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Il business della carne artificiale è già al capolinea?

Nonostante gli investimenti plurimiliardari in ricerca, sviluppo, marketing e lobbying da parte di chi ci ha scommesso sopra cifre astronomiche, la produzione di carne artificiale sta trovando più ostacoli del previsto.

È passato ormai più di un decennio da quando il primo hamburger di carne coltivata in laboratorio è stato presentato dall’Università di Maastricht, al “modesto” costo di 330.000 dollari. All’assaggio era risultato molto simile alla carne, ma trattandosi di semplici fibre muscolari fatte proliferare a partire da cellule prelevate da un bovino, era risultato comprensibilmente piuttosto secco e asciutto, per la totale assenza di succhi e di grasso. In quel momento erano già stati espressi molti dubbi sul fatto di poter produrre la carne artificiale su larga scala, a causa del procedimento molto costoso. Ma poi, nonostante le difficoltà, centinaia di aziende in tutto il mondo hanno investito più di 3 miliardi di dollari nella ricerca e sviluppo di questa tecnologia.

Perché gli investitori erano così desiderosi di gettare i loro soldi in questa idea? Perché l’industria della carne vale 900 miliardi di dollari all’anno e un bel pezzo di quella torta fa gola a molti. Ecco perché le aziende produttrici di carne artificiale hanno iniziato a promuoverla come un’alternativa cruelty free alla macellazione e all’allevamento, facendo credere che questa potesse risolvere problemi come la fame nel mondo e il cambiamento climatico. Veniva ripetuto continuamente che la carne artificiale, quando riprodotta su larga scala utilizzando energia rinnovabile, avrebbe generato il 90% di emissioni di gas serra in meno e il 90% di utilizzo di suolo in meno rispetto agli allevamenti. Ma è la condizione “quando riprodotta su larga scala utilizzando energia rinnovabile” che è sfuggita l’attenzione delle persone.

Troppa energia, troppi costi, poche rese

Al momento nessuno è riuscito ad utilizzare il 100% dell’energia da fonti rinnovabili e a produrla su larga scala. Anzi, quando l’Università della California ha esaminato il modo in cui viene fatta attualmente e cioè su piccola scala e utilizzando ingredienti e bioreattori tipici dell’industria farmaceutica, è stato calcolato un impatto ambientale di 4, 25 e fino a 50 volte più alto per chilo di carne artificiale prodotta, rispetto all’allevamento tradizionale. Fino ad oggi, è stato ipotizzato tutto in teoria, ma nella pratica le cose sono molto diverse e non è detto che la sua produzione sarà veramente migliore per l’ambiente.

Il problema è che bisogna ricreare tutto quello che avviene nel corpo dell’animale in un grande serbatoio d’acciaio, mantenere la temperatura e il pH costanti, fornire ossigeno e tutti i nutrienti di cui hanno bisogno le cellule per moltiplicarsi, come ormoni della crescita, e antibiotici per mantenere il tutto sterile e difeso da batteri, virus e malattie. Al momento viene usato un liquido con siero fetale bovino che contiene tutti questi ingredienti, acquistato da un’unica casa produttrice e che ha un costo altissimo.

Al momento la più grande fabbrica biofarmaceutica al mondo per la produzione di carne artificiale si trova in Corea del Sud, dove sono stati investiti circa 1,4 miliardi per un impianto grande quanto 29 campi da calcio messi insieme, esteso su 23,8 milioni di metri quadrati. All’interno ci sono molti bioreattori dalla capacità totale di oltre 250mila litri. Può sembrare tanto, ma se si confronta con uno dei maggiori produttori di carne bovina, pollame e suina al mondo come Tyson, anche se questi bioreattori dovessero stare accesi notte e giorno per un anno in intero, produrrebbero comunque meno carne di Tyson in un giorno.

Questo significa che c’è bisogno di qualcosa di enormemente più grande di quella struttura, cosa di fatto impraticabile. Alcuni anni fa l’azienda Eat Just ha annunciato di voler costruire una struttura con dieci enormi bioreattori da 250mila litri ciascuno, ma gli esperti hanno ipotizzato che le cellule potrebbero anche non crescere in bioreattori così grandi, perché non è mai stato testato su quella scala e alla minima contaminazione si rischia di perdere tutto. Al momento l’azienda è stata citata legalmente dalla società che avrebbe dovuto costruire quei bioreattori, per mancati pagamenti per oltre un milione di dollari, e anche un’altra società che l’anno scorso aveva annunciato una costruzione su larga scala, ha poi messo in pausa l’intero edificio solo cinque mesi più tardi. Gli investimenti nella carne artificiale infatti adesso seguono un trend fortemente verso il basso, proprio perché ancora nessuno ha risolto questi problemi.

Le alternative all’alternativa artificiale

Si sta così diffondendo l’idea di fare dei prodotti ibridi, cioè dei cibi che contengono un mix di ingredienti vegetali e piccolissime quantità di carne artificiale. Ad esempio, Good Meat 3 è un prodotto ibrido di Eat Just con solo il 3% di carne di pollo artificiale, ma alcuni hanno chiesto se è giusto definirlo un prodotto ibrido con una percentuale di cellule di carne coltivata così piccola. Sicuramente non è quello che inizialmente queste aziende avevano promesso, ma al momento questa è una strada da percorrere per non arrivare al prematuro fallimento totale. Un’altra opzione è quella di modificare le cellule di partenza per far sì che crescano bene nel bioreattore: si tratterebbe dunque di modificare geneticamente le linee cellulari, in modo da ottenere il prototipo di cellula migliore possibile, che sia adatta alla crescita artificiale, rapida e a basso costo. A quel punto però, non si potrà più parlare di carne di manzo, pollo o maiale, ma sarà tutta un’altra cosa che non esiste in natura e non appartiene a nessun animale.

Insomma, per come stanno adesso le cose, sfamare il mondo con la carne artificiale è praticamente impossibile. Ma se non si troverà niente che si adatti a crescere in un bioreattore, l’unica opzione rimanente sarà prendere piccoli pezzi di DNA da animali diversi per creare la cellula perfetta. Quindi qualcosa che è stato geneticamente modificato per fare qualcosa di totalmente nuovo, che non appartiene in realtà a nessun animale esistente.

Probabilmente sarà questa la strada che le aziende percorreranno, venendo meno a quanto avevano promosso e promesso. Ma a quel punto, quale sarà il suo valore nutrizionale? Anche considerando che FAO e WHO hanno già elencato 53 potenziali pericoli per la salute, quando si parla di carne in vitro. E la domanda più importante: le persone saranno d’accordo nel consumare un prodotto del genere?

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.