Antibiotici, EFSA: l’uomo ne consuma più degli animali
Il mondo degli allevamenti ha da tempo ridotto l’uso di antimicrobici, ottenendo ottimi risultati. Purtroppo ciò non si registra nella medicina umana, dove il consumo di antibiotici è rimasto elevato e le terapie si rivelano inappropriate in un caso su quattro. Lo riconferma l’ultimo rapporto EFSA.
Il consumo di antibiotici negli animali allevati in Europa si è fortemente ridotto e per alcune molecole, come le polimixine, persino dimezzato. Cali significativi hanno interessato poi il gruppo delle penicilline e delle tetracicline. Invece il consumo è rimasto elevato in campo medico, tanto che ora l’impiego di antimicrobici è più alto nell’uomo (130 mg/kg) rispetto agli animali (108,3 mg/kg).
Lo confermano i dati diffusi da EFSA, l’Ente europeo per la sicurezza alimentare, che insieme a EMA (Agenzia europea per i medicinali) e ECDC (Centro europeo per il controllo delle malattie), ha monitorato l’evolvere della situazione fra il 2016 e il 2018. E tutto lascia presumere che negli anni seguenti si sia fatto ancor meglio, ma è presto per parlarne.
Il mondo degli #allevamenti ha da tempo ridotto l’uso di #antimicrobici, mentre in #medicina umana il consumo di #antibiotici è rimasto elevato e le terapie si rivelano inappropriate in un caso su quattro. Condividi il Tweet
Intanto, va segnalato questo primo straordinario risultato, frutto del comportamento responsabile della filiera delle produzioni animali, dalla carne alle uova e al latte. Un importante passo avanti nel contrasto alla crescita dell’AMR, acronimo di Antimicrobial Resistance, il termine inglese per definire l’antibiotico resistenza.
Si stima che oltre 30mila persone, nella sola Europa, perdano la vita ogni anno a causa dell’AMR. Numeri da capogiro, paragonabili a quelli di note patologie, come influenza, tubercolosi e Aids messi insieme. Lo affermano studi dell’ECDC, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019. Colpa di un uso eccessivo e improprio degli antibiotici, che favorisce la nascita di nuovi ceppi batterici resistenti. Se non si interviene si delinea un futuro dove curare infezioni anche banali potrebbe essere difficile, se non impossibile. E la mortalità, già ora inaccettabile, sarebbe destinata ad aumentare.
Un uso eccessivo e improprio di #antibiotici favorisce la nascita di nuovi #CeppiBatterici resistenti. Se non si interviene si delinea un futuro dove curare #infezioni anche banali potrebbe essere difficile. Condividi il Tweet
Il problema non è di oggi e lo si dibatte da tempo, tanto che già nel 2007 EFSA mise a punto le prime linee guida per monitorare la resistenza di alcuni batteri (Salmonella e Campylobacter), che interessano uomo e animali. Da allora le ricerche non si sono arrestate, seguendo due filoni: controllare l’evolvere del problema e tracciare le linee guida per arrestare la crescita dell’AMR. Così si è affidato alla ricerca il compito di realizzare nuove molecole antibiotiche, capaci di superare le difese messe in atto dai microrganismi. Strada lunga e tortuosa, che richiede ingenti investimenti e che non promette risultati a breve.
Soluzione più immediata è quella di una riduzione nell’uso di antibiotici e soprattutto un loro impiego razionale e mirato. Finalità da perseguire con determinazione in ogni ambito sanitario, non importa se si tratti di una stalla o di una clinica. Concetti che si ritrovano nella strategia One Health, che vede medicina dell’uomo e degli animali proiettata verso obiettivi di salute comuni e interconnessi.
Contro l'#AntibioticoResistenza, la soluzione più immediata è quella di una riduzione nell’uso di #antibiotici e soprattutto un loro impiego razionale e mirato. Come si fa in #zootecnia. Condividi il Tweet
Escluso da tempo in campo animale l’impiego di antibiotici a bassi dosaggi (auxinici) per fini produttivi, l’attuale prescrizione veterinaria ha prevalenti finalità terapeutiche, mirata sul singolo animale o su un gruppo definito. L’introduzione poi della ricetta elettronica veterinaria ha contribuito a un più razionale e controllato uso di tutti i farmaci.
Al contempo il mondo degli allevamenti ha messo in atto una serie di strategie per ridurre l’uso di antimicrobici, fra le quali un aumento del livello di biosicurezza per evitare l’ingresso in stalla dei patogeni. Laddove non si è potuto fare a meno di un intervento terapeutico, si è puntato a soluzioni alternative. Ed è stato un fiorire di alghe ad azione antibatterica, acidi grassi a corta catena, tannini e molte altre sostanze naturali capaci di interagire con le cellule microbiche, esercitando un’azione batteriostatica e anche battericida. Ecco spiegato, almeno in parte, il “segreto” che ha consentito la drastica riduzione dell’uso di antibiotici negli allevamenti.
Quando si affronta il problema dell’#AntibioticoResistenza è sbagliato puntare il dito sugli #allevamenti, a loro volta “vittime” di questo problema. Condividi il Tweet
Purtroppo un analogo risultato non lo si è registrato in campo umano, dove il consumo di questi farmaci è rimasto elevato. Preoccupante a questo proposito la denuncia della Agenzia italiana per il farmaco (AIFA) per il frequente uso improprio delle terapie antibiotiche, che nell’uomo si rivelano inappropriate in un caso su quattro. Senza dimenticare che il rapporto di EFSA segnala come alla diminuzione dell’uso di antibiotici in campo zootecnico non sia corrisposta un’analoga riduzione in campo umano.
Quando si affronta il problema dell’antibiotico resistenza è allora sbagliato puntare il dito sugli allevamenti, a loro volta “vittime” di questo problema. La via da seguire resta quella tracciata dalla strategia One Health, purché ognuno faccia la propria parte.