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bufale sulla carne

Fact-Checking Day: le 5 bufale più diffuse sulla carne

Il 2 aprile, come ogni anno, è il Fact-Checking Day. Vediamo insieme quali sono le cinque bufale più diffuse sul mondo della carne.

La carne fa male alla salute! L’allevamento non è sostenibile! Sono tante le fake news che inquinano il dibattito intorno alla produzione di carni e salumi, nonostante si tratti di un settore centrale per la food security. Secondo le stime FAO, infatti, in uno scenario sostenibile, sarà necessario garantire un aumento medio del 30% della disponibilità di alimenti di origine animale entro il 2050, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (Fonte: FAO. 2018. The Future of Food and Agriculture). In occasione della giornata mondiale del fact checking, Carni Sostenibili, l’associazione no profit per il consumo consapevole e la produzione sostenibile di carni e salumi, ripropone la sua mini-guida che smonta con dati e studi scientifici le più pericolose bufale che circolano sul settore di produzione delle carni, aggiornata con quelle che oggi risultano essere le più diffuse.

1.In Italia mangiamo troppa carne!

Falso! Le stime si riferiscono ai consumi apparenti, che considerano anche le parti non commestibili. In Italia, infatti, in media il consumo reale pro-capite è di circa 32,9 Kg di carne all’anno.

Spesso sentiamo dire che in Italia si mangia troppa carne. Valori esorbitanti che toccherebbero anche gli 80/90 Kg pro capite. Ma siamo sicuri? Già, perché c’è qualcosa che non viene preso in considerazione quando si accettano come vere queste stime e cioè che tali valori si basano sui «consumi apparenti» che, a differenza dei «consumi reali», comprendono anche tutte le parti non edibili dell’animale: tendini, ossa, grasso, cartilagini. A sgombrare il campo da equivoci ci ha pensato l’imponente lavoro di ricerca dell’equipe dell’Università di Bologna, coordinata dal professor emerito di Zootecnia Vincenzo Russo, insieme alla Commissione di studio Istituita dall’ASPA (Associazione Scientifica per la Scienza e le Produzioni Animali). “Consumo reale di carne e di pesce in Italia” il titolo del lavoro del team di studio che ha rivisto al ribasso le stime sul consumo di carne finora disponibili che si basavano unicamente sulla quantità, in peso carcassa equivalente, di carni prodotte e importate, senza tenere in considerazione che esistono parti commestibili e parti non commestibili. Nel 2021 secondo i dati Ismea, in Italia il “consumo apparente” pro capite annuo (bovino, suino e pollo) è stato pari a 65,3 Kg che corrisponde ad un consumo reale, quindi delle sole parti edibili, di 32,9 Kg. E se vogliamo considerare solo la carne rossa (bovina, suina) il consumo reale scende a 58 grammi al giorno pro capite, una quantità ben al di sotto delle raccomandazioni dell’OMS che fissano a 100 gr il consumo giornaliero di carne rossa.

2.La produzione di carne non è sostenibile. Servono 15.000 litri d’acqua per produrne un chilo di carne bovina.

Falso! Le fonti su cui si basano queste stime quantificano il volume di acqua utilizzata e non l’impatto ambientale dell’acqua consumata nella produzione. Ma non tutta l’acqua è uguale: l’acqua presa dalla falda non ha lo stesso impatto ambientale di quella piovana o di quella scaricata. In Italia per produrre 1 Kg di carne bovina in un sistema efficiente servono 790 litri d’acqua perché l’80-90% di queste risorse idriche ritorna nel naturale ciclo dell’acqua.

È vero che per produrre 1 Kg di carne di manzo servono 15.000 litri d’acqua? Non proprio, soprattutto in Italia: vediamo perché. Innanzitutto, la quasi totalità̀ dei dati di letteratura relativi all’impronta idrica dei prodotti alimentari è stata pubblicata dal Water Footprint Network (WFN), attraverso un’analisi che non quantifica l’impatto ambientale associato all’utilizzo d’acqua, ma soltanto la quantità di acqua utilizzata. Con il Water Footprint, infatti, si calcola di solito la quantità di acqua utilizzata nei processi produttivi. È la cosiddetta «acqua virtuale» che, quando si parla di carne, include anche quella usata per coltivazione dei foraggi necessari all’alimentazione del bestiame e nella fase di macellazione. Questo metodo di valutazione dei consumi d’acqua nel settore zootecnico calcola l’impronta idrica di un prodotto sommando appunto l’acqua «blu», quella prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali, l’acqua «verde», quella piovana evapotraspirata dal terreno durante la crescita delle colture, e l’acqua «grigia», il volume d’acqua necessario a diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione. In Italia, ad esempio, si impiega, rispetto alla media mondiale, il 25% d’acqua in meno per produrre un chilo di carne bovina. Una seconda criticità sostanziale è che, prendendo in esame il valore complessivo (medio mondiale) e ignorando il contesto locale in cui avvengono la produzione e l’allevamento, non si mette in relazione il prelievo di acqua con la disponibilità di quel territorio.

Tenendo dunque conto del consumo effettivo d’acqua per 1 Kg di carne in una filiera efficiente, possiamo affermare che in Italia per produrre 1Kg di carne bovina vengono consumati effettivamente 790 litri. E anche quando l’allevamento non si distingue per efficienza, il consumo si attesta al massimo a 7000 litri, la metà di quanto comunemente viene stimato. A livello complessivo, infatti, l’intero settore italiano delle carni (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che sono restituite all’ambiente come l’acqua piovana, mentre solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 Kg di carne viene effettivamente consumata.

3.Gli allevamenti non sono sostenibili e sono i primi responsabili del cambiamento climatico

Falso! Secondo il lavoro di un team di ricercatori dell’Università di Sassari, l’allevamento italiano contribuisce a combattere il riscaldamento globale e a mitigare il cambiamento climatico.

Il team di ricerca italiano infatti ha adoperato le nuove metriche per calcolare le emissioni proposte da un pool di fisici di Oxford che per la prima volta tengono conto della permanenza dei gas in atmosfera. Una differenza sostanziale se consideriamo che il metano dopo 50 anni è praticamente sparito, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni. I ricercatori italiani, sulla base dei dati ufficiali pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) dal 1990 al 2020, hanno applicato queste nuove metriche alle emissioni di metano di tutte le filiere zootecniche italiane e hanno successivamente confrontato i risultati con quelli che si erano ottenuti usando le vecchie metriche. Quello che emerge non è solo una significativa riduzione delle emissioni, ma addirittura la negativizzazione dell’impronta ambientale. Se, infatti, guardiamo il contributo cumulativo totale della produzione zootecnica italiana al riscaldamento globale negli ultimi 10 anni – emissioni di metano e protossido di azoto -, con l’applicazione delle nuove metriche, questo diminuisce fino a negativizzarsi: da +206 milioni di tonnellate di COequivalente calcolate con il vecchio metodo (GWP) a – 49 milioni di tonnellate stimate con le nuove metriche (GWP*). 

4.I cibi artificiali impattano sull’ambiente molto meno di quelli naturali.

Falso! La produzione di alimenti naturali si inserisce in un processo completo dove emissioni e sequestro delle emissioni sono bilanciate. Nella produzione dei fake food invece si possono contabilizzare solo le emissioni.

Gli alimenti di origine animale sono prodotti in campagna, in condizioni cioè in cui emissioni e assorbimenti si bilanciano. Nel caso dei gas climalteranti, alle emissioni di metano, protossido di azoto degli allevamenti, si contrappone la capacità delle colture e delle superfici alberate di sequestrare carbonio per cui il bilancio è, nelle condizioni generali dell’allevamento italiano, in parità se non in negativo, secondo i calcoli effettuati con le nuove stime. Per il fake food prodotto in biofabbriche, invece, si contabilizzano soltanto emissioni. Inoltre, gli impatti devono essere rapportati al valore nutrizionale degli alimenti e, come detto, i cibi naturali sono di gran lunga superiori ai derivati vegetali, per cui le emissioni ricalcolate per il contributo che i primi apportano al nostro benessere alimentare sono decisamente inferiori per unità funzionale.

5.La carne contiene ormoni e antibiotici, mangiarla è pericoloso!

Falso! Il trattamento di animali con ormoni è vietato in Europa da oltre 40 anni e da più di quindici anni sono vietati anche gli antibiotici a scopo preventivo.

Una fake news piuttosto comune e che nel corso del tempo si è sentita molte volte. Ma davvero le cose stanno così? Non proprio, anzi. Il trattamento di animali con ormoni è vietato in Europa da oltre 40 anni. E da più di quindici anni sono vietati anche gli antibiotici a scopo preventivo. Il loro impiego negli allevamenti è permesso solo ai fini di cura, terapia e profilassi dell’animale, ed è sempre subordinato alla prescrizione medico-veterinaria. Inoltre, possono essere utilizzati esclusivamente antibiotici preventivamente autorizzati dalle Autorità Sanitarie. Le autorizzazioni sono concesse soltanto alle sostanze di cui è dimostrata l’efficacia, la sicurezza d’uso per gli animali e di cui si conoscono le caratteristiche metaboliche, ossia in quanto tempo vengono “smaltite” dall’organismo animale. Il loro impiego deve essere limitato nel tempo, e gli animali possono essere macellati soltanto dopo che i farmaci sono stati completamente smaltiti (dopo cioè il cosiddetto “periodo di sospensione”), cioè quando i residui sono a concentrazioni del tutto innocue per la salute umana. Esistono anche piani di campionamento annuali delle carni per verificare l’assenza di residui pericolosi e i risultati di questi controlli dimostrano che i campioni di carne irregolari sono inferiori allo 0,04%. Nelle oltre 30.000 analisi condotte in Italia nel 2021 dalle autorità competenti per la valutazione dei residui di trattamenti farmacologici su animali produttori di derrate alimentari, solo 12 sono risultate positive.

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.