Carne di vitello, e sai cosa mangi
La carne di vitello. In quanti la conoscono davvero? Che cosa c’è dietro la sua produzione? Quali sono le sue proprietà a livello nutrizionale? Ce lo spiega bene il giornalista e veterinario Angelo Gamberini.
Il colore rosato è invitante, anticipa al palato succosità e tenerezza. Guardi l’etichetta e quella scritta, nato e allevato in Italia. Ti convince all’acquisto. Il prezzo, appena sopra altre tipologie, passa in secondo piano. Eccola lì, la carne di vitello, ormai dentro al carrello della spesa, pronta per passare sul fornello. È stato un buon acquisto? Sì. Ecco perché.
Si potrebbe obiettare che sacrificare un vitello rappresenta uno spreco. Interrompere la sua carriera produttiva entro gli otto mesi di età (massima età prevista per questa categoria commerciale) ferma uno sviluppo che sarebbe potuto andare oltre. La realtà dimostra il contrario. Per comprenderlo occorre parlare un po’ di allevamenti bovini e di razze. Per quanto banale, occorre ricordare che esistono razze specializzate per la produzione di carne e altre per quella del latte. Per fare il latte occorrono però vitelli femmine, che diverranno poi vacche. E dei vitelli maschi, che ne facciamo?
Geneticamente proiettati a produrre latte, questi giovani bovini maschi si dimostrano poco portati a far crescere i muscoli. L’unica risposta, improponibile, parrebbe quella di sacrificarli alla nascita. Un pericolo evitato grazie agli eccessi europei nella produzione di latte, che negli anni ’80 portarono al regime delle quote, del quale le cronache hanno tanto parlato.
C’era la necessità di ridurre la quantità di latte e soprattutto di smaltire le enormi e costose giacenze di latte in polvere accumulate nei magazzini di stoccaggio della UE. Fu così che se ne incentivò il consumo per l’alimentazione zootecnica e parte di quel latte in polvere divenne alimento per i vitelli, anche oltre i confini dello svezzamento. Ecco così i primi vitelli a carne bianca di oltre due quintali di peso, allevati in prevalenza nelle regioni del Nord, dove si concentra la zootecnia da latte.
Grazie ai vitelli delle razze da latte si è così creata una filiera delle carni tutta italiana, dall’inizio alla fine. Accade più raramente nella produzione del vitellone, dove la carenza di vitelli delle razze da carne costringe ad importare animali giovani, che finiranno il periodo di ingrasso nelle stalle italiane.
Nel frattempo l’allevamento del vitello si è profondamente evoluto. Sulla spinta della maggiore attenzione al benessere animale, sia il metodo di allevamento, sia l’alimentazione dei vitelli si è molto modificata. Non solo latte o alimenti liquidi, ma anche solidi a partire dai due mesi di età e poi allevamenti in gruppo e non più in box singoli. Sono alcune delle regole sancite dal decreto legislativo 126 del 7 luglio 2011, che ha concluso l’iter iniziato nel 1991 (91/629/Cee) con le direttive comunitarie sulla protezione dei vitelli.
Sono molti i requisiti che oggi un allevamento è tenuto a rispettare. Della abolizione delle gabbie singole già si è detto. I box dove gli animali sono in gruppo devono offrire uno spazio adeguato, poco meno di due metri quadrati per capo. Ai pavimenti si chiede un buon appoggio degli arti e una facile pulizia, con aree di riposo asciutte e confortevoli. Anche temperatura, umidità e circolazione dell’aria seguono precise indicazioni, tanto da prevedere sistemi di allarme per evidenziare guasti agli impianti di condizionamento ambientale. Ammessi solo locali dove sia presente luce naturale per almeno otto ore al giorno: regola a volte disattesa in luoghi adibiti al lavoro dell’uomo… ma questo è un altro discorso.
Rigidi dettami riguardano infine l’alimentazione. Già alla seconda settimana di vita l’alimentazione deve prevedere la presenza di almeno 50 grammi di fibra al giorno, che diventano 250 grammi dopo i due mesi di vita. Dimenticati gli animali anemici del passato, l’allevatore dovrà assicurarsi di somministrare alimenti con un adeguato contenuto in ferro. La verifica la si ha monitorando il tasso di emoglobina nel sangue, che le norme impongono non sia inferiore a 4,5 mmol/litro
Assicurarsi che l’alimentazione risponda a regole così precise non è semplice. In soccorso degli allevatori c’è la sempre maggiore diffusione di diete a base di sostitutivi del latte. Doppio il vantaggio. Si evita di sprecare latte, oggi che il problema delle giacenze di latte in polvere è superato, e si hanno a disposizione formulazioni sempre più precise e allineate alle esigenze specifiche degli animali. Nulla di “artificiale”, intendiamoci. Per realizzare questo “non-latte” si utilizzano proteine del siero di latte, farine di cereali e leguminose e altri alimenti naturali.
Gli allevatori, è lecito chiedersi, rispettano tutte queste regole? Sono attenti al benessere degli animali? Assicurano loro cibo di qualità e ambienti confortevoli? A rispondere a questi interrogativi provvedono i controlli della Asl, che ha competenza sul territorio dove ha sede l’allevamento. Per gli allevatori non in regola le multe sono salate e possono arrivare a 15mila euro.
Le “furbizie” in questo campo non pagano. Tanto più che un allevamento dove si rispetta il benessere animale è anche un allevamento più redditizio. Poi c’è chi sbaglia, i casi denunciati ne sono una conferma. Sono al contempo una prova dell’efficienza dei controlli e dell’ottimo lavoro dei nostri servizi veterinari, un vanto tutto italiano.
Ora che la carne di vitello è giunta sulla nostra tavola, non resta che un ultimo dubbio. Il suo valore nutrizionale regge il confronto con le altre carni? Un’occhiata alle tabelle messe a punto dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) risolve anche quest’ultimo quesito. La quantità di proteine (di elevato valore biologico, ricordiamolo) è 20,7 grammi per etto di filetto, persino superiore a quella di un bovino adulto (20,5 grammi per etto). Modesta la quantità di grassi, appena 2,7 grammi, la metà di quella presente nel vitellone. Non resta che accendere il fuoco e passare alla cottura, meglio se non eccessiva.
Angelo Gamberini
Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull’allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.