Considerazioni e dubbi dell’ASPA sullo studio IARC
L’Associazione Scientifica per la Scienza e le Produzioni Animali (ASPA) ha istituito da tempo una commissione di studio per valutare lo stato delle conoscenze sui rapporti tra alimenti di origine animale e salute umana, identificare eventuali aspetti che meritano attenzione e approfondimento e stimolare il dialogo con l’intera comunità scientifica per promuovere una corretta informazione sull’argomento. Proprio l’aspetto della comunicazione è oggetto negli ultimi giorni di seria preoccupazione per tutta la comunità scientifica che si occupa di alimenti di origine animale, a causa dell’intensa campagna mediatica occorsa a seguito della pubblicazione su una rivista scientifica (Lancet Oncology) di una breve nota del gruppo di lavoro dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).
Pochi giorni fa, infatti, lo IARC ha licenziato un rapporto, allo stato non consultabile, ma riassunto in una breve nota di due pagine pubblicata sulla sezione news della rivista Lancet Oncology, nella quale 22 scienziati hanno ritenuto carcinogenico relativamente al colon-retto il consumo di carni rosse conservate e probabilmente carcinogenico quello di carni rosse. Pur riconoscendo l’alto valore nutrizionale delle carni, il responso del panel ha portato lo IARC a classificare le carni conservate nel gruppo 1 (sostanze carcinogeniche per gli umani) e le carni rosse in quello 2A (sostanze probabilmente carcinogeniche per gli umani) relativamente al cancro al colon retto (CRC).
Il panel ha assunto questa decisione a maggioranza sulla base, come affermato nella nota, dell’analisi di circa 800 lavori, dei quali però soltanto 27 hanno riguardato le carni conservate (12 responsi positivi su 18 lavori per studi epidemiologici e 6 positivi su 9 su casi-controllo, per complessivi 18 positivi su 27 pari al 67%) e 29 le carni rosse (7 positività su 14 per studi epidemilogici e 7 positività su 15 per casi-controllo, per complessivi 14 su 29 pari al 48%). Inoltre, il panel ha anche fornito, sulla base di stime effettuate in un unico lavoro di metanalisi, il rischio dose risposta quantificandolo pari al 18% di incremento di CRC per ogni 50 g di consumo giornalieri di carni conservate e pari al 17% per ogni 100 g di consumo giornaliero di carni rosse.
Tuttavia, un altro gruppo di 23 scienziati, provenienti da 8 Paesi, soltanto un anno fa aveva concluso che le relazioni fra consumo di carni conservate e rosse fresche e CRC sono inconsistenti. E’ convinzione degli autori di questa nota che la materia sia altamente controversa (fatto dimostrato dal non raggiunto consenso del panel IARC nel rilasciare il parere e da un responso totalmente opposto pubblicato da Oostindjier et al. nel 2014) e che occorrano molte più evidenze di quante utilizzate dallo IARC per poter con certezza affermare che il consumo di un alimento così complesso possa essere sicuramente associato, seppure con livelli di rischio molto bassi (1/10 dell’esposizione allo smog, 1/20 del consumo di alcool, 1/30 del fumo di sigaretta) all’insorgenza di CRC.
Rimane poco chiaro, inoltre, il motivo per cui gli estensori della nota abbiano citato, a supporto del proprio parere sulle carni trasformate e sulle carni rosse, i risultati di uno studio epidemiologico molto importante come quello EPIC, pubblicati in un primo articolo datato 10 anni fa e non abbiano citato i risultati del medesimo studio EPIC aggiornati al 2013, dove, da un lato, si confermava l’associazione tra consumo di carni trasformate e CRC (per i soggetti che consumavano 160 g/d di carne trasformata rispetto a coloro che ne consumavano meno di 20 g/d), ma, dall’altro, veniva ben sottolineato che per le cosiddette carni rosse tale associazione non esiste.
In buona sostanza, proprio la letteratura scientifica utilizzata a supporto del parere è tutt’altro che univoca nell’indicare un’associazione tra carni rosse e CRC e, anche per le carni trasformate, malgrado le evidenze sperimentali siano più rilevanti, rimangono ampi margini di incertezza, quantomeno sulle quantità consumabili in relazione al rischio di CRC. Questa contraddizione emerge anche nel testo della nota pubblicata su Lancet Oncology, laddove nella prima pagina gli autori dichiarano che in letteratura le evidenze sperimentali della cancerogenità del consumo di carni rosse sono molto limitate, salvo concludere in fondo alla nota che la valutazione sulla cancerogenità del consumo di carne rossa è avvalorata da rilevanti dati di letteratura, inclusi dati epidemiologici sostanziali. Non si capisce, pertanto, se in letteratura le evidenze sperimentali su questo aspetto della cancerogenità del consumo di carni rosse siano limitate oppure rilevanti e sostanziali. Data la poca chiarezza degli estensori della nota, non sorprende che a livello di mass media sia stata fatta una confusione ancora più grande indicando come sicuramente cancerogene sia le carni rosse sia quelle trasformate.
Infine, è parere condiviso che la qualità nei controlli delle filiere carni italiane siano sufficienti a garantire il consumatore nei confronti di questo e di altri rischi di tipo tossicologico legati al consumo di carni fresche e conservate. Inoltre, non bisogna dimenticare che molti salumi commercializzati in Italia, soprattutto nel caso dei prosciutti crudi DOP, non contengono alcune delle sostanze indicate come potenzialmente causa della presunta cancerogenità delle carni trasformate, vale a dire i nitrati e i nitriti, spesso utilizzati come conservante. Anche questo aspetto andrebbe attentamente valutato prima di lanciare allarmi indiscriminati sul consumo di intere categorie di alimenti.
A questo proposito è utile sottolineare che la nota riportata su Lancet Oncology esordisce ricordando che le carni trasformate contengono sostanze sospettate di essere agenti cancerogeni quali composti derivanti dai nitrati e nitriti (NOC) e idrocarburi policiclici aromatici (PAH). Pur non essendo disponibili dati certi sul rapporto causa effetto tra il contenuto di queste sostanze nelle carni trasformate e l’aumento dell’incidenza di CRC riscontrato negli studi epidemiologici, il fatto che NOC e PAH siano presenti nelle carni trasformate, assieme ai risultati di parte dei 27 studi analizzati, sembra essere sufficiente per giustificare l’inserimento di questi alimenti nel gruppo di sostanze certamente cancerogene, al pari di amianto e fumo di sigaretta (per i quali, al contrario, esistono studi comprovati di rapporto di causa effetto).
Comunque, anche sulla reale tossicità dei NOC esistono ampi margini di incertezza, visto che alcuni studi suggeriscono che nitrati e nitriti possono anche essere metabolizzati come ossido nitrico e, come tale, promuovere un beneficio cardiovascolare. E’ noto, inoltre, che le carni trasformate non sono le uniche fonti nell’alimentazione dell’uomo per NOC e PAH. Molti tipi di vegetali freschi (carote, spinaci, cavoli, rucola, ecc.,), infatti, sono fonti significative sia di NOC sia di PAH, mentre i prodotti da forno, diversi tipi di bevande e i frutti di mare sono certamente fonti primarie di PAH.
Fonte: Accademia dei Georgofili