Carne e sostenibilità: una sfida europea
L’agricoltura è l’unica attività umana che oltre ad emettere carbonio lo sequestra: le emissioni nette in UE pesano il 4,6% del totale. Nuove metriche rivedono l’impatto del settore agricolo.
Il settore zootecnico europeo rappresenta il 38,5% dell’intero comparto agricolo per un valore di 206 miliardi di euro con circa 4 milioni di addetti. Questa la fotografia scattata al Parlamento Europeo durante l’evento di presentazione del libro “Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability”, scritto dagli autori Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina. Il volume è edito, in formato open access, da Franco Angeli con il contributo di Carni Sostenibili, organizzazione no profit che riunisce le associazioni dei produttori di carni e salumi italiani con lo scopo di promuovere un consumo consapevole e la produzione sostenibile degli alimenti di origine animale. L’evento è stato introdotto e promosso dall’eurodeputato, Onorevole Salvatore De Meo, Presidente della Commissione Affari Costituzionali e membro della Commissione Agricoltura, e ha visto la partecipazione, oltre che degli autori, anche di Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia.
Salvatore De Meo: “La transizione verde va perseguita in maniera pragmatica”
“Oggi il settore zootecnico europeo è al centro della sfida ambientale” – ha detto nel suo intervento l’eurodeputato De Meo– “ma la transizione va perseguita in maniera pragmatica, non impositiva e soprattutto non ideologica. La sostenibilità, che è l’obiettivo verso cui bisogna continuare a tendere, deve necessariamente essere coniugata con lo sviluppo economico e produttivo. Le imprese e i cittadini vanno aiutati e accompagnati sulla strada della transizione verde. L’auspicio è che la prossima legislatura si muova su questa strada, riconoscendo l’enorme valore che tutto il comparto agricolo europeo esprime anche nella lotta ai cambiamenti climatici e alla transizione verde”.
Emissioni: considerando il bilancio delle emissioni dei gas e il sequestro di carbonio dei sistemi rurali, il settore agricolo europeo pesa per il 4,6% del totale
E sugli impatti ambientali del settore si è espresso il professor Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili. “L’intero comparto agricolo in Europa ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18% tra il 1990 e il 2021”. L’agricoltura è l’unica attività umana che, oltre ad emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra. Ecco perché, anche quando si parla di zootecnia, non si deve parlare di sole emissioni climalteranti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi. “Ma vi è di più” – aggiunge il professore – “in questi anni la comunità scientifica e le istituzioni hanno evidenziato la necessità di sviluppare nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera”. Già nel 1990 l’IPCC affermava che tutte le metriche fino ad allora utilizzate presentavano limitazioni e incertezze. E proprio per colmare questa incertezza una radicale revisione delle metriche è stata proposta dal team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford con diverse pubblicazioni su riviste scientifiche del gruppo Nature. “Così ricalcolate, le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8% (o il 4,6% se compensate dai riassorbimenti), del totale, ma diventerebbero addirittura negative”.
Come si spiega, però, una tale riduzione degli impatti, fino a renderli perfino negativi? “Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica”, spiega Pulina, sottolineando che “le nuove metriche tengono conto di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni”.
Carne e alimentazione: gli alimenti di origine animale apportano il 55% degli amminoacidi essenziali nella nutrizione mondiale
Un punto anche su carne e nutrizione a cura della dottoressa Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa e specialista in Scienze dell’alimentazione, che ha evidenziato il valore degli alimenti di origine animale nell’ambito dell’alimentazione umana: “Recenti studi permettono di valutare la qualità delle proteine negli alimenti in rapporto al fabbisogno degli esseri umani. Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18% delle calorie, essi contribuiscono per il 34% delle proteine e per il 55% degli aminoacidi essenziali. Quest’ultimi, sono parametri chiave nella valutazione della qualità degli alimenti e” – aggiunge Bernardi – “quando viene calcolata l’impronta ambientale di un alimento di origine vegetale o animale, considerando la capacità di questo alimento di coprire i fabbisogni umani di aminoacidi essenziali, l’impronta ecologica degli alimenti di origine animale – sia come uso del suolo, sia come emissioni di gas a effetto serra – è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, ad eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”. E ha concluso l’esperta: “Recenti studi, inoltre, hanno riabilitato la carne rossa perché esistono limitate evidenze scientifiche e fattori confondenti (bias) fra questo alimento e i rischi per la salute, ed è sempre necessario considerare la dieta nella sua totalità.”
Allevamenti ed economia circolare: Italia 4° produttore al mondo di biogas e 2° in Ue
Sul tema della sostenibilità degli allevamenti italiani torna anche Ettore Capri, professore di Chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che fa un punto sul modello italiano ricordando come il sistema zootecnico italiano sia un modello avanzato a livello non solo europeo di economia circolare: “Negli ultimi anni – dice Capri – “abbiamo assistito a una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti”. Oggi, infatti, l’Italia è il 4° produttore al mondo di biogas e secondo in Europa dopo la Germania. Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di Carbon Farming: “Si tratta di una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare” – spiega ancora Capri – “che al contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico. È un processo naturale ecosistemico che l’allevamento del bestiame intensifica grazie al ruolo primario svolto dalla produzione di sostanza organica da destinarsi al suolo secondo un principio di economia circolare delle risorse e lo sviluppo di comunità energetiche sui territori”.
Carne artificiale: non si autorizzi senza averne valutato prima a pieno tutti i rischi
Nel mondo 1,3 miliardi di persone devono esclusivamente il loro sostentamento ad attività legate all’allevamento. Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia, nel suo intervento ricorda la necessità di mantenere vivo il legame fra terra e produzione del cibo: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”. E in particolare sulla carne artificiale ricorda che: “Secondo FAO e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale, mancano gli studi necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”. E ha aggiunto: “ci hanno definito oscurantisti, contrari al progresso, soltanto perché abbiamo chiesto un blocco temporaneo di tali prodotti in attesa che si analizzino i reali rischi e si adeguino a tali rischi emergenti, mai visti prima, le procedure di valutazione dell’EFSA che nella loro complessità dovranno essere molto più simili a quelle dei nuovi farmaci che richiedono spesso molti anni per una valutazione completa, che a quelli dei novel food che possono essere autorizzati in pochi mesi”.