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Fact-Checking Day: le 5 bufale più diffuse sul mondo della carne

In occasione del Fact-Checking Day, la giornata internazionale contro le bufale, Carni Sostenibili diffonde la guida di contro le principali fake news alimentari sul settore delle carni e dei salumi.

Il 90% degli italiani parla di cibo e la maggior parte di loro, più del 70%, si informa online, ma solo il 6% quando cerca notizie lo fa su siti istituzionali. Il rischio è quello di imbattersi in fake news, informazioni false e dannose messe in circolazione per sostenere tesi predefinite, con l’unico scopo di inquinare il panorama informativo. Un problema tutt’altro che relativo, se si pensa che lo scorso anno 3 italiani su 4 hanno creduto almeno a una bufala. Il settore più tormentato dal dilagare
di queste false notizie è quello della produzione e del consumo delle proteine animali: “si mangia troppa carne”, “la carne che mangiamo è piena di ormoni e antibiotici”, “la carne provoca il cancro”, “la sua produzione consuma troppa acqua e inquina”. La verità però è molto diversa e, per il Fact-Checking Day, Carni Sostenibili ha deciso di sventare alcune delle fake news più diffuse sul mondo della carne.

    1. In Italia mangiamo 79,1 kg di carne all’anno. Troppa!

Falso! Le stime si riferiscono ai consumi apparenti, che considerano anche le parti non commestibili. In Italia, infatti, in media il consumo reale è di circa 37,9 Kg di carne all’anno.

C’è qualcosa che non viene preso in considerazione quando si accetta come vera l’esorbitante stima di 79,1 kg, al lordo delle parti non edibili) di carne all’anno consumata pro-capite in Italia, che comunque posizionerebbe il nostro Paese al terzultimo posto per consumo in Europa. E cioè che tale stima si basa sui «consumi apparenti» che, a differenza dei «consumi reali», prendono in considerazione anche tutte le parti non edibili dell’animale: tendini, ossa, grasso, cartilagini… A sgombrare il campo da equivoci ci ha pensato l’imponente lavoro di ricerca dell’equipe dell’Università di Bologna, coordinata dal professor emerito di Zootecnia Vincenzo Russo, insieme alla Commissione di studio Istituita dall’ASPA (Associazione Scientifica per la Scienza e le Produzioni Animali).”Consumo reale di carne e di pesce in Italia“ il titolo del lavoro del team di studio che ha rivisto al ribasso le stime sul consumo di carne finora disponibili che si basavano unicamente sulla quantità di carni prodotte e importate, senza tenere in considerazione che esistono parti commestibili e parti non commestibili. Il lavoro della squadra di ricercatori italiani racconta una realtà molto diversa: il consumo reale pro-capite di carni totali corrisponde a 104 grammi al giorno (e non a quasi 300 gr come invece si pensava) pari a 728 g alla settimana e 37,9 kg all’anno, meno della metà di quei 79,1 kg di cui si sente spesso parlare. Tale consumo prende in considerazione tutta la carne, indipendentemente dalle modalità di assunzione (cruda, cotta, trasformata in salumi, presente in preparazioni alimentari miste, inscatolata ecc.) e dai luoghi dove si sceglie di consumarla (casa, ristoranti, fast food, mense, comunità, bancarelle ecc.). Considerando solo la carne bovina, il consumo reale scende a 29 grammi al giorno pro capite, una quantità ben al di sotto delle raccomandazioni dell’OMS che fissano a 100 gr il consumo giornaliero di carne rossa. (Fonte: elaborazione Censis su dati Gira – estratto da ricerche Fondazione Censis “Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando a tavola”, ottobre 2016 – Tutte le tipologie di carne, bovina, suina, pollo, ovina, al lordo delle parti non edibili)

2) La carne fa venire il cancro, lo dice l’OMS!

Falso! L’OMS non dice che la carne provoca il cancro, ma ha analizzato il rischio di svilupparlo in relazione a un consumo eccessivo di carne (molto al di sopra di quello italiano).

Siamo nell’ottobre 2015 quando si diffonde la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe sancito la relazione tra consumo di carne e cancro. Ma le cose non stavano proprio così. La IARC, l’agenzia dell’OMS che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, non ha mai affermato che la carne rossa provoca il cancro, ma che un consumo eccessivo di carne rossa e trasformata può contribuire al rischio di un solo tipo tumore (sui 156 conosciuti e classificati), quello del colon-retto. Sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si legge: “Nel caso della carne rossa, la classificazione si basa su prove limitate provenienti da studi epidemiologici che mostrano associazioni positive tra il consumo di carne rossa e lo sviluppo di tumori del colon-retto, nonché una forte evidenza meccanicistica. Evidenze limitate indicano che è stata osservata un’associazione positiva tra esposizione all’agente e cancro, ma non è stato possibile escludere altre spiegazioni per le osservazioni (tecnicamente definite caso, bias o confusione)”.Si fa quindi riferimento «all’eccesso» dei consumi, e non a un consumo inteso in senso generale, con un aumento del rischio relativo di circa il 18% per le carni trasformate e del 17% per le carni rosse, ben diverso dal rischio «assoluto» o reale che scende a solo l’1%. Altra importante considerazione riguarda le quantità prese in esame dalla ricerca IARC, che sono superiori 50 grammi di carne trasformata e 100 grammi di carne rossa al giorno: livelli di consumo notevolmente più alti rispetto a quelli medi italiani, per cui il rischio diventa trascurabile quando si riportano i calcoli ai nostri consumi effettivi. Secondo la IARC, poi, i fattori di rischio delle carni non dipendono dalla carne in sé, ma sono dovuti principalmente ai metodi di conservazione, preparazione e cottura di carne e derivati (come quelle su fiamma diretta tipiche del barbecue), da cui possono scaturire amine eterocicliche aromatiche, idrocarburi policiclici aromatici e nitrosammine, composti che inducono mutazioni cancerogene.

3) La produzione di carne non è sostenibile. Servono 15.000 litri d’acqua per produrne un chilo di carne bovina.

Falso! Le fonti su cui si basano queste stime quantificano il volume di acqua utilizzata e non l’impatto ambientale dell’acqua consumata nella produzione. Ma non tutta l’acqua è uguale: l’acqua presa dalla falda non ha lo stesso impatto ambientale di quella piovana o di quella scaricata. In Italia per produrre 1kg di carne bovina servono 790 litri d’acqua perché l’80-90% di queste risorse idriche ritorna nel naturale ciclo dell’acqua.

È vero che per produrre 1Kg di carne di manzo servono 15.000 litri d’acqua? Non proprio, soprattutto in Italia: vediamo perché. Innanzitutto, la quasi totalità dei dati di letteratura relativi all’impronta idrica dei prodotti alimentari è stata pubblicata dal Water Footprint Network (WFN), attraverso un’analisi che non quantifica l’impatto ambientale associato all’utilizzo d’acqua, ma soltanto la quantità di acqua utilizzata. Con il Water Footprint, infatti, si calcola di solito la quantità di acqua utilizzata nei processi produttivi. È la cosiddetta «acqua virtuale» che, quando si parla di carne, include anche quella usata per coltivazione dei foraggi necessari all’alimentazione del bestiame e nella fase di macellazione. Questo metodo di valutazione dei consumi d’acqua nel settore zootecnico calcola l’impronta idrica di un prodotto sommando appunto l’acqua «blu», quella prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali, l’acqua «verde», quella piovana evo-traspirata dal terreno durante la crescita delle colture, e l’acqua «grigia», il volume d’acqua necessario a diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione. In Italia, ad esempio, si impiega rispetto alla media mondiale il 25% d’acqua in meno per produrre un chilo carne bovina. (). Una seconda criticità sostanziale è che, prendendo in esame il valore complessivo (medio mondiale) e ignorando il contesto locale in cui avvengono la produzione e l’allevamento, non si mette in relazione il prelievo di acqua con la disponibilità di quel territorio.

Tenendo dunque conto del consumo effettivo d’acqua per 1kg chilo di carne in una filiera efficiente possiamo affermare che in Italia per produrre 1Kg di carne bovina vengono consumati effettivamente 790 litri*(Alberto Stanislao Atzori, Caterina Canalis, Ana Helena Dias Francesconi, Giuseppe Pulina, A preliminary study on a new approachto estimate water resource allocation: the net water footprint applied to animal products, Science Direct). E anche quando l’allevamento non si distingue per efficienza il consumo si attesta al massimo a 7000 litri, la metà di quanto comunemente viene stimato. A livello complessivo, infatti, l’intero settore italiano delle carni (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che sono restituite all’ambiente come l’acqua piovana, mentre solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene effettivamente consumata.

4) Gli allevamenti inquinano più dei trasporti!

Falso! Prendendo in esame il solo settore zootecnico, in Italia il contributo totale ai gas serra è del 4,4% (report Ispra del 2017). Un viaggio aereo Roma-Bruxelles, ad esempio, genera più emissioni del consumo di carne di un italiano per un intero anno nell’ambito di un regime alimentare equilibrato.

Anche in questo caso è bene fare chiarezza. Secondo stime FAO, tutto il settore agricolo e non solo gli allevamenti ha un impatto climalterante dovuto alle emissioni di gas a effetto serra (GHG emissions) pari al 10,3% (senza considerare il LUC-Land Use Change) le cui stime sono controverse), o del 14% considerando il LUC. Prendendo in esame il solo settore zootecnico e stando al report Ispra del 2017, in Italia il contributo totale ai gas serra è del 4,4%.  Le principali cause dell’effetto serra sono la presenza nell’atmosfera di sostanze gassose come l’anidride carbonica (CO2) e il metano. La CO2 si ottiene soprattutto dai processi di combustione dei combustibili fossili come il petrolio e i suoi derivati, del carbone e del legno. I vegetali, mediante la fotosintesi clorofilliana, hanno la capacità di utilizzare il carbonio della CO2 e di “liberare” l’ossigeno che restituiscono all’atmosfera, mantenendo inalterati gli equilibri. Un equilibrio rotto non certo dall’allevamento, quanto da altre attività come il riscaldamento, la produzione di energia, i sempre più frequenti trasporti ecc. Il metano, si ottiene anche dal metabolismo di alcuni batteri chiamati “metanogeni” che si trovano nell’ambiente e nell’apparato digerente degli animali. Un’importante produzione di metano si ha negli ambienti delle acque stagnanti, come ad esempio le risaie, e negli stomaci dei ruminanti. Nel corso dei millenni, l’aumento della produzione di metano non è dipeso certo dalle risaie e dai ruminanti. Sono invece molto aumentate le attività umane che comportano la produzione di questi gas serra e soprattutto il numero di persone che “contribuiscono” alle emissioni di gas climalteranti attraverso un sempre più massiccio sfruttamento dei combustibili fossili. Giusto per fare un esempio, gli aerei bruciano miliardi di tonnellate di carburante immettendo nell’atmosfera quantità impressionanti di CO2: un solo volo andata e ritorno da Roma a Bruxelles genera più emissioni del consumo di carne di un italiano per un intero anno! (calcolo effettuato su www.ecopassenger.org).

5) La carne contiene ormoni e antibiotici, mangiarla è pericoloso!

Falso! ll trattamento di animali con ormoni è vietato in Europa da quasi 40 anni e da più di dieci anni sono vietati anche gli antibiotici a scopo preventivo.

Una fake news piuttosto comune e che nel corso del tempo si è sentita molte volte. Ma davvero le cose stanno così? Non proprio, anzi. Il trattamento di animali con ormoni è vietato in Europa da quasi 40 anni. Negli allevamenti italiani ed europei, infatti, la somministrazione di sostanze ad attività ormonale ad animali le cui carni o prodotti siano destinati al consumo umano sono strettamente limitati ad alcuni trattamenti terapeutici e zootecnici, già dal lontano 1981. Qualsiasi altra somministrazione, come quella volta a stimolare la crescita, è invece assolutamente vietata – cosa che in paesi come Usa e Canada è invece tuttora consentita, tanto da portare l’Ue a vietare (dal 1988) l’importazione da Oltreoceano di carni bovine trattate con determinati ormoni della crescita. E da più di dieci anni sono vietati anche gli antibiotici a scopo preventivo. Il loro impiego negli allevamenti è permesso solo ai fini di cura, terapia e profilassi dell’animale, ed è sempre subordinato alla prescrizione medico-veterinaria. Inoltre, possono essere utilizzati esclusivamente antibiotici preventivamente autorizzati dalle Autorità Sanitarie. Le autorizzazioni sono concesse soltanto alle sostanze di cui è dimostrata l’efficacia, la sicurezza d’uso per gli animali e di cui si conoscono le caratteristiche metaboliche, ossia in quanto tempo vengono “smaltite” dall’organismo animale. Il loro impiego deve essere limitato nel tempo, e gli animali possono essere macellati soltanto dopo che i farmaci sono stati completamente smaltiti (dopo cioè il cosiddetto “periodo di sospensione”), cioè quando i residui sono a concentrazioni del tutto innocue per la salute umana. Esistono anche piani di campionamento annuali delle carni per verificare l’assenza di residui pericolosi e i risultati di questi controlli dimostrano che i campioni di carne irregolari sono inferiori all’0,1%. Nelle oltre 44.000 analisi condotte nel 2017 dalle autorità competenti per la valutazione dei residui di trattamenti farmacologici su animali produttori di derrate alimentari, solo 39 sono risultate positive.

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.