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Guerra in Ucraina: il grano e la carne

La guerra in Ucraina ha contribuito a far schizzare in alto i prezzi di materie prime e cereali. Ciononostante, non ci dovrebbero essere ripercussioni né sulla quantità né sulla qualità delle produzioni zootecniche.

Nessun timore per carne e latte, o per tutti gli altri prodotti di origine animale. La tempesta che si è scatenata sui mercati dei cereali, come il grano, il mais, l’orzo e sulla soia, non avrà ripercussioni né sulla quantità e tantomeno sulla qualità delle produzioni zootecniche. Certo, i prezzi delle materie prime per l’alimentazione animale sono schizzati verso l’alto. Non c’è da stupirsi. Da sempre, quando la domanda supera l’offerta, i prezzi aumentano. Il conflitto fra Russia e Ucraina ha semmai esacerbato una situazione in atto da tempo.

Già a febbraio del 2021 i prezzi del mais, uno dei principali componenti della dieta per gli animali, erano cresciuti a dismisura. Nella primavera dello scorso anno le quotazioni del mais avevano toccato i 23 euro al quintale, con un aumento di quasi il 30%.Oggi quello stesso quintale costa circa 40 euro, con una crescita prossima al 70% rispetto a 12 mesi fa. Analoga situazione, non poteva essere altrimenti, sulle altre componenti della razione per gli animali.

I costi per produrre carne e latte sono dunque aumentati di molto, per giunta in coincidenza con l’impennata della bolletta energetica. Così si è creata una “strozzatura” che ha pesato sul mondo degli allevatori, che non hanno potuto scaricare l’aumento dei costi sui prezzi di vendita. Colpa della rigidità della filiera produttiva e della resistenza dell’anello finale, la distribuzione, restia a ritoccare verso l’alto i listini.

La #guerra in #Ucraina ha contribuito a far schizzare in alto i prezzi di #MateriePrime e #cereali, ma non ci saranno ripercussioni sulle #ProduzioniZootecniche. Condividi il Tweet

Ma perché i prezzi dei cereali e della soia erano in fibrillazione già dallo scorso anno? Alcune cause si possono cercare nei cambiamenti climatici, che hanno ridotto le produzioni. È accaduto ad esempio in Canada, a causa della siccità.

Alle cause ambientali si è aggiunta la nuova politica degli approvvigionamenti decisa da Pechino. Il “gigante” cinese lo scorso anno ha raddoppiato le sue scorte, generando un primo importante aumento della domanda che si è riverberato sui prezzi. Il conflitto in atto fra Russia e Ucraina, grandi produttori di cereali, ha compiuto il resto.

L’Italia, che sino a 15 anni fa produceva una quantità di mais sufficiente ai propri fabbisogni, oggi è costretta a importare circa il 50% delle quantità necessarie. Conseguenza del costante deprezzarsi in passato delle quotazioni di questo cereale, rendendone antieconomica la produzione.

Con i prezzi alle stelle, si dirà, gli agricoltori troveranno di nuovo conveniente seminare mais. Giusta osservazione, valida però solo in teoria. Perché le semine si fanno ora, ma i raccolti arriveranno solo a settembre. In quel mese la “bolla del mais” potrebbe essere svanita e i prezzi di nuovo inferiori ai costi di produzione.

Dunque seminare mais oggi è una “scommessa” sul futuro. Gli imprenditori agricoli ne sono consapevoli e non è certo l’aleatorietà del mercato a spaventarli. Semmai sono preoccupati per le “complicazioni” che possono arrivare dalle scelte di Bruxelles in tema di politica agraria.

L’Italia fino a 15 anni fa produceva una quantità di #mais sufficiente ai propri fabbisogni. Oggi è costretta a importare circa il 50% delle quantità necessarie. Condividi il Tweet

Sino a pochi mesi fa l’Unione europea diceva: “Non seminate, non coltivate, non concimate”. Questo in sintesi il messaggio della riforma della PAC (politica agricola comune), che impone dal prossimo anno il “riposo” dei terreni (in pratica lasciati incolti) su circa nove milioni di ettari.

A completare il quadro le politiche del Farm to Fork, che vorrebbero frenare agricoltura e allevamenti. Progetti che però molti studi hanno bollato come “fallimentari”. Ma l’emergenza sanitaria prima e il conflitto poi, hanno messo in primo piano l’importanza strategica del cibo. A Bruxelles si è fatto dietrofront, ma solo parzialmente e in via provvisoria. L’idea è quella di riprendere da dove ci si è interrotti, a dispetto delle evidenze.

Tornando al tema delle semine, se per il mais e altre foraggere siamo ancora in tempo, per il grano i giochi sono chiusi. Occorre attendere l’autunno e per ora dovremo accontentarci di quanto è stato seminato nel 2021. Facile allora prevedere che il prezzo del grano continuerà ad essere sostenuto, tanto più che un grande produttore come l’Ucraina ha purtroppo ben altri problemi da affrontare. E i flussi dalla Russia potrebbero trovare nuovi ostacoli.

Che fare allora? Dal ministro dell’Agricoltura della Germania, Cem Ozdemir, arriva la stravagante idea di ridurre il consumo di carne. Così, questa la tesi, ci sarà più grano per il pane. Speriamo che qualcuno dello staff del ministro tedesco si premuri di spiegargli che il grano non fa parte della dieta degli animali, specie quando il prezzo è alle stelle, come ora.

Seminare #mais oggi è una scommessa sul #futuro, per la #guerra in #Ucraina e per eventuali complicazioni dalle scelte di #Bruxelles sulla #PoliticaAgraria. Condividi il Tweet

Gli animali, al contrario, ci danno una mano a sfamare l’uomo e in questa stagione proiettata verso nuove povertà (che fanno rima con fame) non è cosa da poco. Si pensi ai ruminanti, in grado di trasformare erba e foraggi, per noi indigeribili, in preziose proteine. O ai monogastrici capaci di alimentarsi anche con derivati delle industrie molitorie o dei prodotti che residuano dalle industrie alimentari. Tutti alimenti inutili per l’uomo, difficili da gestire e smaltire, di forte impatto ambientale, ma preziosi per gli animali, che si occupano di trasformarli in cibo buono.

E se anche questo non basta a superare i pregiudizi che animano talune affermazioni, non dimentichiamo l’apporto che gli animali danno all’ambiente. Le politiche del Farm to Fork vogliono limitare l’uso dei fertilizzanti? Giusto, forse. Ma non si dice quanto sia meglio utilizzare il letame. Apporta humus, migliora le condizioni chimico fisiche del terreno e lo rende capace di trattenere l’acqua per poi cederla alle piante. Un prezioso alleato contro la desertificazione che avanza. Diciamo anche questo, a chi vorrebbe chiudere le stalle.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.