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Ma dov’è questa rivoluzione vegan?

Secondo il Rapporto Italia 2017 di Eurispes, che ogni anno pubblica un’analisi sullo stato della politica, dell’economia e della società italiana, i veg sono il 7,6% della popolazione. Il 4,6% di loro si dichiara vegetariano, il 3% vegano. Stiamo parlando di oltre 4 milioni e mezzo di persone, di cui 1,8 milioni vegane.

AL di là di alcune eccezioni, il trend è complessivamente in crescita rispetto a precedenti rilevazioni dello stesso istituto di ricerca: nel 2013 i vegetariani erano il 4,9% e i più radicali, i vegani, l’1,1%. Il nostro Paese è arrivato oggi a contendere alla Germania il primato di nazione più veg d’Europa.

Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, è vegetariano il 3,3% della popolazione (vegani inclusi), stando all’ultimo sondaggio condotto dal Vegetarian Resource Group, ma solo il 2% secondo lo Humane Research Council, di cui l’1,5% vegetariani e lo 0,5% vegani.

E nel mondo? I vegetariani, ricomprendendone tutte le diverse fattispecie, sono oltre 375 milioni. Il record va all’India, dove il 30% della popolazione è vegetariano o vegano, una scelta in questo caso dettata soprattutto da motivazioni di carattere religioso.

Al di là di un generale sviluppo del fenomeno veg, bisogna constatare come, per quanto riguarda i vegani propriamente detti, al momento i numeri restino davvero minimi: tornando in Italia, su 100 persone solo 3 sono vegane.

Per giunta, considerato che queste cifre vengono in genere rilevate attraverso semplici sondaggi nei quali ognuno dichiara ciò che vuole senza alcuna possibilità di verifica, non è sempre facile credere che anche quei pochi che si definiscono vegani lo siano veramente e a tempo pieno.

Non contribuiscono a infondere fiducia da un lato la comprensibile difficoltà di sopportare a lungo e senza sgarri la rigidità di una filosofia di vita che esclude totalmente intere categorie alimentari, dall’altro l’insopprimibile bisogno di chi ha fatto questa scelta, magari da pochissimo, di palesarsi a chiunque e fare propaganda (se vi siete mai imbattuti in uno di loro, saprete bene che resistono solo pochi minuti dalle presentazioni prima di dirvi, indipendentemente dalla vostra curiosità, che sono vegani).

In ultimo, il rischio che si adotti una definizione del termine «vegano» assai elastica e personalizzabile è concreto. D’altra parte, così si comportano anche tanti di quelli che seguono la pur meno impegnativa dieta vegetariana, perlomeno negli Stati Uniti: nell’ambito di un rilevamento di alcuni anni fa del dipartimento dell’Agricoltura, il 3% degli oltre 13.000 americani interpellati rispose affermativamente alla domanda: «Ti consideri vegetariano?»

Eppure, quando una settimana dopo gli intervistatori chiesero agli stessi soggetti cosa avessero mangiato nelle 24 ore precedenti, ben il 66% dei sedicenti veg elencò candidamente carne rossa, pollo e pesce. Basta intendersi sul significato delle parole… Il cambiamento culturale a cui stiamo assistendo è, a ben guardare, solo apparente.

Contrariamente a quanto sostengono quei giornalisti e blogger che non amano troppo verificare le fonti, a ciò che si attendono con strabiliante ottimismo alcuni vegani (#2017italiavegan è l’hashtag che gira sui social network) e a quel che credono i politici quando firmano certi progetti di legge convinti di accontentare chissà quale potenziale elettorato, non siamo nel mezzo di una rivoluzione alimentare e non stiamo dicendo addio al provolone per il tofu.

Per essere veganizzato, il mondo dovrà necessariamente pazientare ancora un po’. Rispetto a coloro che seguono uno stile di vita vegan, infinitamente di più sono le persone che di alimentazione vegana leggono, sentono, parlano e che stanno pensando se devono anche loro diventare vegani perché si dice faccia tanto bene alla salute, all’ambiente e a tutto il resto. Il fenomeno attira più attenzioni che adesioni.

Grazie a una crescente campagna di disinformazione sulla superiorità nutrizionale e morale dell’alimentazione vegetariana nelle sue diverse accezioni, si sta diffondendo la convinzione che bandire la carne e il pesce, quando non addirittura tutti i cibi di provenienza animale, rappresenti la decisione più saggia, innanzitutto per la salute, e che una dieta composta esclusivamente da alimenti vegetali, come cereali, legumi, verdura, frutta e semi, sia la migliore per l’uomo.

Una sparuta minoranza è riuscita a far puntare i riflettori su di sé e sulla filosofia che promuove, dimostrando un’incontestabile capacità di attrazione.

Luca Avoledo

Testo estratto dal libro “No vegan” di Luca Avoledo, Sperling & Kupfer Editori. Per maggiori informazioni visitate il sito dedicato al libro stesso.

 

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.