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Soia a tavola, facciamo un po’ di controinformazione

Oggi assistiamo ad una crescente diffusione di “nuovi cibi”, prodotti esotici che non fanno parte della nostra tradizione mediterranea, e per questo poco conosciuti e contornati da un alone di mistero, che spesso ne fa sopravvalutare le caratteristiche e in alcuni casi addirittura considerare come la cura miracolosa di tutti i mali, colpa anche di un’informazione sbagliata e di un marketing opportunista. Uno di questi è la soia, entrata prepotentemente a far parte della nostra alimentazione sotto forma dei prodotti più disparati, incorniciati da una presunta “naturalità” e promossi come “salutari”. Urge allora l’esigenza di fare chiarezza e un po’ di controinformazione: è questo lo scopo del libro di Susanna Bramante, “La soia: fa bene o fa male?” (Edizioni L’Età dell’Acquario), che attraverso una raccolta e analisi di studi scientifici tradotti in un linguaggio semplice e accessibile a tutti, ne ha finalmente smitizzato le proprietà.

Partendo dalle origini storiche e culturali della produzione di soia in Oriente e passando attraverso la sua evoluzione e le sue caratteristiche, il libro mette in evidenza che ci sono differenze sostanziali tra la soia consumata in oriente migliaia di anni fa e quella attuale. A cominciare dagli antichi cinesi, che addirittura non consideravano la soia commestibile, perché si accorsero che causava fastidiosi gonfiori, dolori addominali e difficoltà digestive: cominciarono a considerarla adatta al consumo umano solamente quando impararono a fermentarla, perché si resero conto che la fermentazione risolveva quei problemi.

Fu così che crearono i noti prodotti tradizionali fermentati, come il miso, il tempeh e il natto, realizzati con metodi semplici, con soia sottoposta a lunghissimi periodi di fermentazione, che ne inibisce le sostanze tossiche naturalmente presenti e anzi l’arricchisce di elementi preziosi, come enzimi, microrganismi benefici per la salute della nostra microflora intestinale e ne aumenta il valore nutritivo.

Da noi in Italia fino a pochi decenni fa la soia era praticamente sconosciuta e faceva parte solamente dell’alimentazione del bestiame. Oggi invece ha invaso gli scaffali dei nostri supermercati con prodotti moderni che però non hanno niente a che vedere con quelli fermentati orientali: lo scopo dell’industria è infatti quello di estrarre le proteine di soia isolata, dalla consistenza plastica e fibrosa, che può essere trasformata in qualsiasi cosa, dalle vernici alle plastiche delle automobili, fino ad ottenere la stessa elasticità e masticabilità della carne. Le proteine di soia isolate sono alla base dei surrogati di carne, formaggi, uova e perfino del pesce, prodotti concepiti per imitare e sostituire gli alimenti di origine animale, per soddisfare la domanda non solo di vegetariani e vegani, ma di chi vorrebbe seguire una dieta “sana”.

Vengono infatti promossi dal marketing come alimenti salutari e naturali, ma in realtà si tratta di prodotti iperprocessati e ipertrasformati, dove la soia viene sottoposta a trattamenti estremi, come lavaggi in soluzioni acide, ad alta pressione e ad alta temperatura, che maltrattano la materia prima di partenza, rendendo addirittura irriconoscibile l’originale fagiolo. Attraverso tutta una serie di sofisticate manipolazioni industriali, che fanno largo uso di sostanze chimiche, come la soda caustica, vengono perse le componenti benefiche della soia e al contrario viene causata la denaturazione delle proteine, rendendole inutili, la perdita di vitamine e l’ossidazione dei grassi, formando composti tossici pericolosi. Per eliminare poi totalmente il forte e poco apprezzato sapore di fagioli e conferire invece il dolce sapore della carne e dei prodotti che vanno a imitare, vengono aggiungi additivi, come emulsionanti, aromi, coloranti, dolcificanti e conservanti. Sorprende quindi come il consumatore che è alla ricerca di un’alternativa “sana” sia poi disposto ad ingerire queste sostanze.

Ma anche da un punto di vista nutrizionale questi surrogati non sono comparabili con i prodotti genuini che hanno la pretesa di sostituire: negli ingredienti troviamo spesso fecola di patate, sciroppo e farina di riso, olio di cocco, zuccheri e sale, elementi tutt’altro che sani che apportano solamente carboidrati e grassi, quindi nutrizionalmente poveri.

Anche le modalità di consumo sono diverse tra Oriente e Occidente: gli orientali non hanno mai utilizzato la soia in sostituzione dei prodotti animali: non costituiva il loro pasto principale, ma la consumavano in piccole porzioni, come condimento e insieme a brodi di pesce, carne, gamberi e frutti di mare. Consumando la soia in questo modo, ne vengono inibiti gli effetti negativi e se ne traggono i benefici.

Preoccupante invece è il consumo di soia attraverso i surrogati iperprocessati dei prodotti animali, soprattutto quando vengono propinati ai bambini, ad esempio attraverso la crescente richiesta di menu vegani nelle mense scolastiche: gli studiosi sono concordi nel sostenere che questo potrebbe sottoporre i bambini non solo alle stesse carenze nutrizionali dei paesi del terzo mondo, per l’eccesso di fibre e fitati a cui questo regime alimentare estremo è soggetto, ma anche agli squilibri ormonali dovuti ai fitoestrogeni della soia, gli isoflavoni, delle sostanze che imitano gli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili.

Gli isoflavoni sono degli “endocrino-disgregatori”, “distruggono” letteralmente il sistema endocrino, interferendo con gli ormoni, come quelli sessuali e tiroidei. È stato dimostrato che i bambini alimentati con latte di soia hanno dalle 13.000 alle 22.000 volte più estrogeni rispetto ai bambini alimentati con latte vaccino, ricevendo l’equivalente estrogenico di 5 pillole anticoncezionali. Questo dato è allarmante, in quanto gli isoflavoni sono in grado di interferire con la sincronizzazione del ciclo mestruale, creando mancanza di ovulazione e cessazione del ciclo o di abbassare i livelli di testosterone nell’uomo e peggiorare la qualità dello sperma, causando una riduzione della fertilità. Se negli adulti il danno può essere riparato smettendo di consumare soia, nei bambini in crescita i danni al sistema endocrino e riproduttivo invece possono essere irreversibili.

Bisogna dunque andare cauti prima di promuovere smoderatamente il consumo di soia o di considerarla una panacea: di qui l’importanza di una corretta informazione per non lasciarsi ingannare da mode pericolose e la necessità di avere un atteggiamento equilibrato sull’alimentazione, dove il modello della dieta mediterranea, con tutti i migliori alimenti della nostra tradizione, resta il più valido e sano.

Agronomo e divulgatrice scientifica. Autrice e coautrice di 11 pubblicazioni scientifiche e di numerosi articoli riguardanti l’alimentazione umana e gli impatti della stessa sulla salute e sull’ambiente, nel 2010 ha conseguito il titolo di DoctorEuropaeus e Ph. Doctor in Produzioni Animali, Sanità e Igiene degli Alimenti nei Paesi a Clima Mediterraneo. Cura GenBioAgroNutrition, “un blog a sostegno dell’Agroalimentare Italiano, della Dieta Mediterranea e della Ricerca Biomedica, contro la disinformazione pseudoscientifica”, che aggiorna quotidianamente.