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Allevamento, se intensivo (anzi, protetto) è meglio

Ormai si dà quasi per scontato che un allevamento intensivo, che sarebbe meglio definire protetto, è negativo per una serie di ragioni. Vediamo perché non è affatto così, soprattutto considerando il mondo per come sarà nei prossimi decenni.

Uomo e animali frequentano lo stesso mondo e da sempre condividono cibo e malattie. Alcune specifiche dell’una o dell’altra specie, altre che interessano indifferentemente uomo e animali. In questo caso si parla di zoonosi, ma è bene ricordare che queste patologie sono sotto controllo quando si parla di allevamenti, mentre il pericolo arriva dalla fauna selvatica. È partendo da qui che alcune malattie sono pronte, in particolari condizioni, a fare il salto di specie, lo spillover come si dice utilizzando un termine anglosassone, dando il via a malattie infettive emergenti (EID, Emerging Infectious Diseases). È accaduto in passato con Ebola, con la Sars e più di recente con il Covid-19. Ed è facile profezia prevedere che accadrà ancora.

Ma c’è modo di difendersi. Abolendo gli allevamenti, penseranno alcuni, oppure cancellando gli allevamenti intensivi, come propongono i sostenitori di un’agricoltura romantica possibile solo nelle favole. Al contrario, sono proprio gli allevamenti intensivi, che sarebbe meglio definire protetti, che potranno dare una mano all’uomo nell’evitare prima la fame e poi le malattie. Purché siano allevamenti coniugati in chiave sostenibile e indirizzati da politiche di sviluppo lungimiranti.

Lo dimostra una corposa ricerca firmata da H. Bartlett e Coll. e recentemente pubblicata da The Royal Society Open Science, che ha messo a confronto un’ampia letteratura sulle conseguenze ambientali e sanitarie connesse ai diversi sistemi di allevamento (intensivi, estensivi, al pascolo o confinati, di varie dimensioni) e al loro rapporto con l’ecosistema nel quale sono inseriti.

Assioma di partenza, la maggiore richiesta di carne che deriverà dall’aumento della popolazione mondiale e dalla crescita del benessere nei Paesi emergenti. Il modello con il quale queste esigenze saranno soddisfatte avrà un diverso impatto sia sull’ambiente che sulla salute dell’uomo e degli stessi animali.

Per soddisfare la maggior richiesta di #cibo da qui al 2050 servirebbe più #terra. Gli #AllevamentiIntensivi (meglio, protetti) grazie alla maggiore #efficienza consentirebbero di utilizzarne il 31% in meno. Condividi il Tweet

Per soddisfare la maggiore richiesta di cibo di origine animale sarà necessario disporre di ulteriori 12,5 milioni di km2 entro il 2050, cosa che andrebbe a scapito degli ecosistemi esistenti. Ne conseguirebbe una modifica degli habitat naturali e mutamenti nella presenza e distribuzione della fauna selvatica, con conseguente aumento del rischio di insorgenza di EID. E qui entrano in ballo gli allevamenti protetti (intensivi), che grazie alla loro maggiore efficienza consentirebbero di raggiungere lo stesso risultato produttivo utilizzando il 31% in meno di terra.

Si migliora l’impatto sull’ambiente, ma al contempo si controllano i fattori di rischio di EID, grazie a una migliore biosicurezza che si può realizzare solo negli allevamenti protetti. In queste condizioni si riducono al minimo i contatti diretti e indiretti tra bestiame, persone e fauna selvatica, al contrario di quanto accade in allevamenti estensivi, gestiti con sistema brado o semibrado.

Minori livelli di biosicurezza si osservano poi in sistemi di allevamento a “bassa efficienza”, come vengono definiti i piccoli allevamenti a carattere familiare, dove l’alimentazione avviene anche con scarti non trattati e sovente con una commistione di specie diverse, uomo compreso. Sono queste le situazioni all’origine della grave epidemia di influenza aviaria in Thailandia di alcuni anni fa. Analoghe considerazioni si possono fare per il Covid-19.

I sistemi di #AllevamentoIntensivo (cioè protetto) hanno una maggiore #efficienza, quindi richiedono minori estensioni di #terra per unità di prodotto ottenuto, riducendo l’impatto sull’#ambiente. Condividi il Tweet

La movimentazione degli animali è un altro dei fattori da tenere in considerazione nella prevenzione dei fenomeni di EID. Anche in questo caso la “regionalizzazione” che accompagna gli allevamenti protetti è motivo di maggiore sicurezza. Il concentrarsi in alcuni territori di tutte le componenti della medesima filiera (gli allevamenti avicoli ne sono un esempio), riduce al minimo questi rischi, limitando gli spostamenti.

Se gli allevamenti protetti promettono maggiore sicurezza e minore impatto per unità di prodotto ottenuto, dall’altro canto si trovano più esposti alla diffusione di patologie animali per la maggiore densità degli stessi. Densità da valutare non solo all’interno della stessa azienda, ma anche come densità degli allevamenti che insistono in uno stesso territorio.

Resta la conferma che i sistemi di allevamento protetti hanno una maggiore efficienza e di conseguenza richiedono minori estensioni di terra per unità di prodotto ottenuto, riducendo l’impatto sull’ambiente e sull’ecosistema che li accoglie. Una loro espansione potrebbe tradursi in una maggiore conservazione e ripristino degli habitat naturali.

Questi allevamenti offrono poi la potenziale possibilità di ridurre le interazioni fra fauna selvatica, bestiame e uomo, contenendo di conseguenza i rischi di insorgenza di EID. Una serie di vantaggi, avvertono in conclusione i ricercatori che hanno condotto queste analisi, che si potranno ottenere solo a determinate condizioni, dettate dal mercato o dagli indirizzi di politica agricola tesi a favorire aumento delle rese e tutela dell’ambiente. Un approccio che purtroppo non trova riscontro nelle politiche europee ispirate al Green New Deal e agli obiettivi del Farm to Fork.

 

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.