Futurepower: è italiana la tecnologia per la rigenerazione organica delle deiezioni
È possibile risolvere gli eventuali problemi legati agli spandimenti di liquami negli allevamenti aumentando allo stesso tempo l’efficienza e la redditività delle imprese agricole e zootecniche? C’è chi assicura di sì. Come Marco Baudino, Amministratore Unico e Direttore Tecnico del Gruppo Futurepower.
Si è parlato molto di spandimenti di liquami zootecnici in Pianura Padana, in questi ultimi tempi, addossando agli allevamenti colpe generalmente non sue (a partire da quelle legate alla diffusione del Covid-19). Una azienda italiana, operativa anche in questi tempi di polemiche e pandemia, garantisce di risolvere nel modo più efficace ed efficiente i problemi legati alle deiezioni animali. Si chiama Futurepower ed è una società che promuove un progetto integrato di sistema per sviluppare soluzioni di vera economia circolare applicabile: materiali naturali di scarto (come la lolla di riso), per prodotti naturali di ampie funzionalità (Vipot), gestiti nel fine vita attraverso tecnologie che riproducono processi naturali e controllabili di decomposizione, con valorizzazione energetica di recupero. Il legame con la zootecnia, spiega Marco Baudino, è che questa “riceve dai nostri processi un beneficio per la rigenerazione organica delle deiezioni e la parallela valorizzazione energetica”.
Ci può fare un esempio di vostro progetto in qualche allevamento?
In Trentino abbiamo appena iniziato la costruzione di un impianto clone di molti oggi operativi in Svizzera e Germania, in particolare dedicato ad un allevamento di bovini da carne con 150 uba. È un MINI Digestore Anaerobico ad altissima efficienza dedicato al singolo allevamento, in una ipotesi di installazione vincente, autonoma. Insomma “a ciascun allevatore il suo proprio impianto”. Senza necessità di complicati consorzi.
Il controllo puntuale dell’alimentazione, che “non sgarra” perché uscente solo dal proprio allevamento, abbinato ad un processo al massimo della sua efficienza (brevetto “anaerobiosi a solido”), permette da una parte la produzione di concimi naturali ad altissimo valore nutrizionale per il suolo e di prosperità della biodiversità – cosicché l’allevatore non deve più “gettarlo” (spanderlo) su terreni già magari al limite di vulnerabilità; dall’altra la produzione di energia pulita, elettrica e termica. La prima in rete o accumulata per utilizzi “moderni” (…); la seconda utile all’allevamento stesso o a implementare attività collaterali (i.e. serre idroponiche, allevamenti di insetti, attività in utenze termiche a valore aggiunto).
Che differenza c’è tra il vostro mini-digestore anaerobico e quelli “tradizionali”?
La stessa differenza che c’è tra una vettura elettrica e una endotermica: la performance eccellente e l’efficienza di funzionamento. Paragoni paralleli a parte, la tecnologia a solido rispetto a quella tradizionale a umido, permette di estrarre meglio (volume per tonnellata), più velocemente (da 21 a 28 giorni il tempo di ritenzione contro 55-60) e senza diluizioni di materia (non si deve disciogliere il solido in un liquido) il biogas naturalmente emesso dalle deiezioni in decomposizione. Gestendo il 40% di materiale in meno (di fatto l’acqua aggiunta come vettore di processo) si migliora l’estrazione, si riduce drasticamente l’autoconsumo di energia termica (ad un terzo circa) e di energia elettrica (ad un ottavo almeno) e si hanno vantaggi di conduzione impianto ridotti alla cadenza di una volta a settimana. Insomma, per 6 giorni su 7 l’impianto non richiede nessuna movimentazione ed assistenza. Tutto è gestito in modo statico, senza movimentazioni alcune se non la sola gestione in automatico dell’acqua di percolazione.
La vostra tecnologia porta quindi benefici economici, oltre che ambientali, alle aziende che decidono di adottarla?
Enormi, oggi sconosciute attraverso le tecnologie tradizionali.
Le vostre soluzioni possono essere implementate anche in aziende più grandi, con più capi allevati, magari in zone come la Pianura Padana?
La estrema elasticità e flessibilità dei nostri impianti permettono impostazioni che si basano su concetti di gradualità e di modularità. Scelto il primo modulo alla minima dimensione esattamente idonea alle esigenze dell’allevamento, gradualmente viene portato alla sua massima prestazione. E poi, se ci sono potenzialità residue, interviene la modularità, ovvero la possibilità di aggiungere moduli che possano far raddoppiare o triplicare (sono casi REALI) la potenza energetica originaria, con aumento della redditività specifica straordinaria. E a costi men che proporzionali! Davvero, a disposizione per mostrare i conti economici che questa nostra tecnologia garantisce.
Sta dicendo quindi che la vostra tecnologia permetterebbe di risolvere i problemi legati alle deiezioni animali negli allevamenti padani?
In maniera definitiva e radicale. Un sistema risolutivo, che raccoglie le deiezioni in eccesso, le trasforma in concime unico ad alto valore nutritivo, le insacchetta e le porta su un mercato enorme, se gestito in maniera corretta e soprattutto CREDIBILE, nella lotta alla desertificazione dei suoli. Mi piace affermare che “riportiamo le api, laddove sono sparite”.
Oggi tutti gli impianti conosciuti con tecnologie tradizionali spostano solo il problema, se esso è rappresentato dalla troppa concentrazione di allevamenti e dalla presenza di terreni ormai saturi e fortemente inquinati, da tutte le attività dell’uomo, non solo la zootecnia. La pianura Padana è un territorio ormai in grave difficoltà in termini di inquinamento dell’aria dell’acqua e quindi dei suoli. Non accenno a notizie di possibili correlazioni tra inquinamento e la concentrazione dei casi di COVID19. Ma i dati sono stati drammatici e le coincidenze impietose.
Che sia vero o meno, sta di fatto che la nostra è una tecnologia comunque di risoluzione del problema delle deiezioni e del loro spandimento, rispetto a quella di sola transizione della nostra concorrenza. Una vera rivoluzione in atto. Un beneficio risolutivo. Scientificamente dimostrato o ridimostrabile.