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Emissioni di metano degli erbivori? Ci sono da sempre

Le emissioni di gas serra da parte dei grandi erbivori non sono un fenomeno di questi tempi. Anzi. Il professor Pulina fa un po’ di chiarezza su questo tema, e rivela un aspetto non da poco: se eliminassimo tutti gli allevamenti e gli animali fossero liberi di pascolare in natura, il loro contributo ai gas serra sarebbe esattamente lo stesso.

Sembra paradossale che in un mondo dove ogni giorno vengono scaricate in atmosfera migliaia di tonnellate di gas ad effetto serra provenienti da automobili, aerei, navi, centrali energetiche, fabbriche, discariche, risaie ecc. si voglia dare la colpa dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici alle flatulenze degli animali erbivori in allevamento, fenomeno del tutto naturale e dalle origini antichissime.

Basti pensare ai grandi sauropodi che sono vissuti per un tempo lunghissimo, oltre 120 milioni di anni nelle ere geologiche del Mesozoico (Giurassico e Cretaceo da 190 a 65 milioni di anni fa): erano gli animali terrestri più imponenti mai apparsi sulla terra, ricordati proprio per il loro gigantismo. Potevano infatti raggiungere il peso di circa 100 tonnellate (Argentinosaurus), una lunghezza fino a 40 metri ed un’altezza di circa 20 metri. Anche loro erbivori come i nostri ruminanti odierni, generavano metano in quantità tali da contribuire al riscaldamento globale avvenuto in quell’era.

La #fauna pascolante in Europa e in America, prima dei processi agricolo-zootecnici, registrava #emissioni in linea con quelle di selvatici e domestici oggi in queste aree. Condividi il Tweet

Nel libro “Allevamento animale e sostenibilità ambientale: le tecnologie” (a cura di B. Stefanon, M. Mele e G. Pulina, ediz. Franco Angeli), vengono mostrati degli studi in tal proposito, che mostrano come la presenza di metano che origina dalle fermentazioni digestive degli erbivori è stato un elemento costante nella storia della Terra e anche la fauna pascolante in Europa e in America, prima dell’instaurarsi dei processi agricolo-zootecnici, registrava emissioni in linea con quelle derivanti attualmente dai selvatici e dai domestici presenti in queste aree.

Sotto il profilo digestivo, è indubbio che nei grandi sauropodi albergasse un microbioma in grado di fermentare la fibra e rendere così disponibili i nutrienti indispensabili alla vita dell’animale. Il processo orale consisteva nel brucare e ingerire enormi quantità di biomasse, generando importanti quantità di metano della stessa dimensione di quella totale attuale e da 6 a 12 volte superiore alla metanogenesi pregastrica globale stimata dalla FAO per gli odierni ruminanti domestici. Se per paradosso si eliminassero tutti gli animali domestici e le terre da loro occupate venissero restituite alla presenza naturale di erbivori selvatici, la condizione di emissioni enteriche non cambierebbe sostanzialmente.

Se eliminassimo tutti gli #allevamenti e gli #animali fossero liberi di pascolare in natura, il loro contributo ai #GasSerra sarebbe esattamente lo stesso. Condividi il Tweet

Dunque anche se eliminassimo tutti gli allevamenti e gli animali fossero liberi di pascolare in natura, il loro contributo ai gas serra sarebbe esattamente lo stesso. Se non di più, visto che in allevamento si riescono a modulare le fermentazioni enteriche grazie ad un’alimentazione mirata degli animali, mentre in natura questi sarebbero liberi di mangiare quello che trovano, con fermentazioni incontrollate e conseguenti emissioni di gas molto più alte.

Un’altra conferma arriva anche da altri studi importanti (Kelliher F.M., Clark H., 2012. Methane emission from bison – An historic herd estimate for the North Americam Great Plains. Agricultural and Forestry Meteorology, 150: 474-477) in cui gli autori hanno calcolato la produzione di metano enterico del bisonte americano (Bison bison), specie che poi la caccia intensiva operata dall’uomo ha ridotto in modo drastico.

Gli studiosi hanno stimato le produzioni enteriche di questa popolazione in 2,1 milioni di tonnellate per anno, confrontandole con le odierne emissioni dei bovini allevati nella stessa area, ottenendo un valore di 2,5 milioni di tonnellate di metano emesso e rilevando che la sostituzione della macrofauna pascolante precolombiana con i moderni allevamenti ha portato ad un aumento delle emissioni soltanto del 14%.

La sostituzione della #macrofauna pascolante precolombiana con i moderni #allevamenti ha portato ad un aumento delle #emissioni soltanto del 14%. Condividi il Tweet

Anche un successivo lavoro ha portato risultati analoghi (Hristov A.N., 2012. Historic, pre-European settlement, and present day contribution of wild ruminants to enteric methane emission in the United States. Journal of Animal Science, 90: 1371-1375) allargando l’areale di studio agli interi USA e alla popolazione complessiva di erbivori selvatici presenti in epoca precolombiana: confrontando le emissioni con l’attuale allevamento degli animali zootecnici degli USA e l’odierno contributo dei selvatici alle emissioni enteriche di metano si può sorprendentemente notare che in epoca precolombiana il metano emesso dai ruminanti è stato pari all’86% di quello attualmente riversato in atmosfera da bovini, ovini e caprini domestici.

Dunque gli 80 milioni di bisonti selvatici che vivevano sulle Grandi Pianure, numeri vicini ai 90 milioni di bovini da carne oggi allevati negli Stati Uniti, 75 dei quali allevati nelle praterie e le 150 specie di megafauna nelle Americhe esistite alla fine del Pleistocene, tra cui mammut, grandi felini, bradipi giganti e orsi ben più grandi di quelli odierni, producevano emissioni di metano vicini a quelli emessi oggi dai bovini da allevamento, confermando che il riscaldamento globale attualmente in atto è frutto di accumulo di gas serrigeni derivanti da altre attività umane e non può essere principalmente imputato alla presenza degli erbivori zootecnici.

Il #RiscaldamentoGlobale in atto è frutto di accumulo di #GasSerra derivanti da altre attività umane e non può essere principalmente imputato alla presenza degli #erbivori #zootecnici. Condividi il Tweet

Per questo motivo, se è vero che le emissioni enteriche dei ruminanti oggi contribuiscono per una parte, questa però non è sostanziale e non è tale da giustificare l’accanimento contro il settore zootecnico, che anzi è vitale per l’agricoltura, per il paesaggio e la biodiversità. Specialmente poi nei Paesi con una zootecnia all’avanguardia, il contributo degli allevamenti va solamente dal 2 all’8 %, con l’Italia ad appena il 3%. Sono altre le attività davvero colpevoli su cui bisognerà concentrarsi, come i trasporti e il settore energetico, per cui i cambiamenti dovranno riguardare principalmente la conversione dai combustibili fossili verso l’utilizzo di energia 100% rinnovabile.

In Paesi con #zootecnia all’avanguardia il contributo degli #allevamenti alle #emissioni va dal 2 all’8 %; in Italia solo il 3%. Condividi il Tweet

Basti pensare ad esempio che solamente le perdite di gas dovute all’estrazione del petrolio emettono ogni anno tredici milioni di tonnellate di metano in atmosfera, corrispondente al doppio di quello rilasciato ogni anno dalle vacche allevate in tutto il mondo. Come spiega anche lo scrittore americano Paul John Scott: “La campagna in corso per far vergognare il mondo e portarlo a rinunciare ai cibi animali in nome del cambiamento climatico è pura proiezione vegetariana, spostando un legittimo timore per i gas serra verso una paura infondata della carne. La zootecnia è parte della soluzione, non del problema”.

Si sta spostando un legittimo timore per i #GasSerra verso una paura infondata della #carne. La #zootecnia è parte della #soluzione, non del problema. Condividi il Tweet

Presidente Emerito dell'Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali, Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e Presidente dell’Associazione Carni Sostenibili. Fra i migliori esperti globali in scienze animali, è incluso nel 2% di scienziati maggiormente citati al mondo.