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Fake meat, produttori e scienziati: stop alla carne finta!

Pensate davvero di seguire una dieta più sana o più “etica” acquistando costosi prodotti sostituivi della carne? Attenzione, perché potreste sbagliarvi. L’appello lanciato da #stocoicontadini del Villaggio Coldiretti: il Ministero della Salute deve bloccarne la diffusione, in attesa di colmare i pesanti vuoti di normativa e conoscenze.


Per quanto alcuni diano per scontato che escludere carne e salumi dalla propria dieta sia più etico o più sostenibile, sappiate che sotto molti aspetti non è affatto vero. Lo confermano numerosi esperti che, dal Villaggio Coldiretti al Circo Massimo di Roma, in cui si celebra il primato della biodiversità alimentare italiana, lanciano un appello per considerare i rischi della carne sintetica prodotta in vitro. Che, con un’aggressiva campagna di marketing, alcune aziende americane stanno promuovendo anche sul nostro territorio.

Sul tema si sono confrontati in un workshop Elisabetta Bernardi, nutrizionista dell’Università di Bari, Maria Caramelli, Direttrice dell’Istituto Zooprofilattico di Torino, Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti, e Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare e AD Inalca.

Oltre alla questione della carne prodotta in laboratorio, al centro del dibattito si è posto anche il tema del “meat sounding”, ossia l’utilizzo fraudolento di denominazioni commerciali tipiche di prodotti carnei per prodotti di origine vegetale. Il meat sounding è in contrasto con le indicazioni della Commissione Europea in base alla quale le informazioni per il consumatore non devono essere fuorvianti riguardo alle caratteristiche dell’alimento e, in particolare, alla sua natura e composizione (Reg. (CE) 1169/2011). Tra le motivazioni legate alle scelte veg, viene erroneamente evocato anche il presunto problema dell’impatto ambientale degli allevamenti.

“L’allevamento nel mondo ha un peso molto relativo: è all’origine del 15-18% delle emissioni globali ed è assurdo quindi ignorare i veri responsabili della crisi climatica in corso, come il settore dei trasporti e quello energetico che, a differenza di vacche, polli e maiali, sono tanto dipendenti dai combustibili fossili da incidere sulle emissioni globali per un massiccio 65-70%”, spiega Luigi Scordamaglia: “Inoltre in Italia vantiamo uno dei modelli zootecnici più sostenibili del pianeta, anche grazie all’impegno fatto nel promuovere le buone pratiche. Senza considerare il contributo del settore zootecnico nel preservare paesaggi, territori, tradizioni e culture.

Secondo il presidente di Federalimentare, sarebbe utile che anche in Italia, come in Francia o Stati Uniti, si emanassero leggi per impedire l’uso fraudolento del termine carne: “Senza tali interventi normativi, sempre più spesso verrà consentito di ingannare i consumatori ai quali si potrà somministrare, in sostituzione di un prodotto naturale, alimenti di sintesi, artificiali e pieni di ingredienti chimici sostitutivi”. Una presa in giro ancora più grave per chi volesse scegliere la carne di laboratorio per motivi etici o salutistici, aggiunge Scordamaglia: “Le cellule coltivate in vitro crescono infatti in brodi animali (con buona pace dei vegani), arricchiti di antibiotici e farmaci che stimolano la crescita cellulare”.

Suona sconcertante l’idea di introdurre carne da laboratorio mentre rischiamo di vedere estinti gli animali veri. “Negli ultimi dieci anni la fattoria Italia ha perso 1,7 milioni di animali fra mucche, maiali, pecore e capre” – afferma il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, nel sottolineare che si tratta di “un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili, dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”, precisa Moncalvo: “Così si mette a rischio anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane, dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze italiane”.

Per Maria Caramelli, Direttrice dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, “la carne è oggi uno degli alimenti più controllati tra quelli che arrivano alle nostre tavole. La rete degli Istituti Zooprofilattici, in sinergia con i veterinari del Sistema Sanitario Nazionale, con gli oltre venti milioni di esami all’anno, costituisce uno strumento di prevenzione unico al mondo. I controlli quotidiani sono governati dal principio di precauzione: prima di essere immesso sul mercato, un alimento deve aver dimostrato la sua sicurezza, cosa estremamente complicata per un prodotto di laboratorio”.

E per quanto riguarda le leggende metropolitane su ormoni e antibiotici ad uso preventivo? “Sono proibiti da decenni nel nostro Paese e i controlli effettuati dimostrano che la tolleranza zero funziona”, spiega Caramelli: “Il 99% dei campioni esaminati per la presenza di residui (di farmaci o contaminanti) risulta a norma. Anche gli hamburger vegetali in commercio sono naturalmente sottoposti a controlli di sicurezza alimentare, ma va sottolineato che, per quanto riguarda l’eventuale aggiunta di additivi, singolarmente autorizzati e certificati come innocui, non è noto l’effetto sinergico dal punto di vista dell’impatto sulla salute”.

Dal punto di vista nutrizionale, Elisabetta Bernardi, nutrizionista dell’Università di Bari, precisa che “dobbiamo innanzitutto distinguere tra carne prodotta in laboratorio e i sostituti della carne. La carne prodotta in laboratorio parte da un prelievo di cellule dall’animale per ottenere una coltura in grado di auto-rigenerarsi. Per sette settimane le cellule vengono nutrite con nutrienti (amminoacidi, carboidrati, vitamine, minerali), fattori di crescita (ormoni), Gas (O2, CO2), in un ambiente fisico-chimico regolato (pH, pressione osmotica, temperatura). Poi si raccoglie quello che si presenta come un miotubulo e ce ne vogliono circa 10 mila per arrivare alle 10 miliardi di cellule di un hamburger. Ma per migliorare consistenza e aspetto si aggiunge pangrattato, caramello, succo di rapa rossa, zafferano”.

Per produrre il primo hamburger sono stati necessari 250.000 euro, e si stima che la carne di laboratorio quando verrà prodotta su larga scala costerà 60-70 euro al kg. “Dal punto di vista nutrizionale la carne può essere paragonata a quella tradizionale per il contenuto in proteine, ma per i micronutrienti come ferro e zinco, o la vitamina B12, potrebbe essere qualitativamente inferiore”, sottolinea Bernardi: “E poi dobbiamo scordarci della bistecca, semmai pensare più a un hamburger, e dimenticare anche quel sapore che spesso risiede proprio nella parte grassa, o nel tessuto connettivo, che per il momento non è previsto che accompagni le fibre muscolari artificiali”.

“I sostituti della carne – prosegue Bernardi – sono invece un miscuglio di ingredienti vegetali scelti per simulare la consistenza e il sapore della carne. Le proteine, in quantità più o meno simile, derivano o dai piselli o dalla soia. Ma per migliorarne il gusto e la consistenza vi si aggiunge olio di cocco, arrivando a un apporto di grassi saturi superiore a quello di un hamburger tradizionale. È aggiunta poi anche una sostanza, la legemoglobina, per avere un contenuto di ferro adeguato e un sapore “metallico” simile a quello della carne, e una grande quantità di additivi, il cui effetto sinergico non è stato ancora studiato. Insomma per le caratteristiche nutrizionali, la sicurezza, i costi, teniamoci la nostra cara bistecca, nelle giuste quantità, per preservare così ambiente e salute”.

Nutrizionista, Biologa con Specializzazione in Scienza dell’alimentazione, ha un’esperienza ventennale nella comunicazione scientifica, nonché nella ricerca scientifica applicata alla nutrizione per lo sport. È impegnata in progetti di Educazione Alimentare. Dal 2008 è membro dell’EFSA (European Food Safety Authority)’s expert database, del SIO (Società Italiana Obesità) e del comitato scientifico di Assalzoo.