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La verità sulla “Dichiarazione di Dublino”

Quasi 1200 scienziati sotto attacco da parte di Greenpeace, che considera a torto questo manifesto scientifico redatto da lobbisti dell’industria zootecnica. 

In un recente comunicato Greenpeace Italia ha attaccato la “Dichiarazione di Dublino”, il manifesto sottoscritto da quasi 1200 scienziati per raccogliere evidenze scientifiche della sostenibilità ambientale dell’allevamento, e dei suoi valori socioculturali ed economici, dei benefici nutrizionali della carne e dei prodotti di origine animale, al fine di raggiungere una visione equilibrata e veritiera del futuro della zootecnia, proponendo soluzioni per i numerosi miglioramenti possibili.

Per Greenpeace questo documento sarebbe stato “redatto da lobbisti dell’industria zootecnica per impedire la riduzione del consumo di carne in Europa”. In più, la Dichiarazione sarebbe “nata come una presa di posizione dell’industria della carne, scritta da consulenti del settore agroalimentare e usata da agenzie di pubbliche relazioni e lobbisti per bloccare le politiche europee a tutela della salute e dell’ambiente”. E si aggiunge che “In Italia, in particolare, la Dichiarazione di Dublino è stata ampiamente propagandata da Carni Sostenibili”.

Carni Sostenibili è un progetto di comunicazione basato sulla divulgazione rigorosa di evidenze scientifiche ottenute su basi empiriche. Per essere tale, è necessario che esplori il mondo scientifico, esaminandone le risultanze, pubblicate su riviste internazionali sottoposte al giudizio delle comunità scientifiche, e valorizzandone le attività senza interferire in alcun modo né sulla libertà di ricerca, non essendo ente finanziatore di progetti scientifici, né sui contenuti in quanto attinti ex post dalla letteratura. Inoltre, nello svolgere questo importante compito divulgativo fortemente auspicato dalla Unione europea nella Carta dei Ricercatori, Carni Sostenibili accoglie anche i pareri direttamente rilasciati dagli scienziati, divulgandoli in modo da garantire la loro libertà di espressione e indipendenza da qualsiasi indirizzo redazionale. Si tratta di un “modus operandi” corretto ed universalmente riconosciuto, per giunta praticato da diverse ONG che hanno a cuore l’informazione trasparente per i cittadini.

Il comunicato di Greenpeace, oltre a gettare discredito su una vasta comunità scientifica, composta da docenti di altissimo livello in tutto il mondo, utilizza dati sull’impatto ambientale degli allevamenti in modo parziale, inesatto e decontestualizzato.

Come stanno le cose

Infatti, è proprio sui dati citati da Greenpeace, ripetuti come un mantra, che piuttosto occorrono importanti precisazioni:

1) “I prodotti di origine animale contribuiscono al 18% delle calorie che consumiamo”: affermazione parziale, che omette il contributo complessivo fornito da carne e altri prodotti di origine animale alla nutrizione umana. In effetti, le proteine di origine animale (pesce incluso) rappresentano da sole il 39% dell’apporto totale e il 55% degli aminoacidi essenziali proviene proprio dall’assunzione di questi prodotti.

2) “La produzione della carne impiega l’83% della superficie del mondo”: è un dato abnorme, che non può corrispondere alla realtà. I pascoli e i prati da pascolo (che, tra l’altro, svolgono la funzione di protettori di suolo, biodiversità e della banca del carbonio organico) non rappresentano più del 26% delle terre emerse e del 70% delle terre agricole (e questo solo perché si tratta di superfici sulle quali non si potrebbe praticare alcun’altra attività produttiva senza grave danno per l’ambiente).

3) “La carne rappresenta il 60% delle emissioni dell’agricoltura”: questa affermazione ignora che i dati FAO riportano per l’intero comparto agricolo un contributo alle emissioni di gas climalteranti non superiore al 18% e, per le filiere delle produzioni animali (tutte, tra carni, latte, uova e trazione), una quota diretta del 6%, corrispondente a 1/3 delle emissioni complessive.

4) “Le filiere delle carni rappresentano l’80% delle emissioni di azoto in atmosfera”: si ignora, anche in questo caso, che i fertilizzanti sintetici contribuiscono per circa il 50% all’immissione di azoto negli agroecosistemi e che, in assenza di questi, la metà della popolazione del pianeta non disporrebbe di cibo.

5) Il tema della “deforestazione” da imputarsi alla produzione di carne non viene giustificato da evidenze, senza nemmeno un riferimento al recentissimo regolamento UE per combattere il fenomeno che riguarda, in primis, le produzioni di soia, di legno pregiato, di olio di palma e di gomma.

Le sfide presenti e future

La Dichiarazione di Dublino è inserita in un momento in cui il settore zootecnico mondiale deve affrontare una doppia sfida senza precedenti. Da una parte c’è un appello per aumentare la disponibilità di alimenti di origine animale (carne, latticini, uova e pesce) per aiutare a soddisfare i bisogni nutrizionali di circa tre miliardi di persone a rischio di carenze nutrizionali; dall’altra, i sistemi di produzione animale presentano diverse sfide per quanto riguarda la biodiversità, i cambiamenti climatici e i flussi di nutrienti, nonché la salute e il benessere degli animali. In sintesi, le sfide di approvvigionamento e sostenibilità crescono in modo esponenziale e l’avanzamento di soluzioni basate su prove scientifiche, nell’ambito di un dibattito aperto e libero da ideologie, diventa sempre più urgente.

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.