TOP
antibiotici allevamenti

Antibiotici e stalle, operazione verità

Bruxelles sancisce l’obbligo di accertare il reale consumo di antibiotici, che con gli attuali metodi di rilevazione potrebbe essere sovrastimato. Ma il loro impiego è già in forte calo, soprattutto in Italia.

Si riduce anno dopo anno il consumo di antibiotici nelle stalle europee. Meno 53% a livello generale e meno 57,5% in Italia. Importante poi che siano alcune classi di antimicrobici (di cui gli antibiotici fanno parte), come le polimixine (meno 98,1%), a registrare le riduzioni più sensibili. Sempre in Italia è in caduta verticale l’uso in medicina veterinaria di cefalosporine (meno 76,2%) e quinoloni (meno 95,9%), antimicrobici di grande interesse anche per la cura dell’uomo.

I dati raccolti da ESVAC (European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption) non lasciano dubbi a questo proposito. Si tratta di un importante passo avanti e di un deciso contributo della zootecnia nella lotta al fenomeno dell’antibiotico-resistenza, che tante preoccupazioni desta per la salute dell’uomo. Il tutto nel solco della strategia One-Health, il cui fulcro è l’interconnessione fra salute dell’uomo, dell’ambiente e degli animali.

Sino all’ultimo rapporto di ESVAC, pubblicato a novembre dello scorso anno, i dati raccolti sulle vendite di antimicrobici erano il frutto di una fattiva ma volontaria collaborazione di molti Paesi (oggi saliti a 31, dunque oltre i confini dell’Unione europea), che per tredici anni hanno messo a disposizione i dati di vendita dei farmaci veterinari. Dati di vendita, è opportuno precisare, che possono non corrispondere con quelli del reale consumo, verosimilmente più basso.

Si riduce sempre più il consumo di #antibiotici negli #allevamenti europei: -53% a livello generale e -57,5% in Italia, superando così la media europea. Condividi il Tweet

Ora però si cambia. La raccolta dei dati da parte dei paesi dell’Ue è divenuta obbligatoria già a inizio di quest’anno e i numeri saranno quelli del reale consumo di farmaci veterinari e non solo quelli di vendita. È quanto previsto dal Regolamento europeo 2019/6, che precisa il nuovo percorso da seguire e che al contempo aggiorna le procedure per la messa in commercio dei farmaci veterinari.

Tutti i Paesi della UE e dello Spazio Economico Europeo (SEE) saranno tenuti a utilizzare un’apposita piattaforma informatica per comunicare a EMA (European Medicines Agency) il dettaglio sull’uso degli antimicrobici negli animali. L’obbligo è scattato nel gennaio del 2024 e impone che per ogni specie animale siano indicati i dati sul consumo di antimicrobici. Non più, dunque, solo una generica verifica sulla produzione e vendita dei singoli principi attivi, ma un preciso riferimento su quali animali sono impiegati questi farmaci e in quale misura.

Come intuibile, un dettaglio così approfondito, se da un lato consentirà di sciogliere ogni dubbio sul reale impiego di antibiotici in campo zootecnico, dall’altro richiede un certo sforzo organizzativo e operativo. Per questo, il primo report di EMA sul consumo potrà essere disponibile solo nel marzo del 2025, per poi essere diffuso negli anni successivi a fine dicembre.

La complessità della materia impone poi uno scaglionamento dei settori interessati. Si inizierà con la rendicontazione dei consumi in bovini, suini, polli e tacchini, i cui dati saranno oggetto del primo report. Nel 2027 il report sarà completato con i dati relativi ad altri segmenti avicoli (come anatre e oche), agli ovicaprini, ai conigli e ai pesci. Per conoscere il consumo di antimicrobici negli animali da affezione, come cani e gatti, occorre però attendere il 2030.

Da gennaio 2024 c'è l'obbligo in tutta l'#UE di utilizzare una piattaforma informatica per comunicare ad #EMA il dettaglio sull’uso degli #antimicrobici per gli #animali. Condividi il Tweet

L’Italia parte in vantaggio nell’elaborazione di questi dati grazie all’introduzione della ricetta elettronica veterinaria, operativa già da cinque anni. Confrontando il numero delle prescrizioni emesse dalla sua introduzione (aprile 2019) a oggi, si nota il forte divario fra quelle destinate agli animali da reddito (circa 4 milioni) rispetto a quelle per gli animali da affezione (34 milioni). Tanto da ipotizzare che questi ultimi siano forti consumatori di antibiotici.

Non sarà necessario attendere il 2030 per vedere con maggiore precisione quanto della vendita di antimicrobici sia destinata agli uni o agli altri. Basterà sottrarre i dati di vendita generali da quelli del consumo reale negli animali che producono carne, latte e uova. Per bovini, suini, polli e tacchini l’enigma sarà sciolto già nel 2025. E probabilmente si constaterà che nelle stalle il ricorso agli antibiotici è responsabilmente limitato all’indispensabile e che per sconfiggere la crescita dei fenomeni di antibiotico-resistenza occorre guardare soprattutto altrove.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.