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Fame di proteine, ecco le risposte

Gli allevamenti si stanno preparando a nutrire un mondo sovraffollato, migliorando al contempo l’impatto sull’ambiente.

Ci attende un mondo molto più popolato: chi se ne intende parla di 10 miliardi di persone nel 2050, fra appena 29 anni. Facile prevedere che la maggior spinta demografica giunga dai paesi in forte sviluppo, dove l’economia è in maggiore crescita. Emblematica a questo proposito la recente decisione del governo cinese di alzare a tre il numero dei figli consentiti a ogni coppia. Più persone e con maggiori capacità di spesa si tradurrà con tutta probabilità in aumento del consumo di carne.

È una “naturale” evoluzione conseguente all’aumentato potere d’acquisto. Poco potrà fare l’Europa per controbilanciare questa crescita con la sua controproducente e contraddittoria politica del Farm to Fork, tesa a ridurre gli acquisti di carne. Nel Vecchio Continente il consumo di carne (reale, non quello apparente delle statistiche) è già a livelli fisiologici e l’Italia, con i suoi 38 kg di carne procapite all’anno è un virtuoso esempio al quale ispirarsi.

In Italia il consumo di #carne (reale, non quello apparente delle statistiche), con 38 kg procapite all’anno, è un virtuoso esempio al quale ispirarsi. Condividi il Tweet

Così, mentre la produzione mondiale di carne è stimata dalla Fao in 339 milioni di tonnellate per anno (con riferimento al 2019), nel mondo del 2050 si arriverà a 465 milioni tonnellate. Ma ci sono le risorse sufficienti a sostenere questa crescita? E sul piano della sostenibilità, cosa potrebbe accadere?

Da tempo la scienza è al lavoro per rispondere a questi interrogativi e già oggi ci offre alcune risposte su come affrontare la “fame di proteine” (non solo quelle animali) senza incidere sull’ambiente. L’attenzione all’impiego di soia proveniente da produzioni ottenute senza deforestazione va in questa direzione. In Europa, ricorda Fefac, l’associazione delle imprese mangimistiche, il 78% della soia impiegata risponde ai criteri di sostenibilità.

In #Europa, ricorda #Fefac, l’associazione delle imprese mangimistiche, il 78% della #soia impiegata risponde ai criteri di #sostenibilità. Condividi il Tweet

La soia, grazie al suo elevato contenuto proteico e alla buona composizione aminoacidica è la leguminosa di riferimento per l’alimentazione degli animali monogastrici, come polli e suini. Ma di soia in Europa ce n’è poca e ancor meno in Italia, tanto da doverne importare oltre 4 milioni di tonnellate ogni anno. Nulla di fronte alla Cina, che da sola importa cinque volte di più di tutta l’Unione europea.

Non è dunque all’Italia e nemmeno a tutta l’Europa che bisogna guardare, quando si pensa alla soia come causa di deforestazioni o altri scempi ambientali. Tanto più che lo stesso Brasile, fra i più grandi produttori mondiali, dichiara con forza di aver messo sotto controllo la coltivazione di soia, limitandone la produzione al rispetto di precisi vincoli ambientali.

La #Cina da sola importa cinque volte più #soia di tutta l’#UnioneEuropea. Condividi il Tweet

Ma non è la soia, da sola o insieme alle altre colture proteiche, che potrà rispondere alla “fame di proteine” di oggi e soprattutto di domani, quando crescerà la “fame di carne”. Occorrono altre fonti proteiche, sia per gli animali sia per l’uomo. Una di queste è rappresentata dagli insetti, che negli ultimi tempi hanno ricevuto il via libera delle autorità comunitarie per essere annoverati fra i “novel food” e come tali arrivare direttamente sulle nostre tavole. Ma il loro ruolo resta limitato (e lo sarà ancora per lungo tempo, per la gioia di molti) all’alimentazione degli animali.

Pur se con una forte variabilità, che dipende dalla specie e dal substrato di allevamento, gli insetti vantano un elevato contenuto proteico, paragonabile a quello della soia. La chitina dei loro esoscheletri, insieme ad altri elementi bioattivi in essi contenuti, promettono interessanti effetti sul sistema immunitario degli animali da allevamento. Vantano poi la presenza di acidi grassi (il laurico fra questi) ai quali si attribuiscono proprietà antimicrobiche. Si vedrà in seguito quanto utili per ridurre ulteriormente l’impiego di antibiotici in zootecnia. Una loro influenza positiva è segnalata poi sul fronte del benessere animale. Le larve vive, messe a disposizione di polli e galline, stimolano comportamenti naturali che ne aumenterebbero appunto lo stato di benessere.

Occorrono altre #FontiProteiche oltre alla #soia, negli #allevamenti. Una di queste è rappresentata dagli #insetti. Condividi il Tweet

Ci sono però dei limiti. Della variabilità del loro valore nutritivo si è detto. L’altro è di carattere normativo. Per l’Unione europea quello degli insetti è un allevamento come tutti gli altri. E dunque deve sottostare alle stesse regole. Ne consegue che non si possono utilizzare rifiuti o scarti di origine animale. In quanto “animali” il loro impiego nell’alimentazione delle altre specie è vietato, con l’unica eccezione dei pesci. Ma presto, si dice nei corridoi di Bruxelles, si darà il via libera al loro utilizzo nell’alimentazione delle specie avicole.

Ma c’è un altro scoglio da superare, quello dei costi. La farina di insetto ha prezzi enormemente più alti rispetto a qualunque altra fonte proteica, farina di pesce compresa, che è una delle più care.

Per l’Unione europea quello degli #insetti è un #allevamento come tutti gli altri. E dunque deve sottostare alle stesse regole. Condividi il Tweet

Simili alla farina di pesce e con un contenuto proteico altrettanto elevato, intorno al 60%, sono le microalghe, la più “famosa” delle quali è probabilmente la “spirulina” (Arthrospira platensis), già nota per il suo impiego nell’uomo. Molte altre sono le microalghe di interesse per l’alimentazione zootecnica, grazie al buon contenuto proteico e alla presenza di carboidrati e grassi che garantisce un interessante apporto energetico. Si stanno valutando poi le proprietà antimicrobiche e antiossidanti di alcuni micronutrienti in esse contenuti.

I punti di debolezza, anche in questo caso, sono la composizione variabile, cui si aggiunge una quota di indigeribilità delle pareti cellulari. Infine, gli elevati costi di produzione che ne rendono del tutto antieconomico, per il momento, l’impiego. Problema che l’affinamento delle tecniche e l’aumento della produzione potrebbe in futuro risolvere.

Il mondo degli allevamenti si sta dunque “attrezzando” per produrre più carne e per farlo nel modo più sostenibile. Non è la prima volta che questa impresa riesce. È accaduto nella metà del secolo scorso, innovando e perfezionando coltivazioni e allevamenti per nutrire un mondo che in pochi decenni passava dai 2,5 miliardi del 1950 ai sei miliardi di abitanti del 2000, sino agli odierni 7,85 miliardi di persone.  Ora si dovrà ripetere un analogo “miracolo”, ma senza uscire dal perimetro della sostenibilità. Gli strumenti ci sono e si sta lavorando per metterli a punto.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.