Chi spreca più carne?
Nella filiera della carne, lo spreco può avvenire durante la produzione, la distribuzione o il consumo del cibo. Per quanto riguarda la parte della produzione, questa è generalmente in capo alle organizzazioni che realizzano o distribuiscono i prodotti, perlopiù attente alla riduzione degli sprechi anche solo per la salvaguardia dell’efficienza economica delle loro attività. Oltre a questo, è molto probabile che il cibo “sprecato” sia sempre valorizzato, o per produrre di altri beni, come ad esempio il cibo per animali, o per la conversione in energia, come nel caso della produzione di biogas.
Lo spreco generato durante la fase di consumo (che nella migliore delle ipotesi avvia il cibo gettato al compostaggio) è invece dovuto agli stili di vita dei consumatori, quindi le attività rivolte alla sua riduzione sono soprattutto nei programmi di educazione e sensibilizzazione. In Italia, la prima indagine sull’argomento è stata compiuta nel 2011 con il progetto Last Minute Market, che ha portato a stimare uno spreco annuo medio pari al 27%, con un valore economico di circa 1.700 euro per famiglia. Nel 2012, uno studio del Politecnico di Milano ha invece portato a una stima dello spreco pari al 16% dei consumi.
Questi risultati suggeriscono, fra le altre cose, l’importanza di introdurre nella definizione di spreco il valore sociale del cibo non consumato. In questo modo, nel concetto di spreco si includerebbe solamente il cibo prodotto (e quindi edibile) non utilizzato per l’alimentazione umana. Nella definizione, infatti, non dovrebbero rientrare le parti che non si possono mangiare.
C’è però chi, comprensibilmente, inserisce nella definizione di spreco alimentare anche la sovralimentazione degli individui, ossia la differenza tra la quantità di cibo che una persona consuma e quella di cui avrebbe realmente bisogno secondo il fabbisogno calorico raccomandato. Una posizione che mette anche sovrappeso e obesità (e conseguenti patologie) all’interno del dibattito.
Ma in Italia dove si generano gli sprechi di cibo? In particolare, il 37% è da collegare al settore primario; il 2% si verifica nell’industria di trasformazione alimentare (percentuale molto bassa perché l’industria sa bene che ogni spreco è un costo inutile, da evitare); il 13% avviene durante la distribuzione; il 3% proviene dalla ristorazione; il 45%, ossia la fetta più consistente, è dovuto invece al consumatore finale.
In pratica, lo spreco sociale viene generato prevalentemente nelle fasi di produzione primaria e di consumo finale. Sulla seconda, ancor più che sulla prima, tutti noi abbiamo un’enorme influenza. E dovremmo esercitarla. Se non altro perché, solo in Italia, l’eccedenza di cibo è stimata in circa 6 milioni di tonnellate all’anno.