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“Diabesità”, la regina delle patologie alimentari

La relazione tra cibo e salute è ormai fra i temi più dibattuti. Ma mentre un tempo la malnutrizione era correlata solo alla carenza di cibo, al giorno d’oggi le patologie nei “paesi ricchi” sono spesso la conseguenza di un consumo eccessivo di cibo. Questo porta allo sviluppo di diverse patologie. Che, spesso, vengono ingiustamente imputate al consumo di carne.

Una dieta sempre più calorica e con troppi zuccheri, insieme a uno stile di vita sedentario, sono tra i principali fattori di rischio riconosciuti per la diffusione della cosiddetta “diabesità”, termine coniato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per sottolineare la stretta associazione tra diabete mellito di tipo 2 e obesità patologica. Il peso economico del diabete sull’economia mondiale ha raggiunto nel 2010 i 376 miliardi di dollari e le previsioni sono di 490 miliardi nel 2030. La “diabesità” rappresenta un notevole carico economico, considerato per esempio che nei soli Stati Uniti diabete e obesità consumano da soli rispettivamente il 14 e il 5,7% della spesa sanitaria globale.

Negli ultimi trent’anni l’obesità è aumentata in Italia e raddoppiata nel mondo. A livello globale sono 1,3 miliardi gli adulti obesi o in sovrappeso: numero che è quasi quadruplicato nei Paesi in via di sviluppo negli ultimi 30 anni e che ormai supera quello dei Paesi più ricchi. In Europa circa la metà della popolazione adulta è in sovrappeso e il 20-30% degli individui, in molti Paesi, è qualificabile come “clinicamente obeso”. L’Italia non è da meno: 3 adulti su 10 (32%) risultano in sovrappeso, mentre 1 su 10 è obeso (11%): complessivamente, quindi, circa 4 adulti su 10 (42%) sono in “eccesso ponderale”.

In alcuni Paesi europei obesità e sovrappeso sono arrivati a colpire il 50% della popolazione e un bambino su tre. Su quest’ultimo aspetto, l’OMS sottolinea come la maggior parte dei cibi reclamizzati, ricchi di grassi, zuccheri o sale siano uno dei fattori di rischio per l’obesità infantile e altre malattie croniche legate alla dieta. Al top le bibite zuccherate tipo soft-drink, cereali zuccherati per colazione, biscotti, snack, dolciumi e piatti pronti. Ed è importante sottolineare un aspetto: mentre l’incidenza di queste patologie, nel tempo, è cresciuta, il consumo di carne è diminuito.

Studi recenti definiscono “scientificamente” la non pericolosità della carne per la nostra salute, che al contrario contiene molti fattori protettivi CLA (derivato dell’acido linoleico). È vero che questo dipende molto anche dal tipo di allevamento e dalla riduzione del contenuto in grassi: è enorme, ad esempio, la differenza tra animali allevati in Europa e quelli allevati in America. Altri fattori protettivi possono essere anche il tipo di conservazione e il modo di cucinare la carne.

Recenti ricerche del World Cancer Research Fund e The Institute of Cancer Research suggeriscono di limitare il consumo di carne a 100-120 g al giorno, indicando un aumento del rischio oltre la soglia dei 160 g. Se si considerano i consumi consigliati per una dieta equilibrata, si nota che in Italia le quantità suggerite già coincidono con il consumo reale. Per tali quantità, inoltre, la relazione tra patologie e consumi non è dimostrabile e gli studi scientifici portano a conclusioni non definitive.
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Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.