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Acqua, la zootecnia italiana è più sostenibile

Oggi è la Giornata Mondiale dell’Acqua. Un evento importante, istituito già nel 1992 dalle Nazioni Unite, che ogni anno vuole celebrare il bene più prezioso per la vita su questo pianeta: l’oro blu, come definiscono alcuni l’acqua, è sempre più al centro dell’attenzione. Oltre che, si teme, dei conflitti che si genereranno su scala globale nei prossimi decenni.

La zootecnia è spesso accusata di usare quantitativi eccessivi di acqua. Ma è davvero così? Per quanto sia diffuso il luogo comune per cui servono 15mila litri d’acqua per produrre un chilo di manzo, ad esempio, ci sono molti aspetti sulla questione ignoti ai più. Se si parla di zootecnia italiana, poi, la situazione tende ad essere ancor meno critica di quel che si pensi.

Ne parliamo con uno dei massimi esperti italiani di questi temi: il professor Ettore Capri, Direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo sostenibile Opera e docente di Scienze agrarie, alimentari e ambientali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

 

Professore, partiamo appunto dai luoghi comuni: servono davvero 15mila litri d’acqua per un chilo di carne?

In realtà no, questo dato non è corretto, bisogna decurtare questi valori dell’ottanta percento, se non di più. Il calcolo dell’impronta idrica della carne è più complesso di quel che si pensi, e andrebbe eseguito con molta più precisione, in modo meno superficiale. Sono infatti molti gli aspetti che vengono inutilmente considerati, mentre altri non vengono considerati con la dovuta attenzione. Tanto che i numeri che si ottengono sono eclatanti come i famosi 15mila litri. Dati molto notiziabili, ma altrettanto fuorvianti e lontani dalla realtà.

Cosa c’è che non va in questi calcoli?

In particolare il metodo di valutazione dei consumi di acqua, che porta a calcolare l’impronta idrica semplicemente sommando l’acqua blu (cioè quella prelevata da falde, fiumi o laghi), l’acqua verde (ossia quella piovana evo-traspirata dal terreno durante la crescita delle colture) e l’acqua grigia (quella che serve a diluire e depurare gli scarichi di produzione). Un approccio di calcolo scorretto, perché così facendo non si distinguono i tre tipi di acqua, sommandoli come se avessero lo stesso impatto sulla disponibilità idrica.

Quindi non è vero che si usa tutta quest’acqua…

No, perché la quantità di acqua impiegata nella produzione di carne include anche quella per le coltivazioni agricole per la produzione di mangimi. Ciò significa che si tratta soprattutto di acqua verde (cioè piovana), fonte rinnovabile e tra le più sostenibili. L’acqua effettivamente consumata per produrre carne (blu e grigia) si riduce quindi a delle quantità nettamente inferiori rispetto al dato complessivo. Non si dimentichino poi l’impiego di tecnologie avanzate di gestione dell’acqua, come il recupero e la depurazione, o il suo corretto utilizzo durante la produzione agricola.

Quant’è allora l’acqua effettivamente consumata?

A livello complessivo l’intero settore delle carni (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che vengono restituite all’ambiente, come appunto l’acqua piovana. E dunque solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene veramente consumata.

E’ possibile intervenire sul settore zootecnico per renderlo ancora più sostenibile?

Assolutamente. Di margini di miglioramento ce ne sono sempre. Si può intervenire in modo anche semplice, che però richiede un impegno di tipo politico e gestionale. Ad esempio seguendo le buone pratiche, e utilizzando le tecnologie più avanzate per ridurre ulteriormente gli eventuali sprechi. Basterebbe seguire i modelli di riferimento di grandi capacità imprenditoriali nel settore zootecnico che già esistono, soprattutto nel contesto italiano. Anzi, mi spingo oltre. Il modello zootecnico italiano, se esportato, potrebbe rendere più sostenibili anche quelli di altri Paesi dagli impatti ambientali (e idrici) ben superiori.

Perché?

Perché quando si parla di sfruttamento sostenibile delle risorse idriche, la zootecnia italiana ha molto da insegnare. Basti pensare che, basandosi sempre sui lacunosi metodi di calcoli di cui sopra, rispetto alla media mondiale di 15.415 litri di acqua per 1 kg di carne bovina, l’Italia ne impiega 11.500 litri. E considerando appunto che circa l’87% è costituito da acqua verde (che torna quindi nel ciclo dell’acqua), si può affermare che per produrre la stessa quantità di carne in Italia si impiega il 25% di acqua in meno. Stiamo parlando di 1.495 litri consumati effettivamente, meno di un decimo dei 15mila che siamo abituati a sentir ripetere.

A cosa è dovuta questa capacità del sistema zootecnico italiano di consumare meno risorse idriche?

Sostanzialmente alla sua combinazione di allevamenti estensivi ed intensivi e alla prevalenza di allevamenti controllati, ossia in stalla, che permettono di ottenere una maggiore efficienza in termini di risorse impiegate per kg di carne prodotta. Non solo, la produzione italiana (soprattutto quella bovina) avviene prevalentemente nelle zone con maggiore disponibilità di acqua, come la Val padana.

I consumatori, invece, come possono fare maggiore attenzione a non sprecare acqua?

In centinaia di modi, legati ai nostri stili di vita e abitudini quotidiane. Restando però in tema carne e alimentazione, il trucco sta sempre nell’equilibrio. Se si segue una dieta bilanciata, infatti, con 2 porzioni da 70- 100 g alla settimana si può notare che mangiare carne bovina (e carne in generale) nelle giuste quantità non comporta un aumento significativo della propria impronta idrica: il consumo è infatti di circa 300 litri di acqua alla settimana. C’è chi ne usa molta di più per il proprio giardino. E se si pensa che c’è chi si priva (o priva i propri figli) di una fettina di carne per poi sprecare quantità infinite di acqua in altri contesti, torniamo al punto di partenza: serve rivedere alla base non solo gran parte dei metodi di calcolo, ma anche molte delle nostre convinzioni.

Redazione Carni Sostenibili

 

Professore Ordinario di Chimica Agraria e Ambientale, Università Cattolica del Sacro Cuore. È membro del gruppo di lavoro PROMETHEUS dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Dal 2009 è direttore del centro di ricerca sullo sviluppo sostenibile OPERA, con sede a Bruxelles e a Piacenza. Dall’inizio della sua carriera databile 1987 ha svolto ricerche sugli impatti dei contaminanti nell’ambiente e nei prodotti alimentare, sugli organismi animali e sull’uomo, studi che oggi integra nelle sue indagini di valutazione del rischio.