TOP

8 falsi miti sugli allevamenti italiani

Gira una quantità inaccettabile di disinformazione, quando si parla di zootecnia. Soprattutto da quando si è scoperta la facilità di fare audience portando il pubblico a credere che gli animali sono sempre trattati male, invece che accuditi in modo da rispettare sia loro che le rigide norme sul benessere animale – e quindi ottenere prodotti di qualità. E così, i falsi miti sugli allevamenti italiani che circolano su giornali, Web e tv si sono moltiplicati. Quelli da sfatare sono molti, ma il nuovo portale CarneRossa.info ne individua 8 in particolare con una grande professionista del settore: Maria Caramelli, membro Comitato Scientifico COSNALA e Direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

 

  1. Negli allevamenti ogni giorno vengono somministrati antibiotici agli animali per farli ingrassare più velocemente

Falso. Gli antibiotici sono molecole farmacologicamente attive contro i batteri e vengono utilizzate per curare le infezioni batteriche di animali o gruppi di animali. La credenza che gli allevamenti intensivi facciano un uso quotidiano di antibiotici deriva dall’impiego, consentito in passato ma oggi assolutamente vietato in Europa, di somministrare basse dosi di antibiotici, preferibilmente con i mangimi, per accelerare l’incremento ponderale degli animali e per renderli più produttivi. Attualmente, invece, non è consentito l’uso di antibiotici se non a fini terapeutici. Infatti, con l’emergere di preoccupazioni per la resistenza agli antimicrobici di batteri isolati nell’uomo e negli animali, dal 1997 nell’Unione Europea sono stati vietati come promotori della crescita gli antibiotici utilizzati anche nel trattamento di patologie umane. L’Unione Europea ha poi vietato l’utilizzo di tutti i restanti antimicrobici utilizzati come promotori della crescita a partire dal 1° gennaio 2006. Ogni anno in Italia vengono analizzati, per la ricerca di farmaci veterinari, circa 25.000 campioni di alimenti (circa l’88% relativi al settore della carne) e solo lo 0,09% dei campioni risulta superare il limite consentito dalla legge.

 

  1. I vitelloni devono essere trattati con ormoni per avere la muscolatura rossa soda e morbida

Falso. In Europa, la somministrazione di ormoni agli animali zootecnici è vietata per l’effetto che queste molecole possono avere nell’organismo del consumatore quando “residuano” nel muscolo, che viene consumato sotto forma di carne in cucina. Contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti, dove sono consentiti negli animali impianti sottocutanei a lento rilascio di ormoni, la normativa Europea utilizza il cosiddetto approccio di “tolleranza zero” per le sostanze più pericolose per il consumatore. Ogni anno in Italia vengono analizzati, per la ricerca di sostanze ad effetto anabolizzante o sostanze non autorizzate, circa 16.000 campioni di alimenti o di matrici utili a smascherare il trattamento illecito. Il numero di campioni non conformi che risulta dai rapporti ufficiali del Ministero della Salute parla di circa 0,06% di risultati non soddisfacenti.

 

  1. La carne di maiale ha la salmonella perché ai suini piace rotolarsi nelle proprie feci

Falso. Se i suini sono allevati in spazi e strutture adeguate, tendono a mantenere pulito il luogo in cui vivono, scegliendo di defecare in una zona precisa del box. La salmonella è un batterio responsabile di enteriti a seguito di ingestione di alimenti contaminati. Tra gli oltre 1.200 tipi di salmonelle esistenti, alcune hanno una predilezione particolare per l’intestino dei suini. Per questo, tra gli alimenti più spesso responsabili di salmonellosi, ci sono i prodotti a base di uova e i prodotti della filiera suina. La presenza di questo batterio nella carne è quasi sempre da imputare a una contaminazione in fase di macellazione, quando, a seguito di manualità imprecise o non corrette, il contenuto del pacchetto intestinale può entrare in contatto con le parti della carcassa destinate all’alimentazione. Le contaminazioni possono poi trascinarsi nelle successive fasi di lavorazione, come il sezionamento o le preparazioni di altri prodotti alimentari e arrivare nel frigorifero del consumatore. È doveroso tuttavia ricordare che la corretta cottura della carne elimina il pericolo della salmonella, uccidendo le forme batteriche eventualmente presenti.

 

  1. La carne italiana è sana ma quella degli animali francesi no

Falso. La carne che viene commercializzata in Europa, a prescindere dalla provenienza o dal luogo in cui sono avvenute le diverse fasi produttive (allevamento, macellazione, sezionamento), risponde alle stesse norme in materia di sicurezza alimentare. Ogni Paese, poi, vanta livelli culturali diversi in materia agroalimentare, tradizioni zootecniche differenti anche in base alla conformazione del territorio o alle razze di animali tradizionalmente allevate. Le differenti tipologie di allevamento o la varietà organolettica delle carni prodotte possono quindi variare tra i vari Paesi, ma il livello di sicurezza delle carni in commercio sul territorio comunitario deve essere sempre garantito.

 

  1. Negli allevamenti non ci sono controlli

Falso. L’Unione Europea ogni anno organizza e programma i piani di controllo in materia di sicurezza alimentare. Con un approccio di verifica dal campo alla tavola, la Commissione Europea delinea i controlli che gli operatori del Sistema Sanitario Nazionale devono effettuare sul territorio e definisce i campionamenti per le analisi di laboratorio, in base al rischio che si evince dalle risultanze dei piani degli anni precedenti. All’interno di questi piani, sono inclusi anche i controlli nelle aziende della cosiddetta produzione primaria: dai mangimifici, agli allevamenti ai depositi per alimenti zootecnici o altre strutture variamente coinvolte nella filiera agroalimentare. Nel contesto di tali piani, sono effettuate verifiche sia documentali sui capi allevati, sulle ricette di farmaci o sulla scorta di medicinali veterinari detenuti in allevamento, ma anche verifiche fisiche e campionamenti, ad esempio per la ricerca di sostanze vietate nelle urine, somministrate agli animali in maniera fraudolenta. Proprio come gli esami antidoping ai calciatori dopo le gare, anche questi prelievi sono fatti a campione e senza preavviso. O ancora si effettuano verifiche relativamente alla biosicurezza, a livello di benessere che viene garantito agli animali allevati e alla qualità dei mangimi somministrati. L’Italia è la prima della classe in Europa per il numero di campioni esaminati. Il nostro Paese, infatti, effettua circa il 30% di controlli in più rispetto al minimo indicato dalle norme comunitarie.

 

  1. I würstel sono preparati con le pelli, le ossa e gli zoccoli degli animali

Falso. Sebbene non si possa dire che le materie prime utilizzate per i würstel siano pregiate o di prima scelta, non è corretto affermare che pelli, ossa e zoccoli entrino a far parte dei loro ingredienti. Il processo produttivo dei salsicciotti da tutti conosciuti prevede che le materie prime vengano finemente triturate in un impasto omogeneo, addizionate di additivi e aromi, insaccati in un sottilissimo budello, cotti e affumicati e, successivamente, confezionati e pastorizzati. Il basso prezzo di mercato del prodotto suggerisce come, per la sua produzione, non siano utilizzati i tagli pregiati. Tuttavia, alcune aziende italiane stanno iniziando a produrre würstel con impasti di qualità, destinati a una particolare fetta di mercato.

 

  1. I vitelli vengono tenuti in strette gabbie di legno e senza possibilità di muoversi affinché le loro carni sembrino più bianche

Falso. Il tradizionale sistema di allevamento del vitello a carne bianca, basato sulla stabulazione in gabbie individuali in legno che non consentono il normale movimento degli animali, è stato vietato grazie all’applicazione di normative comunitarie emanate agli inizi degli anni ’90. L’applicazione di tali normative, a partire dal 31 dicembre 2003, ha imposto l’eliminazione della gabbia singola a favore dei box di gruppo, per tutti gli animali al di sopra delle 8 settimane di età. È scientificamente dimostrato, infatti, che la vita di gruppo favorisce una migliore libertà di movimento, la possibilità di sviluppare stimoli diretti (tattili, visivi, olfattivi e uditivi) e un migliore adattamento alle condizioni ambientali. La stabulazione in box singoli è consentita entro i primi due mesi di età, purché vengano rispettate le dimensioni minime delle gabbie come indicato in un decreto legislativo nazionale (n. 126 del 2011). Tali gabbie, inoltre, devono garantire la possibilità di contatto tattile e visivo con altri vitelli per poter sviluppare al meglio i comportamenti sociali e le interazioni tipiche della specie.

 

  1. Tutti i vitelli appena nati vengono allontanati dalla madre con grande sofferenza per entrambi

Falso. Negli allevamenti di vitelli da carne, i piccoli sono quasi sempre mantenuti con la madre e nutriti da essa in modo naturale fino allo svezzamento, anche perché il latte delle bovine di razze da carne non entra quasi mai nel circuito del latte alimentare ad uso umano. Tuttavia, è necessario considerare che da 10.000 anni le bovine sono utilizzate dall’uomo per la produzione sia di carne che di latte. L’allontanamento dei vitelli dalla madre è una pratica utilizzata nell’allevamento della vacca da latte, al fine di produrre latte per il consumo umano. Benché si tratti di una pratica manageriale ben diversa da quanto accade in natura, un corretto distacco dalla madre e una buona gestione dei vitelli dopo la nascita, garantiscono il rispetto delle cinque libertà fondamentali degli animali di allevamento: libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione; libertà di avere un ambiente fisico adeguato; libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie; libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali; libertà dalla paura e dal disagio.

 

Fonte: CarneRossa.info

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.