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Checché ne dica la Corte dei Conti, il modello zootecnico italiano è un esempio di sostenibilità

Mentre la Corte dei Conti europea rimprovera l’agricoltura per gli scarsi risultati sul piano ambientale, il settore zootecnico, con soldi propri e senza toccare quelli della PAC, ha ridotto emissioni, consumi idrici, impatto ambientale ed uso degli antibiotici negli allevamenti.

È una dura bacchettata al mondo zootecnico e più in generale all’agricoltura quella che arriva dalla Corte dei Conti europea in tema di contrasto ai cambiamenti climatici. Alle produzioni agricole e a quelle zootecniche, questa la contestazione della Corte, sono stati destinati tramite la PAC, la Politica Agricola Comune, circa 100 miliardi di euro negli ultimi sette anni. Sostegni finalizzati a ridurre l’impatto ambientale delle produzioni agricole. Ma i risultati ottenuti sono modesti e inferiori alle attese.

Dito puntato in particolare sulle produzioni animali, che la Corte suggerisce di ridurre per favorire quelle vegetali e biologiche. Il tutto citando numeri che non trovano d’accordo tutta la comunità scientifica e che non tengono conto di realtà specifiche, come quella italiana. Il documento della Corte attribuisce all’agricoltura la responsabilità del 26% del totale delle emissioni climalteranti, alle quali la zootecnia contribuirebbe per la maggior parte. Almeno in Italia la situazione è assai diversa da quella descritta dalla Corte. Le analisi di Ispra confermano infatti che il ruolo della zootecnia è inferiore al 6% del totale (5,6%, per la precisione) ed è in costante miglioramento.

Le contestazioni della Corte arrivano peraltro in coincidenza con l’approvazione da parte del Parlamento europeo della legge sul clima. Questa aumenta dal 40% al 55% la riduzione di emissioni di gas serra entro il 2030 e costituirà un elemento chiave attorno al quale ruoteranno le politiche ambientali, come pure la stessa riforma della PAC, appena approvata.

Mentre la Corte dei Conti europea rimprovera l'#agricoltura per scarsi risultati ambientali, la #zootecnia, con soldi propri, ha ridotto #emissioni, consumi #acqua, impatto ambientale ed uso di #antibiotici. Condividi il Tweet

Tutti elementi che rientrano nel disegno più complessivo della strategia Farm to Fork, il cui impatto sulle produzioni agroalimentari potrebbe rivelarsi negativo, come rilevato da alcune analisi dell’Usda, il Dipartimento agricolo statunitense. Il rischio, è bene rammentarlo, è quello di una riduzione delle produzioni agroalimentari dell’Unione, al quale farebbe seguito un aumento delle importazioni, annullando ogni beneficio sull’ambiente a livello mondiale.

Talune scelte delle politiche comunitarie, specie quelle volte al contenimento delle produzioni animali, sembrano non tenere conto dei risultati conseguiti con la zootecnia di precisione, in particolare nel comparto avicolo. La situazione è ben descritta da alcuni recenti dati resi noti da Unaitalia, l’associazione che riunisce la gran parte della filiera. Vediamone i più significativi.

La produzione di carne bianche ha raggiunto quota 1,39 milioni di tonnellate, con un aumento dello 1,8% nel 2020. Aumento che ha assecondato l’incremento dei consumi anche durante la crisi sanitaria da coronavirus. Un equilibrio fra domanda e offerta reso possibile dalla efficiente organizzazione di questa filiera, fortemente integrata.

Nel solo 2020 il consumo di #antibiotici in #avicoltura si è ridotto di un ulteriore 6%. Dal 2011 ad oggi l’impiego di questi #farmaci è diminuito dell’88%. Condividi il Tweet

Ciò che più conta è come questi risultati sono stati raggiunti. Anzitutto con una attenta gestione degli scarti di lavorazione, recuperati al 90% e con la produzione di biogas e biometano per 17,3 milioni di metri cubi per anno. Gli impianti avicoli possono così vantare una produzione di 62 milioni di chilowatt per anno di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tanto da ipotizzare nei prossimi anni l’autosufficienza energetica.

Importanti i progressi sul consumo idrico. L’introduzione di nuove tecnologie ha consentito di restituire all’ambiente le acque di processo depurate per 9,2 milioni di metri cubi ogni anno. Risultati, è bene ricordare, raggiunti con l’impiego di fondi propri del settore avicolo che si è “tassato” per mettere a disposizione di questi progetti ben 50 milioni di euro. E i risultati, oltre che sul piano ambientale, si sono visti anche su quello della salute. Nel solo 2020 il consumo di antibiotici nel comparto avicolo si è ridotto di un ulteriore 6%. Dal 2011 ad oggi l’impiego di questi farmaci è diminuito dell’88%, una risposta concreta alle politiche che ispirano la strategia One Health, dove medicina umana e veterinaria dovrebbero muoversi in sintonia.

Il settore avicolo italiano, con i suoi seimila allevamenti professionali e 64mila addetti (per un fatturato complessivo di 5,7 miliardi di euro), può a ragione ritenersi un esempio per orientare scelte di politica ambientale. Certo non gli appartengono le critiche mosse dalla Corte dei Conti europea, sia perché i risultati ci sono e sono apprezzabili, sia perché raggiunti facendo ricorso a risorse proprie.

Il comparto #bovino, che per sua natura incide maggiormente sul #clima, in Italia conta #emissioni nette pari al 3,6% del totale nazionale. Condividi il Tweet

Ma l’avicoltura non è l’unica attività zootecnica impegnata a ridurre gli impatti. Infatti anche il comparto bovino, che per sua natura incide maggiormente sul clima, in Italia conta emissioni nette pari al 3,6% del totale nazionale. E poi anche qui le cose vanno sempre meglio. Merito della maggiore efficienza degli allevamenti, che con un minore numero di animali, e dunque con un ridotto impatto ambientale, riescono a produrre quanto e più di prima. Senza contare che la ricerca ha messo a punto schemi alimentari e nuove formule capaci di abbattere del 70% le emissioni di metano.

E i suini? Anche qui si punta sull’efficienza e poi sulla produzione di energie rinnovabili. Non per nulla l’Italia è il quarto produttore mondiale di biogas, dopo Cina, Usa e Germania. Dei 2.100 impianti presenti in Italia, quasi un terzo sono impianti a biogas che utilizzano biomasse da reflui zootecnici.

La filiera zootecnica bovina, inoltre, ha in corso un ambizioso progetto di riconversione del biogas in biometano attraverso impianti di upgrading e successiva liquefazione in LNG, che potrà essere utilizzato sia per i camion di distribuzione merci sia per le macchine agricole, la cui trazione elettrica non è ancora possibile.

Può lasciare stupiti, ma dai calcoli corretti il bilancio del #carbonio vede gli #allevamenti in credito di un milione di tonnellate di #CO2. Condividi il Tweet

Il risultato complessivo può lasciare stupiti. Il bilancio del carbonio vede gli allevamenti in credito. Facciamo insieme due conti. Dalle emissioni delle produzioni animali, si hanno 19,9 milioni di tonnellate di CO2. I pascoli, insieme ai prati, boschi (dove pascolano animali) ed erbai permanenti, ne assorbono (sequestrano, è il termine tecnico) per 20,9 milioni di tonnellate. Il conto è presto fatto: gli allevamenti sono in “credito” di un milione di tonnellate di CO2.

Già che ci siamo parliamo anche di acqua, di water footprint per dirla con una diffusa definizione inglese. A volte si legge che per produrre un chilo di carne siano necessari 15mila e oltre litri di acqua. Nulla di più falso. Si confonde l’acqua utilizzata con quella restituita all’ambiente. In realtà l’acqua necessaria a produrre un chilo di carne, nei modelli più efficienti, si ferma ad appena 790 litri.

A dispetto di questi dati, c’è il timore che una visione miope e pregiudiziale, ispirata a concetti di ambientalismo non corretti, possa imprimere una svolta negativa sia per l’ambiente sia per l’economia. Vale per tutte le produzioni animali, troppe volte sul banco degli imputati con argomentazioni pretestuose. Quanto questi timori siano fondati lo hanno evidenziato gli stessi produttori con la campagna “I nove paradossi del Farm to Fork”.

Per una maggiore #sostenibilità serve un più deciso impulso e sostegno alle #TecnologieDigitali e all’#innovazione in ogni segmento delle #ProduzioniAnimali. Condividi il Tweet

La riforma della PAC, ormai giunta al traguardo conclusivo dopo un lunga e difficile opera di mediazione, ha tentato di evitare questi pericoli, ma il risultato finale sembra scontentare tutti. Dai movimenti ambientalisti, che protesi verso una visione romantica e a volte utopica dell’agricoltura, pretendevano di più, agli stessi agricoltori, che hanno visto comunque una riduzione dei sostegni a loro destinati.

Gli esempi che vengono dalla zootecnia italiana avrebbero suggerito altre soluzioni. Un più deciso impulso e sostegno alle tecnologie digitali e all’innovazione in ogni segmento delle produzioni animali, dal management all’alimentazione, dalla genetica alla salute e al benessere animale. In altre parole, una spinta incisiva alla zootecnia di precisione, capace com’è di mettere in equilibrio sostenibilità ambientale ed economica. I “giochi” sono praticamente conclusi, ma si può ancora rimediare.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.