forse più di ogni altra ha trovato una risposta al disagio dell’uomo per l’uccisione degli animali e il diritto di questi di non soffrire è Temple Gardin. Il suo essere autistica e scienziata del comportamento animale le ha permesso di trovare forse la migliore risposta tecnica ma anche morale a questo grande problema.
La Gardin ha saputo trasformare la sua grave malattia in un’opportunità da cui l’uomo e gli animali stanno traendo grande beneficio. E’ celebre la sua considerazione per cui il pensare per immagini, tipico dell’autismo, le ha reso possibile il comprendere il pensiero degli animali e più specificatamente dei bovini.
Tra i suoi primi lavori c’è stato quello di organizzare il percorso degli animali verso il punto di macellazione senza arrecare loro stress e inutili angosce. Lo ha fatto immedesimandosi con il loro sentire. Oggi oltre il 75% dei mattatoi statunitensi segue il “metodo Gardin”, perché molte catene del food richiedono questo standard. Per conoscere meglio il suo pensiero, consiglio di leggere il suo libro “La macchina degli abbracci”.
Alessandro Fantini
Alessandro Fantini è veterinario, Direttore responsabile di Ruminantia® e Presidente della Società Italiana di Buiatria