Impariamo qualcosa sulle carni suine e bovine
Cosa ci serve per orientarci nel mondo delle carni suine e bovine? Di sicuro, sapere quali sono i diversi tagli, i metodi di cottura, le caratteristiche principali di questi splendidi prodotti.
Il genere umano senza la carne? Forse neanche esisterebbe, visto che a partire da un milione e mezzo di anni fa, proprio grazie all’apporto nutrizionale della carne, si è iniziato a sviluppare il nostro attuale corredo genetico. Eppure, non conosciamo proprio tutto di questo alimento così importante. A seguire un breve vocabolario per orientarci meglio, tratto dalla pubblicazione L’Umbria delle carni.
Partiamo dalle basi
Tra le diverse tipologie di animali disponibili sul banco del macellaio, troviamo suini e bovini. Per questi ultimi, si tratta di un bovino adulto se l’animale ha dai 12 mesi in poi. Quando è un maschio castrato di età compresa tra 12 e 48 mesi viene chiamato “manzo”. Se invece è una femmina fra 14 e 22 mesi che non ha mai partorito si chiama “scottona” e produce carni tenere e saporite. La bovina che ha partorito, infine, si definisce “vacca”. Poi ci sono il “vitellone”, ossia un bovino di età compresa tra gli 8 e i 12 mesi, dalla carne piuttosto tenera, e il “vitello”, cioè il bovino più giovane, non castrato, di età compresa tra i 5 e gli 8 mesi, dalla carne più tenera di tutte.
Passando ai suini, abbiamo: il maiale sia maschio castrato che femmina, le cui carni hanno una consistenza pastosa con buone quantità di grasso distribuito sia sotto la pelle che intramuscolare; la “scrofa”, cioè la femmina del maiale destinata alla riproduzione, la cui carne è di colore rosso scuro e ha una grana più grossolana rispetto a quella del maschio; il “lattonzolo”, meglio conosciuto come “maialino”, che è il piccolo del suino, nutrito solo con il latte della madre, per questo ha una carne rosata e molto tenera.
Qualità della carne
Le caratteristiche delle carni dipendono dalla razza dell’animale, dalla qualità dell’alimentazione e dalla tipologia di allevamento. Per ogni animale è importante un’alimentazione adeguata, a seconda della fase dello sviluppo. Nei primi mesi di vita i piccoli hanno bisogno di un abbondante nutrimento. Non a caso, subito dopo l’allattamento della madre, gli vengono somministrati mangimi proteici a base di soia, fave, piselli e cereali. Successivamente, inizia la “fase dell’ingrasso” e poi quella del “finissaggio”. In quest’ultima, oltre alla tradizionale alimentazione a base di fieno, per i bovini vengono in genere aggiunti cereali, soia e favino: un’alimentazione che contribuisce a dare alle carni tenerezza e sapidità. Per i suini, oltre a mais e soia, si utilizzano anche orzo e crusca di frumento.
Frollatura
Le carni appena macellate, soprattutto quelle bovine, sono per lo più dure perché dopo l’abbattimento dell’animale i muscoli si irrigidiscono e tendono a perdere liquidi. Si ricorre così alla frollatura, un processo di maturazione spontanea per rendere la carne più tenera. I quarti dell’animale vengono posti in una cella frigorifera a una temperatura compresa tra 0 e 4°C per un periodo di tempo in media di due settimane, oppure di 24/48 ore per le carni economiche o anche di alcuni mesi per quelle particolarmente prelibate e costose.
Modalità di cottura
Durante la cottura è importante salvaguardare la tenerezza delle carni, scegliendo la giusta modalità di cottura e temperatura in base al taglio che si cucina. I sistemi di cottura sono due, a secco e in umido. Fanno parte del primo la cottura al forno, alla griglia, alla piastra e sullo spiedo, ma anche la rosolatura e la frittura: tutti metodi adatti alle carni di animali giovani o che non sono stati sottoposti a uno sforzo fisico.
Invece, fanno parte della cottura in umido la bollitura (la carne è messa a lessare completamente immersa in acqua a 100°C), la brasatura o stufatura (cottura lenta in una casseruola con l’aggiunta di brodo o vino), a bagnomaria (il recipiente della carne è posto in un altro riempito con acqua e messo sul fuoco) e infine la cottura a vapore: sono metodi ideali per tagli più robusti o ricavati da animali macellati in età avanzata. Poi c’è la tecnica di cottura mista, utilizzata per cuocere le carni particolarmente grasse, come lo stinco di maiale, prima stufato in casseruola e poi rosolato all’esterno; oppure quello della porchetta, cotta a vapore e poi rosolata al forno così da rendere la carne ben tenera all’interno e croccante all’esterno.
Termini indispensabili nel vocabolario della carne
L’aroma è dato dall’insieme delle percezioni gustative e olfattive che si sprigionano durante la cottura e la masticazione. Dipende soprattutto dalla quantità e dalla composizione del grasso. Sono migliaia i composti aromatici volatili che sono stati rilevati e identificati nella carne cotta, mentre per quanto riguarda l’aroma della carne cruda vi sono differenze tra le diverse specie animali.
Il colore dipende dalla mioglobina, una molecola contenente ferro, che conferisce ai tessuti diverse tonalità di rosso. Varia a seconda del muscolo, dell’età dell’animale e dell’esposizione all’aria. Maggiore è l’esposizione della carne all’ossigeno, più rosso sarà il suo colore; anche per questo le pellicole con cui viene coperta la carne esposta alla vendita sono realizzate con una tecnologia che permette all’ossigeno di permeare, agevolando il mantenimento del colore salubre. La carne ha invece un colore tendente al marrone o al grigio quando la mioglobina perde l’ossigeno o non è ossigenata abbastanza, come nel caso della carne sottovuoto o di quei pezzi di carne che si anneriscono per contatto con altre fette.
La grana è data dalla fibrosità e dipende dal taglio e dalla qualità. In genere, una carne a grana fine è più tenera – come il vitello, il manzo e il vitellone -, mentre una grana più spessa è tipica delle carni dure, come quella del bue.
L’odore dipende dall’alimentazione dell’animale e dallo stato di conservazione. La carne cruda ha un naturale odore tenue di acido lattico, ma può avere sfumature particolari a seconda della tipologia di animale (di latte per gli animali lattanti, di erbe aromatiche per la selvaggina), se invece è sgradevole è un indicatore di alterazione.
La succulenza è la capacità delle carni di sprigionare una piacevole sensazione di succosità durante la masticazione, un aspetto che dipende dallo stato del muscolo, dal grado di acidità, dalla quantità di grasso d’infiltrazione presente e dal tempo di frollatura, infatti nelle carni di ottima qualità la succosità è persistente.
La tenerezza è tra le caratteristiche principali, infatti più la carne è tenera, più è facile gustarla e digerirla.
I tagli anatomici sono le parti di carne sezionate e si dividono in quelli del quarto anteriore, posteriore o delle parti del collo. Il quinto quarto è l’insieme delle parti meno nobili dell’animale come testa, coda, zampe, interiora e frattaglie, molto usato nella cucina della tradizione regionale.
La marinatura è la procedura che serve a dare sapore e piacevolezza alla carne mediante il contatto con liquidi, succhi e condimenti. Ad esempio, si può bagnare il carpaccio di vitello con succo di limone per circa un’ora o il girello con abbondante vino rosso e spezie.
Ci sarebbero molte altre cose da dire e da imparare sull’affascinante e gustoso mondo delle carni. Ma per oggi ci fermiamo qui.