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Emissioni dagli allevamenti: che pasticcio nella Ue!

Svelato dal web magazine Euractiv l’uso di dati obsoleti per la nuova direttiva per la riduzione di emissioni industriali. La Commissione europea costretta ad intervenire ma con provvedimenti che convincono poco e con l’Italia che vota contro.

Che succederebbe se i dati sulle emissioni di gas climalteranti degli allevamenti fossero sbagliati? L’effetto sarebbe duplice: da un lato, si colpisce, in generale, un intero settore industriale e, in particolare, gli allevatori più piccoli ma, dall’altro, non si rischia di non agire adeguatamente sulle politiche di contenimento dei gas serra.

Tutto è iniziato con uno scoop svelato a febbraio dal sito di Euractiv, che aveva potuto vedere in anteprima un documento della Commissione per la riduzione di emissioni nocive provenienti dagli impianti industriali, inclusi i grandi allevamenti di bestiame.
Secondo il web magazine, infatti, l’attuale strategia europea avrebbe utilizzato come base statistica dei dati obsoleti, risalenti addirittura al 2016, con l’effetto di colpire tre volte più di quanto previsto in precedenza gli allevamenti di suini e di quasi quattro volte di più gli allevamenti di pollame.

Si sarebbe trattato di una panoramica sullo stato di avanzamento della proposta di direttiva sulle emissioni industriali (IED), presentato dal servizio Ambiente della Commissione europea (DG ENV) al gruppo di lavoro sull’ambiente del Consiglio Ue del 30 gennaio.
In altre parole, l’Unione europea avrebbe avuto una percentuale maggiore di allevamenti intensivi rispetto al 2016. In base ai calcoli ritenuti obsoleti da Euractiv si sarebbe trattato di una media del 13% delle aziende agricole Ue, mentre se si fossero considerati dati più recenti questa media sarebbe salita al 20%, con picchi soprattutto per quanto riguarda gli allevamenti avicoli e di suini.

Secondo #Euractiv, per la nuova #DirettivaEuropea sulle #EmissioniIndustriali sono stati utilizzati dati obsoleti, colpendo 3 volte più gli #allevamenti di #suini e quasi 4 volte di più quelli di #pollame. Condividi il Tweet

Per accelerare la riduzione di emissioni climalteranti rispetto agli obiettivi del Green Deal, Bruxelles deve agire anche sulle emissioni del comparto zootecnico. L’effetto, però, di usare questi dati inadeguati sarebbe quello di applicare regole che al momento della loro entrata in vigore, circa nel 2025, sarebbero, di fatto, già vecchie di quasi dieci anni.

La proposta sul tavolo dell’esecutivo dell’Unione, infatti, risale all’anno scorso, aprile 2022, ed ha come obiettivo proprio la riduzione degli inquinanti industriali includendo i grandi allevamenti animali. Proposta molto controversa e avversata dal mondo agricolo che nel corso dell’ultimo anno non ha mancato di sottolineare la sua diversità rispetto alle filiere industriali più pesanti, nonostante i propri volumi e gli attuali processi di produzione che la rendono comunque impattante sul clima e l’ambiente.

Ma in che modo i dati svelati da Euractiv erano dannosi?

La Commissione, con una nuova direttiva, avrebbe avuto la possibilità di applicare non solo una tassa più elevata a chi supera un certo numero di “unità di allevamento” (stimata in 150 capi di bovini che, per equivalenza in termini di emissioni, sono 500 maiali o 300 scrofe, per esempio) ma anche in maniera più estensiva, includendo un numero maggiore di allevamenti rispetto alla direttiva in vigore.
In questo modo, la nuova norma avrebbe riguardato il 18% degli allevamenti di suini, il 15% degli allevamenti di pollame e il 10% degli allevamenti di bovini, ovvero una media complessiva dell’UE del 13%. Una rappresentazione falsata della realtà, però.
Se calcolate utilizzando i dati più recenti del 2020, secondo Euractiv, queste stime triplicherebbero per il 61% del comparto dei suini e per il 58% degli allevamenti di pollame. I bovini, invece, aumenterebbero solo di un 2,5% sul ​​12,5%.

Dunque, un peso molto maggiore che però, secondo l’analisi della DG Ambiente, non metterebbe in crisi la misura che anzi riuscirebbe così a coprire una quota maggiore di emissioni e, allo stesso tempo, un numero più contenuto di aziende agricole. Insomma, un rapporto costi/benefici considerato più vantaggioso per la Ue ma non dagli allevatori che, fra le altre cose, lamentano che per quando la direttiva dovesse entrare in vigore, non prima del 2025 considerati anche i due anni transitori dall’approvazione, si starebbero applicando dati ed elementi di analisi vecchi di quasi dieci anni. Su un settore che, numeri alla mano, è già oggi è molto diverso dal 2016. Invece?

Invece, il Consiglio Ambiente, nel tentativo di venire incontro alle legittime proteste degli allevatori più piccoli, e forse anche grazie allo scoop di Euractiv, ha adottato una posizione ufficiale sulla revisione della direttiva sulle emissioni industriali contenente un compromesso sugli allevamenti intensivi che ha stabilito nuove soglie per bovini, suini, allevamenti misti (oltre le 350 unità di bestiame adulto) e avicoli (oltre le 280 unità), escludendo da questi gli allevamenti estensivi di bovini e suini a bassa densità, vale a dire quelli dove gli animali sono allevati per la gran parte dell’anno al pascolo.

Per evitare, però, che qualcuno per eludere le regole sia tentato dallo scindere i propri allevamenti in gruppi più piccoli, sono stati aggiunti dei paletti che, per esempio, consentono all’autorità vigilante di considerare un unico gruppo anche allevamenti uno o vicino all’altro o che fanno capo allo stesso proprietario. Incluse altre caratteristiche sui valori limite di emissione per le sostanze inquinanti.

In molti, però, nella UE si sono dichiarati scontenti, Italia in testa con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Pichetto Fratin, che ha espresso una posizione assolutamente contraria rispetto al compromesso proposto dalla Presidenza svedese: «Nonostante l’apprezzato lavoro di mediazione svolto sul testo – ha dichiarato il ministro – permangono i problemi di fattibilità della proposta, con tre tipi di criticità: sull’impatto per gli allevamenti, in tema di deroghe e sulla tutela della salute umana». Con lui Coldiretti, Copagri e Confagricoltura.

Con il compromesso sul tavolo, vedremo nei prossimi mesi come evolverà la questione.

Marco Gisotti è giornalista e divulgatore. Si è sempre occupato di sostenibilità ambientale, dalla green economy alla conservazione della natura, dai green job alle filiere culturali. Scrive e conduce su Radio3 Rai le puntate di Wikiradio dedicate alla scienza e all’ambiente. Per la televisione è attualmente autore della trasmissione Quasar, in onda su Rai2, per Rai 3 ha ideato e scritto la serie di animazione “2 amici per la Terra” e per Rai Storia ha realizzato, fra gli altri, il documentario “Cinema & Ambiente”. Docente all’Università di Tor Vergata nel corso di Teorie e linguaggi della comunicazione scientifica, è direttore scientifico e fondatore dell’agenzia di comunicazione e studi ambientali Green Factor. Autore di diversi libri e pubblicazioni, dal 2012 è direttore artistico e creatore del Green Drop Award, premio ambientale assegnato nell’ambito della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.