L’evoluzione delle carni bovine, sempre più magre
L’evoluzione mangimistica e la selezione genetica hanno ridotto l’infiltrazione grassosa delle carni bovine attualmente in commercio ben al di sotto delle percentuali riportate nelle vecchie tabelle di composizione degli alimenti. In particolare, è stato ottenuto un rimaneggiamento nei rapporti fra gli acidi grassi saturi e insaturi a tutto vantaggio dell’acido oleico e linoleico, mentre il mondo scientifico ha fornito ulteriori conferme sulla neutralità dell’acido stearico rispetto alla potenzialità aterogena di altri acidi grassi saturi.
In base ai nuovi dati è logico prevedere un graduale ridimensionamento dell’allarmismo che i mass media, ma non i nutrizionisti clinici, hanno gettato sul consumo delle carni, sulla falsariga di osservazioni epidemiologiche condotte in Paesi dove i consumi superavano quelli italiani per quantità pro capite e per tenore di grassi, in un contesto alimentare e ambientale notevolmente dissimile.
Le carni oggi più utilizzate hanno caratteristiche confacenti anche per l’inserimento in menù speciali per dislipidemici e cardiopatici, dato che la quantità di colesterolo è talmente ridotta che neppure due abbondanti razioni giornaliere di carne si avvicinerebbero al tetto raccomandato dei 300 mg.
In particolare, va ricordata l’irrinunciabilità delle carni nell’alimentazione degli anemici o per la normale copertura dei fabbisogni di ferro, zinco e vitamina B12 non soltanto nell’età evolutiva o in chi pratica sport, ma ancor più nella malnutrizione proteico-energetica, tuttora riscontrabile nei soggetti ospedalizzati o negli anziani.
Testo estratto da “L’alimentazione equilibrata”, di Agostino Macrì e Eugenio Del Toma, Edizioni Edra