Peer Ederer: scienza anti-carne senza integrità
Alcuni report che screditano il mondo delle carni, di scientifico hanno poco e di certo non l’integrità: la questione è sollevata dallo scienziato tedesco Peer Ederer.
Gli scienziati dovrebbero creare prove attraverso la ricerca scientifica, eppure non sempre è così quando c’è in ballo il mondo delle carni. Un recente articolo dello scienziato tedesco Peer Ederer, pubblicato su una rivista scientifica del CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization, l’agenzia governativa australiana responsabile della ricerca scientifica) ha evidenziato una tendenza preoccupante per il settore dell’allevamento: alcuni scienziati sono guidati da una agenda politica e quindi è più elevato il rischio di distorsioni che possono alterare i risultati.
Prima di entrare nel merito, è bene fare presente una cosa importante: è vero che gli esempi portati da Ederer rappresentano una distorsione del metodo scientifico e pertanto minano la credibilità della scienza, ma ricordiamo che le comunità scientifiche, quelle disciplinari in primis (nel nostro caso gli animal scientist), sono impegnate a smascherare con una gran mole di lavori rigorosi queste deviazioni e che pertanto la scienza ha gli anticorpi per contrastare le cattive pratiche. Il problema è che i media danno grande risalto a notizie scientifiche che poi si rivelano infondate senza poi riferire di tale infondatezza, facendo accumulare nell’opinione pubblica i bias che sono sostenuti da ideologie redazionali che nulla hanno a che fare con la scienza e con l’etica del giornalismo.
Scienza anti-carne senza integrità
Una sorta di scienza da “cargo cult”, quella descritta da Ederer, che segue le forme apparenti della metodologia rigorosa, ma alla quale manca un elemento essenziale, ossia l’integrità scientifica. Una definizione coniata nel 1974 da Richard Feynman, uno dei maggiori fisici del secolo scorso, premio Nobel nel 1965.
“Nei mari del Sud – affermava Feynman – vive un popolo che pratica il “culto dei cargo”. Durante la guerra hanno visto atterrare aerei carichi di ogni ben di Dio e ora vorrebbero che la cosa accadesse di nuovo. Hanno tracciato sul terreno delle specie di piste; accendono fuochi ai loro lati. Hanno costruito una capanna di legno in cui si siede un uomo con due pezzi di legno al posto delle cuffie e da cui sporgono dei bambù come antenne radio (l’uomo rappresenta il controllore di volo) e aspettano che gli aerei atterrino. Fanno tutto correttamente. La forma è perfetta. Rispetta esattamente quella originale. Ma la cosa non funziona. Non atterra nessun aereo”.
Per illustrare la tendenza secondo cui sono gli obiettivi da raggiungere a tutti i costi ad alimentare gli articoli scientifici, piuttosto che la scoperta scientifica, Ederer ha individuato tre esempi di ricerche basate su finalità ad hoc.
Uno studio dell’OMS afferma che la carne rossa è cancerogena
Il primo caso analizzato è la famosa monografia del 2015 per l’OMS della IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet da cui “emergeva” che la carne rossa era “probabilmente cancerogena per l’uomo” e che la carne lavorata era “cancerogena per l’uomo”. Inoltre, il rischio di malattie croniche aumentava del 17% mangiando 100 grammi di carne rossa al giorno. In un secondo momento il gruppo di lavoro ha evidenziato incongruenze nei risultati e diversi studi di follow-up hanno rilevato che le prove erano insufficienti per formulare raccomandazioni all’invito a non mangiare carne.
“È stato dimostrato che metodologicamente, epidemiologicamente e meccanicisticamente questa ricerca del 2015 è priva di prove scientifiche. Su quali basi i 22 membri del gruppo di lavoro IARC sono arrivati alle loro conclusioni? È possibile che abbiano seguito un programma da loro stabilito in precedenza, per il quale l’evidenza scientifica è utile, ma non obbligatoria?”, si domanda Ederer.
Studio sul carico globale delle malattie
Nel 2019 ha fatto molto discutere lo studio sui fattori di rischio del Global Burden of Disease (un programma di ricerca globale che valuta la mortalità e la disabilità causate dalle principali malattie, lesioni e fattori di rischio), secondo cui c’era un aumento di tumori, patologie cardiovascolari e diabete che gli autori associavano al consumo di carne rossa. Nell’analisi precedente al 2017, l’eccessivo consumo di carne rossa risultava agli ultimi posti tra i fattori di rischio legati alla dieta, ma nel 2019 è stato registrato un aumento del peso della carne rossa sulle morti stimate di 36 volte, il tutto nell’arco appunto di un solo biennio.
Sono iniziati così gli approfondimenti di altri ricercatori ed è emerso che è stato cambiato il metodo di analisi dei fattori di rischio, passando da dati provenienti da revisioni sistematiche e metanalisi peer-reviewed di alta affidabilità scientifica, a un approccio diverso, di dubbia attendibilità. Di conseguenza, la mancanza di trasparenza alla base del calcolo mina l’autorevolezza del Global Burden Disease.
In un secondo momento, gli autori della ricerca del 2019 hanno poi riconosciuto numerosi errori, ma non sono state apportate correzioni alla pubblicazione di quattro anni fa. “È opportuno segnalare che il mese scorso è stato pubblicato un nuovo studio GBD e Beef Central lo sta esaminando per verificare se gli errori sono stati corretti”, afferma il professor Ederer.
Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari
Il terzo esempio è il Summit sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite del 2021, che, secondo Ederer, era composto da partecipanti strettamente legati all’iniziativa EAT-Lancet, un altro studio che chiedeva una riduzione della carne rossa e in cui gli autori hanno riconosciuto gli errori senza però apportare correzioni. Un inizio quindi già sbilanciato verso autori prevenuti nei confronti del consumo di carne.
Con fatica si è riusciti a far considerare l’idea che gli allevamenti facessero parte della soluzione, spingendo a chiedere uno sforzo globale per combattere la disinformazione sulla carne. “È legittimo che i singoli individui esprimano le proprie opinioni sugli allevamenti, ma il Summit avrebbe dovuto basarsi su solide prove scientifiche o su soluzioni già esistenti e praticate”, sottolinea Ederer.
Sono tante le fake news che inquinano il dibattito sugli allevamenti zootecnici; ciò che serve è una maggiore integrità scientifica, e non la diffusione di dati falsi o assunti ideologici.