
Carne rossa e rischio demenza: cosa dice la scienza
Carne rossa e salumi di nuovo nel mirino. Questa volta il loro consumo dovrebbe causare demenza, mentre la scienza dice da anni esattamente il contrario.
Si leggono in questi giorni titoli acchiappa-click su uno studio che dimostrerebbe il legame tra carne rossa, in particolar modo quella lavorata, e il rischio di demenza senile. Cosa mostra davvero lo studio in questione? Si tratta di una ricerca pubblicata sulla rivista Neurology, che ha analizzato dati provenienti da 133.771 partecipanti negli Stati Uniti, seguiti per oltre 40 anni, arrivando alla conclusione che il consumo di carne rossa e lavorata aumenta il rischio di declino cognitivo e demenza, mentre legumi e frutta secca, come le noci, lo riducono.
Un modo poco affidabile di raccogliere dati e informazioni
Quello che però non viene specificato da chi sta diffondendo la notizia che “la carne rossa fa venire la demenza” è che, pur essendo un’ampia coorte prospettica con un lungo periodo di follow-up, si tratta di uno studio osservazionale, che non stabilisce un rapporto causale diretto tra il consumo di carne rossa e la demenza. Questo perché esistono potenziali fattori confondenti non completamente controllati. Ad esempio, l’assunzione alimentare è frutto di una autovalutazione, riportata dai partecipanti tramite questionari, che è un modo poco affidabile di raccogliere dati, in quanto introduce il rischio di bias di memoria e poca accuratezza nelle stime reali dei consumi. Persino la valutazione delle proprie capacità cognitive è un dato in parte autoriportato, con tutti i limiti a cui sono soggetti i giudizi autoriferiti.
Inoltre non vengono presi in considerazione i metodi di cottura e lavorazione della carne per ottenere salumi, salsicce, hot dog e bacon, che negli Stati Uniti differiscono notevolmente da quelli prodotti in Europa e in Italia, per qualità della carne e tipi di additivi impiegati. I risultati non sono quindi generalizzabili a tutte le popolazioni e non spiegano i meccanismi biologici attraverso cui il consumo di carne rossa e lavorata influirebbe sulla salute del cervello. La funzione cognitiva oggettiva è stata poi valutata solo in un sottoinsieme di partecipanti (17.458) e per un periodo più breve (1995-2008). Tutte queste limitazioni metodologiche richiedono cautela nell’interpretazione e rendono necessarie ulteriori ricerche su popolazioni diverse e studi sperimentali prima di poter arrivare a risultati conclusivi.
La scienza generalmente dice l’opposto: la carne fa bene al cervello
Sono diversi infatti gli studi che mostrano esattamente l’opposto e quindi il ruolo fondamentale della carne, specialmente la carne rossa, per lo sviluppo cognitivo nei bambini e per prevenire il declino cognitivo negli anziani. In uno studio britannico, condotto su 48.749 partecipanti, la carne rossa e il pesce sono risultati alimenti protettivi contro il declino cognitivo e la neurodegenerazione. La carne è un alimento che consumiamo da 2,6 milioni di anni, che ha contribuito alla nostra evoluzione, grazie ai suoi nutrienti essenziali ad alto assorbimento, che non riusciamo ad ottenere dai vegetali. Il consumo di carne ha consentito lo sviluppo del nostro cervello e della nostra intelligenza, permettendoci di evolverci oltre il livello delle scimmie.
Il 20% del nostro cervello è costituito da colesterolo e la carne contiene tutte le sostanze per nutrirlo in modo adeguato, a cominciare dalla nicotinamide, la vitamina dell’intelligenza e dalla colina, un nutriente essenziale per il cervello, che si trova solo nella carne e nei cibi animali e di cui è dimostrato il ruolo nel migliorare le prestazioni cognitive del nascituro, influendo anche sulla memoria in età avanzata. La preoccupazione degli esperti riguarda infatti la riduzione eccessiva del consumo di carne, dovuta alla disinformazione, che può avere gravi ripercussioni sulla costruzione e funzionalità del cervello, tra cui il rischio di Quozienti Intellettivi più bassi nelle generazioni future. Si potrebbe assistere cioè ad una “involuzione”, cioè una regressione delle nostre abilità cognitive, che abbiamo ottenuto proprio grazie alla carne e non ai legumi, che in realtà non digeriamo in modo efficiente e dalle cui sostanze non siamo in grado di trarre pieno vantaggio.
I benefici della carne, a tutte le età
Vitamine del gruppo B, come la B1, di cui la carne di maiale è una delle fonti più affidabili, la B12, che è assente nei vegetali, gli omega 3 a catena lunga, essenziali per la funzione cerebrale, il ferro eme, la colina e la taurina, sono solo alcuni dei nutrienti della carne e dei cibi animali che migliorano le performance cognitive negli ultrasessantenni, ma anche nei bambini e adolescenti che mangiano carne quasi tutti i giorni. Uno studio dell’Università di Oxford ha evidenziato che livelli bassi di vitamina B12, a cui sono soggetti i vegani, hanno fatto registrare una riduzione delle dimensioni del cervello nel tempo. Le scansioni cerebrali dei bambini allattati al seno da madri vegane mostrano anche atrofia cerebrale.
Le diete seguite da madri vegane, carenti di nutrienti fondamentali come vitamina B12, ferro eme, DHA e zinco, possono quindi avere conseguenze profonde sullo sviluppo psico-fisico del bambino. La mancanza di questi elementi essenziali, cruciali per la formazione del sistema nervoso e la crescita cellulare, aumenta il rischio di deficit cognitivi, ritardi nello sviluppo motorio e disturbi neurologici, compromettendo in modo anche irreversibile il corretto sviluppo del feto durante la gestazione e influenzando negativamente la qualità del latte materno durante l’allattamento.
Il consumo frequente di carne durante l’infanzia invece è stato associato a una migliore abilità cognitiva fino alla vecchiaia, sottolineando l’importanza di un’adeguata nutrizione infantile per un invecchiamento sano. Nei Paesi in via di sviluppo, dove la malnutrizione causa l’arresto della crescita sia corporea che cerebrale, la carne e i cibi animali possono rappresentare alimenti risolutivi. La FAO e l’OMS li hanno dichiarati per questo le migliori fonti di nutrienti per i bambini tra i 6 e i 23 mesi, al fine di garantire uno sviluppo somatico e cognitivo sano, con effetti positivi anche nella vita adulta e anziana. In sintesi, la ricerca in questo campo è tutt’altro che conclusiva e attendiamo studi di maggiore qualità scientifica che possano fare chiarezza e rivelare risvolti interessanti.