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Agricoltura rigenerativa ed allevamenti

Si parla molto di agricoltura rigenerativa. Ma in cosa consiste, di preciso? Per approfondire, a Todi se ne parlerà dal 16 al 19 settembre.

Produrre cibo sano, sostenibile per l’ambiente e accessibile a tutta la popolazione mondiale in costante crescita: questa e tante altre sfide ha davanti a sé il settore agroalimentare. L’agricoltura e l’allevamento puntano quindi ad un sistema produttivo più efficiente, che contrasti i cambiamenti climatici e perfettamente integrato nei cicli biogenici della natura. Oggi, ad esempio, si parla molto di agricoltura rigenerativa, un approccio olistico che propone di coltivare la terra con pochi input esterni ma riutilizzando al massimo i residui dei cicli produttivi precedenti, senza sovra-sfruttarla, inquinarla e impoverirla, anzi rigenerandola di volta in volta, conservando e migliorando i terreni agricoli e il loro ecosistema. Limitati al massimo fino al bando quindi pesticidi chimici, concimi sintetici e lavorazioni eccessive che causerebbero il degradamento del suolo e la perdita di fertilità, ma le operazioni colturali devono essere minime ed eseguite nel rispetto dell’ambiente circostante e degli esseri viventi che vi abitano.

La zootecnia è fortemente integrata con questo approccio e fondamentale per realizzare questo tipo di agricoltura. Gli allevamenti sono infatti necessari per la riduzione dei fertilizzanti, grazie alle deiezioni degli animali che concimano la terra, senza le quali si dovrebbe aumentare l’impiego della chimica (e addio agricoltura biologica). La presenza degli animali è imprescindibile al fine di ripristinare le capacità naturali del suolo di assorbire le emissioni di CO2, ma anche per la tutela della biodiversità, del paesaggio, della sicurezza idrogeologica dei territori e per contrastare la desertificazione. I principi su cui si basa l’agricoltura rigenerativa riguardano infatti la riduzione delle lavorazioni del suolo, adottando tecniche meno invasive, la diversificazione e la rotazione colturale, l’impiego di colture di copertura e la presenza – indispensabile, appunto – dell’allevamento del bestiame, per ripristinare la fertilità, ottenere buone rese produttive e limitare l’uso di fitofarmaci sintetici.

La presenza del bestiame al pascolo, il sovescio e il “minimum o zero-tillage” (o minima o nulla lavorazione del terreno) sono ad esempio delle pratiche necessarie dell’agricoltura rigenerativa, per proteggere e migliorare la struttura del suolo, aiutare a trattenere l’acqua, gli elementi nutritivi e la sostanza organica, per contribuire alla vitalità biologica dei terreni e alla loro mineralizzazione naturale. Riducendo le lavorazioni del suolo non solo si contribuisce a preservare l’habitat e la vita degli organismi che popolano il terreno, come i lombrichi, ma limita drasticamente anche i consumi di risorse, di carburante, di emissioni e quindi l’impatto ambientale. Tutto molto bello e condivisibile, sulla carta, ma sotto certi aspetti bisogna fare i conti con la realtà. Ed è lì che la combinazione dell’approccio rigenerativo con il tanto vituperato modello “intensivizzato”, ossia improntato all’efficienza nell’uso delle risorse, può tornare utile per un sistema agroalimentare veramente sostenibile.

#AgricolturaRigenerativa significa coltivare con pochi input esterni, riutilizzando i residui dei cicli produttivi, senza sovra-sfruttare ed impoverire la terra, anzi rigenerandola. Condividi il Tweet

“L’agricoltura rigenerativa si basa sul concetto olistico che tutto il mondo è connesso e gli agroecosistemi sono capaci di restaurare le proprie risorse ciclicamente”, commenta il professor Giuseppe Pulina, Presidente di Carni Sostenibili: “Fra gli interventi compresi, alcuni sono condivisibili, come l’agroforestry, il minumum tillage, l’aumento della sostanza organica nel suolo, ecc., altri ricalcano strade poco produttive, come l’organic farming integrale e la permacultura. L’unico intervento utile che potrebbe ricondursi a questa tecnologia, a parte il minimum tillage che insegniamo ai nostri studenti da 20 anni e l’impiego razionale del letame e delle deiezioni animali da sempre praticato in agricoltura, è l’agroforestry, che ha mostrato ottimi risultati in Brasile nella costruzione delle filiere beef carbon neutral. Tuttavia, ove fossero economicamente fattibili, le pratiche dell’agricoltura rigenerativa potrebbero essere certificate e si potrebbero costruire particolari filiere di sostenibilità per la produzione delle materie prime mangimistiche.” Il pubblico è sempre più affamato di “naturalità”, sottolinea Pulina, “e questa nuova parola potrebbe trovare largo consenso. Adottare pratiche di agricoltura sostenibile è comunque un buon affare, perché tende a conservare la fertilità dei suoli, il miglior capitale fondiario che abbiamo per il futuro. Un principio agronomico che risale ai romani, recita ‘la terra si riposa producendo cose diverse’”, conclude il professore.

Il tema è decisamente molto caldo. Lo testimonia l’imminente The Edible Planet Summit che si terrà Todi, in provincia di Perugia, dal 16 al 19 settembre: un incontro a livello mondiale in tema di cibo dove 150 esperti internazionali discuteranno delle criticità attuali e come rendere il sistema alimentare di oggi più sostenibile. Durante questo incontro verrà creato un documento che delineerà i passi necessari per raggiungere concretamente gli obiettivi dell’Agenda 2030. L’agricoltura rigenerativa e l’allevamento fanno parte delle principali tematiche trattate, insieme a l’innovazione dei sistemi agricoli, i sistemi alimentari circolari, il rinnovamento della politica, i prodotti alternativi, la corretta nutrizione e la salute. Se volete approfondire l’argomento, a Todi se ne parlerà per tre giorni.

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.