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Francia: rumori e odori di campagna protetti dalla legge

In Francia una legge tutela odori e rumori della campagna, presi di mira da coloro che vi si trasferiscono dalle città. Una conferma del totale distacco del mondo urbanizzato da quello agricolo, ormai sconosciuto ai più. Ma come evitare la disillusione della realtà “campagnola”, quando non la si conosce?

Nelle scorse settimane, in Francia, il Senato ha approvato in via definitiva e all’unanimità una legge per proteggere i rumori e gli odori della campagna. La tutela da parte delle Istituzioni del “patrimonio sensoriale” francese si è reso necessario per il crescente numero di dispute fra abitanti delle campagne e nuovi residenti provenienti dalle città. Che, soprattutto in tempi di coronavirus, sono aumentate tanto da intasare i tribunali d’Oltralpe. Questa legge ha in particolare due obiettivi: tutelare quella che in Francia è considerata una vera e propria identità culturale dei territori rurali, e fornire a sindaci e giudici uno strumento in più per gestire le ormai frequenti liti di vicinato in campagne sempre più affollate.

Dal canto del gallo al suono dei campanacci delle vacche, dall’odore del letame al gracidare delle rane, in Francia chi si trasferisce in campagna dalla città, aspettandosi di vivere in un contesto bucolico idilliaco che aveva solo immaginato o visto sui rotocalchi, non potrà più lamentarsi di rumori e odori che, invece, la nuda realtà di campi e stalle ti mette davanti una volta che ci vivi (o lavori) davvero.

La visione stereotipata della #campagna da parte di coloro che vi si trasferiscono dai #CentriUrbani è un #tranello in cui sono già caduti in molti. Condividi il Tweet

Il problema di gestire la disillusione quando ci si scontra con la realtà “campagnola” mentre ci si aspetta un contesto che esiste solo nei film e nei sogni non è solo dei cittadini francesi. La visione stereotipata della campagna da parte di coloro che vi si trasferiscono dai centri urbani è un tranello in cui sono già caduti in molti. Incluso il sottoscritto.

Infatti, dopo una vita spesa tra l’hinterland milanese, Roma e Londra, a trent’anni – saturo di caos, sporcizia e sovraffollamento – mi sono trasferito nella campagna piemontese. L’ho fatto per vari buoni motivi, a partire appunto dal bisogno di non avere più attorno tutta la gente, la confusione e l’inquinamento delle grandi città. Ma presto mi sono reso conto di averlo fatto con un’idea di vita rurale un tantino più patinata del dovuto.

Certo di lamentarmi degli odori o dei rumori di trattori e animali con le persone del luogo, che avevano tanto di stalla di vacche a dieci metri dal mio balcone, non mi è mai passato per la testa. Ma trovarmi a vivere in campagna (nel mio caso un paesino di poche centinaia di anime), invece che andarci solo per qualche ora nel fine settimana, è stato oltremodo istruttivo, e sotto certi aspetti traumatico.

Siamo ormai totalmente scollegati dal #MondoAgricolo, oltre che da quello naturale, e ne ignoriamo del tutto #leggi e dinamiche. Condividi il Tweet

Ci sono pro e contro nel trasferirsi in campagna da una grande città. All’improvviso ti trovi ad adottare una serie di stili di vita di cui avevi solo sentito parlare, con ritmi più tranquilli e a misura d’uomo – anche se a chi arriva dalla città una certa lentezza può risultare irritante, anche dopo anni.  O come il fare l’orto o l’avere un pollaio, che se da una parte ti rendono molto autocompiaciuto, dall’altra ti sbattono in faccia tutti i tuoi limiti nel riuscire a conciliare queste attività con il tuo lavoro “smart” al pc. E soprattutto la tua ignoranza: cosa sono queste piante? Quando si seminano queste o quelle varietà? Perché badare alla luna quando lo si fa? Ci sono mille domande a cui una persona cresciuta in campagna dà subito risposte di cui tu, cittadino, non hai la minima idea.

I contro comunque non riguardano il canto del gallo o l’odore del letame. Riguardano semmai il veder spruzzare antiparassitari su colture che stanno a pochi metri dal tuo giardino (e che sia peggio quello qualche volta in estate del traffico quotidiano in città è tutto da vedere). O magari alcuni aspetti della mentalità delle persone del luogo, nel bene e nel male molto diversa da chi arriva da grandi città. O ancora rendersi conto che vivendo in campagna non hai automaticamente un minor impatto ambientale. Anzi. Nonostante alcune verdure provenissero dal mio orto, e quindi davvero a km zero, la mia impronta ecologica era di gran lunga superiore in campagna che non in città. Nel centro di Londra, ad esempio, mi sono mosso per anni solamente con i mezzi pubblici, mentre in campagna per evitare l’isolamento ho avuto sempre bisogno di un’auto (diesel prima e a GPL poi – l’elettrico ancora di fatto non c’era).

Crediamo di sapere tutto perché abbiamo letto un paio di #libri o visto qualche #documentario, ma la visione che ci creiamo di #campagna, #animali o #foreste è distorta, più vicina ai cartoni di Walt Disney che alla realtà. Condividi il Tweet

Ma la cosa che mi ha più colpito, appunto, è stato il capire quanto sia diversa la realtà da quello che mi ero immaginato stando in città. Per adattarcisi serve un grande sforzo, devo ammettere, perché siamo molto, forse irrimediabilmente cambiati rispetto ai nostri antenati. Siamo ormai totalmente scollegati dal mondo agricolo, oltre che da quello naturale, e ne ignoriamo del tutto leggi e dinamiche. Crediamo di sapere tutto perché abbiamo letto un paio di libri o visto qualche documentario, ma la visione che ci creiamo della campagna, degli animali o delle foreste è distorta, più vicina ai cartoni animati di Walt Disney che alla realtà delle cose. Noi che arriviamo da contesti urbani (quasi tutti, ormai) amiamo o odiamo l’idea che ci siamo fatti della campagna, non la campagna stessa.

E questo succede in tutto – basti pensare agli abbagli del veganismo e dall’animalismo da salotto oggi in voga, che creano danni, disillusioni e fraintendimenti che portano appunto chi si approccia a certi dogmi a non capire, almeno agli inizi, che sono solo un mito, e chi trasferisce in campagna a lamentarsi con chi è lì da sempre degli odori o dei rumori del luogo. Un’allucinazione moderna che è giusto ridimensionare, prima che la situazione ci sfugga di mano e ci porti ad avere, anche per colpa di sedicenti amanti di una natura plastificata, una campagna svuotata di ogni sua caratteristica e funzione.

Noi che arriviamo da contesti #urbani (quasi tutti, ormai) amiamo o odiamo l’idea che ci siamo fatti della #campagna, non la campagna stessa. Condividi il Tweet

Se volete trasferirvi in campagna fate pure, ma mi permetto un consiglio: adattatevi voi a lei, non aspettatevi il contrario; siate disposti ad imparare, evitando così di prendere sane lezioni di umiltà come già successo ad alcuni animalisti, invece che lamentarvi di non trovarvi a vivere in un parco tematico. E prima di compiere questo passo, fate tesoro dell’esperienza (e dell’ironia) di chi lo ha fatto prima di voi. Come suggerito dal divertente video qui sotto.

Giornalista specializzato in sostenibilità, cambiamento climatico e temi ambientali, scrive per diversi giornali, riviste e siti Web. Da una decina di anni è molto attivo sia come relatore che come moderatore presso eventi sempre legati alla sostenibilità ed alla green economy. Laureato in sociologia, fra i temi su cui focalizza il suo lavoro spiccano gli impatti delle produzioni alimentari, a partire da quelli legati alla zootecnia ed ai cibi animali. A fine 2018 ha pubblicato il libro “In difesa della carne”, edito da Lindau.