EAT-Lancet: cosa si nasconde dietro il Veg-Business secondo Frédéric Leroy e Martin Cohen
La commissione EAT-Lancet domani tornerà alla carica sostenendo la necessità di uno spostamento planetario verso una dieta “a base vegetale”. Il professor Frédéric Leroy e l’autore Martin Cohen però non ci stanno, e con un dettagliato articolo svelano al mondo chi e cosa sta dietro alla perenne e costosa promozione degli stili di vita (e dei prodotti) vegan.
Vi siete mai chiesti come sia possibile l’enorme copertura mediatica riservata ai prodotti veg? Chi c’è dietro campagne di marketing multimilionarie o “commissioni” come l’ormai famosa EAT-Lancet, che domani tornerà alla carica sostenendo la necessità di uno spostamento planetario verso una dieta “a base vegetale” e stigmatizza il bestiame come nocivo? O ancora come può la carne, che simboleggia salute e vitalità da millenni, essere oggi fatta passare per dannosa? E cosa porta il suo consumo ad essere quasi diventato una vergogna?
Se lo sono chiesto Frédéric Leroy e Martin Cohen, rispettivamente professore di Scienze e Tecnologie alimentari presso l’Università di Bruxelles e Scienziato sociale britannico, autore del libro “Penso, dunque mangio”. Che, sulle pagine di EFA News, offrono un quadro molto preciso (e a tratti inquietante) dei “poteri forti”, come li definirebbero alcuni, che stanno dietro alla perenne promozione degli stili di vita (e dei prodotti) vegan.
Iniziano ad essere in molti i personaggi del mondo politico, dello spettacolo o addirittura accademico a sconsigliare il consumo di carne e di proteine animali. Molti, forse troppi, se si pensa al loro potere sull’immaginario collettivo. Persone molto influenti, che attraverso i loro canali comunicativi promuovono da anni una costante campagna anti-carne. Messaggi come “La carne fa male”, “Se si smettesse di mangiare carne salveremmo migliaia di vite”, “Mangiare carne è come fumare” o altre assurdità simili sono ormai all’ordine del giorno, su media e social network.
Messaggi forti, spesso fuorvianti, basati però su scarse oinesistenti evidenze scientifiche. “Questi calcoli sono scientificamente disonesti. Si basano su associazioni epidemiologiche molto deboli e confuse che non ammettono pretese causali, ignorano la necessità di un’adeguata valutazione del rischio e […] si rifiutano di riconoscere il patrimonio nutrizionale dei prodotti animali o i molti benefici ruoli ecologici del bestiame ben gestito”, spiegano Cohen e Leroy.
Per rivelare l’intricata rete di interessi che sta dietro i continui attacchi al settore zootecnico i due autori fanno molti nomi, nel loro articolo, alcuni dei quali anche parecchio importanti. Il tutto sottolineando un aspetto fondamentale: quando si hanno i soldi per farlo, “l’influenza può essere comprata”. E così la lista degli influencer globali contrari al consumo di cibi di origine animale cresce di anno in anno. Il caso più eclatante, già nel 2010, quello dell’ex presidente americano Bill Clinton, che improvvisamente auto-dichiaratosi vegano ha ricevuto ben 3,5 milioni di corone norvegesi (più di 350mila euro) per parlare un’ora in difesa della causa veg. Chi li ha sborsati, questi soldi? Secondo Leroy e Cohen, gli stessi che nel 2013 hanno fondato la commissione EAT, e che nei prossimi mesi inonderanno i mass media di mezzo mondo con il rapporto pubblicato insieme a the Lancet.
“La strada per un futuro basato sui vegetali è lastricata di buone intenzioni … e calcoli aziendali”, sottolineano i due autori. Bisogna quindi fare molta attenzione, perché queste costose e massicce campagne mediatiche potrebbero “non solo servire ad attirare l’avidità dei governi per nuove imposte fiscali” (in effetti si punta, soprattutto in Gran Bretagna, a una “meat tax” che sembra pensata per creare nuove disparità sociali), ma anche e soprattutto nuovi mercati, sovvenzioni o il semplice prestigio. Il tutto presentando “argomenti politici che sono pericolosamente semplicistici e potrebbero avere conseguenze catastrofiche sia per la salute umana che per l’ambiente”.
L’articolo di Leroy e Cohen, pubblicato negli scorsi giorni ma già ripreso da diverse testate internazionali, sta facendo molto discutere perché impone una riflessione seria su come certe dinamiche, forzate appunto da chi ha potenti mezzi per supportare le proprie ideologie e promuovere i propri affari, possano avere effetti deleteri anche solo influenzando autorevoli linee guida nutrizionali, che a loro volta suggeriscono a milioni di persone come nutrirsi nei prossimi decenni.
Qui non si tratta tanto di difendere il settore zootecnico e chi ci lavora, ma di riportare il dibattito riguardante l’alimentazione sui binari della razionalità, e quindi su quelli dell’evidenza scientifica. La famigerata monografia IARC/OMS, più di tre anni fa, ha portato in Italia all’isteria generale contro le carni e i salumi pur basandosi su una manciata di studi ritenuti scientificamente validi (vale la pena ricordarlo: su circa 800 studi epidemiologici presi in esame la IARC ne ha giudicati attendibili solo 14, e di questi la metà, ossia 7, evidenziava una correlazione tra un eccessivo consumo di carne rossa e il tumore al colon-retto). Forti di questa esperienza, ci auguriamo che i media (italiani in primis) vogliano approfondire quanto sta scritto nel rapporto EAT-Lancet e perché no, anche chi lo finanzia e perché, prima di strillare la necessità di eliminare le carni e i cibi animali dalla propria dieta.
Frédéric Leroy e Martin Cohen ci provano, a loro modo, lanciando in Rete un appello forte e chiaro: “Per fare il bene del pianeta, torniamo al buonsenso – scrivono i due autori – Sì, il cambiamento climatico è reale e richiede la nostra attenzione. E sì, il bestiame dovrebbe essere ottimizzato ma anche usato come parte della soluzione per rendere i nostri ambienti e sistemi alimentari più sostenibili e le nostre popolazioni più sane”. Detto questo, però, “invece di indebolire i fondamenti delle nostre diete, dovremmo davvero affrontare le cause profonde del deterioramento planetario, che includono l’iperconsumismo e l’uso esagerato dei combustibili fossili, piuttosto che perdersi in slogan e visioni distorte del mondo.”
Redazione Carni Sostenibili