Dal contadino una lezione di umiltà all’animalista
In questi giorni ho letto su un nuovo blog, “Filosofia rurale”, la lettera di un contadino ad un animalista. Mi ha colpito molto, perché in poche righe evidenzia la spaccatura che si è creata fra chi vive in campagna e chi vive in città, fra chi conosce la terra e chi ne parla per sentito dire, fra chi cura gli animali e chi tende invece ad umanizzarli. In poche parole: fra chi conosce a fondo qualcosa e chi crede di farlo perché ha visto qualche video in televisione o su Youtube.
In questa lettera, l’ottantatreenne Giuseppe esprime la sua costernazione nel vedere un giovanotto che, fresco fresco di città e carico di nuove fedi e ideologie che possano sostituire quelle ormai in disuso della religione e della politica, fa la ramanzina al vecchio contadino perché, invece che tenersi i conigli come animali da compagnia, li alleva per poi cibarsene come hanno fatto per millenni i suoi avi prima di lui. Gli stessi che, grazie anche a quei piccoli animali domestici, hanno reso fertili i suoli, creato il paesaggio che l’indiscreto giovanotto probabilmente ritiene naturale. Ma chi è l’intruso?
“Hai alzato la voce interrompendo il silenzio della campagna, chiedendomi se poi i conigli li avrei uccisi e mangiati”, scrive Giuseppe: “Non dovrei? Ti risposi! Mi hai parlato allora di rispetto per tutti gli esseri viventi, sempre a voce alta che non avevo mai sentito, e mi infastidiva la tua voce, mi disturbava tutto quel gran chiasso che io non avevo mai osato e sentito in quel luogo dove sono nato e cresciuto. Mi hai parlato di etica e che tu eri lì per insegnarmi a vivere meglio, per un mondo migliore, che io, in tanti anni, non avevo capito niente, ero solo un povero contadino”.
E’ capitato anche a me di essere criticato aspramente per ciò che dico o che faccio, quando si tratta di agricoltura o animali (basta vedere alcuni commenti a dei miei vecchi post). E’ lo spaccato di una cultura divisa tra chi è legato alla terra e la conosce, e chi la sogna diversa senza mai averla vissuta. Ma quanta tenerezza questo anziano contadino. Lo immagino davvero “pieno di stupore”, perché non avrebbe mai immaginato che qualcuno – proprio dalla città – gli facesse la morale!
Eppure proprio da lui si dovrebbe imparare il vero rispetto e l’amore per gli animali. Sì, perché sono proprio i contadini e gli allevatori ad averne di più. Sembra assurdo, vero? Lo è se solo si decontestualizza – com’è d’uopo oggi – il sacrificio dell’animale dal sacrificio dell’uomo come parte del ciclo naturale dell’ecosistema agricolo. Senza animali domestici non avremmo agricoltura e non ci saremmo evoluti socialmente.
Eh sì, è dura ammetterlo ma è proprio una questione di cacca. Ricordate quando De André cantava “sul letame fioriscono i fiori”?. Ecco, da quella coesistenza si sono realizzati i più importanti beni sociali: il paesaggio, il supporto alla vita, la regolazione del benessere collettivo. In pochi sanno quanta cura, apprensione, dedizione stanno dietro all’allevamento di un solo capo di bestiame e quanto questo sia elemento di un ciclo naturale. Sì, è vero, c’è qualche furfante che come in tutti i settori produttivi non segue le regole, ma insieme cerchiamo di smascherarli.
Dove c’è un allevamento c’è tutela del territorio e del paesaggio, dove ci sono stalle non ci sono fabbriche e palazzi, e dove ci sono animali c’è qualcuno che, anche per il nostro bene, sta portando avanti conoscenze, mestieri e tradizioni secolari che, spesso a fatica, si contrappongono a un marketing alimentare spesso fuori controllo e a una male interpretata concezione di rispetto della vita e degli altri esseri viventi, che vuole nascondere sotto il tappeto “green” di una nuova ideologia che in natura si è tutti prede e si è tutti predatori. Nessuno escluso.
Ma dopo tutte le diatribe degli ultimi tempi, dopo tutti i gruppi animalisti armati di megafono fuori dalle stazioni radiofoniche e dai ristoranti per sfogare una frustrazione sicuramente originata ben lontano dalla tavola, forse è arrivato il momento di abbassare i toni. E la voce. Anche e soprattutto quando si è ospiti, o si è convinti di avere un superiore senso della giustizia.
Resta infatti bellissima la conclusione della lettera da cui siamo partiti, con l’anziano contadino Giuseppe che dice al ventenne animalista cittadino una cosa semplice e chiara: “La prossima volta che sei ospite nella mia campagna, entraci in punta di piedi e soprattutto, non gridare, disturbi i suoi abitanti, animali compresi.”
Ettore Capri
Fonte: Huffington Post Italia