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I grassi nella carne bovina

Il Corriere della sera, nella sua pagina web, ha riportato i risultati di uno studio condotto negli Stati Uniti da cui risulta che una diminuzione del consumo di acidi grassi saturi riduce il rischio di malattie cardiovascolari. Alle stesse conclusioni era arrivato qualche mese fa anche l’Istituto Superiore di Sanità che appunto aveva raccomandato una riduzione del consumo di acidi grassi saturi contenuti in grassi vegetali (olio di cocco, olio di palma, burro di cacao, margarine, ecc.) ed anche in quelli animali (burro e strutto in particolare). L’ISS ha anche menzionato la carne, il cui consumo deve essere moderato.

Bisogna considerare che lo studio americano, sicuramente molto importante, è stato condotto su una popolazione che mangia in media 120 kg di carne bovina a persona l’anno (in Italia siamo a meno di un terzo) e che fa largo uso di grassi animali e che sono tra i maggiori consumatori al mondo di oli vegetali inclusi quelli ricchi di grassi saturi.

Non bisogna dimenticare che una corretta assunzione di acidi grassi saturi è necessaria, ma che bisogna evitare gli eccessi.

Nel condividere sostanzialmente l’opportunità di ridurre il consumo di grassi saturi ho qualche perplessità sulle dichiarazioni rilasciate dal prof. Erzegovesi a proposito degli acidi grassi delle carni bovine in quanto afferma: “La carne rossa non è tutta uguale: se mangio un animale che è vissuto libero pascolando e mangiando erba, la composizione della sua carne sarà molto diversa da quella di un animale che è vissuto in un allevamento intensivo. E’ stato visto che la carne degli animali liberi al pascolo contiene, oltre ai grassi saturi, anche acidi grassi insaturi, ennesima dimostrazione che la natura è più intelligente dei calcoli umani”.

Se ognuno facesse il suo mestiere (nel caso specifico il professore è nutrizionista psichiatra) forse si direbbero meno cose inesatte.

La fisiologia dei ruminanti è estremamente complessa, in quanto la produzione di acidi grassi avviene grazie alla “demolizione” della cellulosa e degli amidi presenti nei vegetali. In particolare il livello di saturazione non varia in assoluto tra alimentazione al pascolo o con cereali, essendo gli acidi grassi introdotti con la dieta trasformati dalla flora microbica in rapporto al ph ruminale e ad altri fattori e non in diretto rapporto alla composizione originale dell’alimento ingerito.

Chiunque ha un minimo di conoscenza della fisiologia dei bovini, sa che questi animali, sia al pascolo che in allevamento, mangiano soltanto vegetali ed in particolare, come base costante della dieta, “l’erba”. Si possono avere differenze nella composizione degli acidi grassi, ma dipende da molti fattori quali ad esempio la razza, l’età, il sesso, e non soltanto dal tipo di allevamento. Dai dati pubblicati dall’INRAN qualche anno fa risulta che il contenuto di grasso nelle carni bovine prodotte in Italia nel corso del tempo, grazie anche alle diverse forme di allevamento e di genetica, è diminuito in modo significativo così come è significativamente migliorato il rapporto tra monoinsaturi e saturi.

Lo studio americano deve essere tenuto nella massima considerazione perché nel nostro Paese i regimi alimentari e gli stili di vita stanno subendo delle modifiche in senso negativo. Non bisogna però criminalizzare questo o quel cibo diffondendo allarmismi ingiustificati che poi si risolvono in vantaggi di “marketing” per questa o quell’azienda con il disorientamento dei cittadini che non sanno più a chi credere.

 

Agostino Macrì

 

Fonte: Sicurezzalimentare.it

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.