TOP
ridimensionamento allevamento bovino

Il bove espiatorio

Ormai è chiaro: gli eco-animalisti vogliono far pagare al settore zootecnico le colpe dell’inquinamento di coloro che non sono stati altrettanto virtuosi nella riduzione delle emissioni.

Secondo un articolo apparso su Euractiv, “Prepare for the cow phase-out“, l’Europa si preparerebbe a fare a meno delle vacche per il bene dell’ambiente. Con l’assurdo paragone tra allevamenti e combustibili fossili, in nome della transizione ecologica, l’Europa dovrebbe liberarsi del bestiame allo stesso modo del carbone. In Irlanda, secondo una notizia riportata dall’Irish Independent, il governo starebbe prendendo in considerazione l’idea di abbattere fino a 65.000 vacche da latte ogni anno nel tentativo di raggiungere gli obiettivi climatici del paese. Questo significherebbe un abbattimento di massa di animali ancora in fase produttiva, al fine di ridurre le emissioni di metano. Un’idea inefficace e controproducente. 

A ridosso del voto del Parlamento Europeo sulla direttiva emissioni che, con il parere contrario della Commissione Agricoltura (EP AGRI Committee) e quello favorevole della Commissione Ambiente, prevede di equiparare gli allevamenti bovini di media dimensione alle fabbriche inquinanti, il mondo delle ideologie eco-animaliste sta scaldando i motori con petizioni e attività di lobbying verso gli europarlamentari volte a fare ratificare in aula un provvedimento gravemente dannoso per il clima, l’ambiente in generale e la sicurezza alimentare dei cittadini europei. 

Questo provvedimento normativo è l’anticamera della dismissione dell’allevamento bovino in Europa, settore produttivo che espierà il mancato raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione dei settori energie e trasporti, i veri responsabili degli impatti climalteranti generati dell’uso di combustibili fossili.  

L’inventario EU del 2021 ci informa che il primo settore per emissioni è l’energia (27% del totale EU), seguito dai trasporti (22,5%) dall’industria (22%) e dai consumi residenziali (13%), mentre l’agricoltura si colloca al quinto posto con l’11% che però, se si tiene conto del bilancio dovuto ai sequestri di carbonio delle aree rurali (pari a 230 milioni di t di CO2e) si riduce ad appena il 4%. L’aspetto più rilevante è che la Commissione Ambiente, nel voler forzare la riduzione degli allevamenti bovini, non tenga conto della forte riduzione delle emissioni degli allevamenti europei che dal 1990 al 2020 sono calate del 23% (da 317 a 245 milion di t di CO2e) e che quelle di metano enterico, gas particolarmente sotto accusa, del 22%

Se si tiene conto, oltre che dei sequestri di carbonio, anche delle nuove metriche proposte dai fisici dell’atmosfera di Oxford e dalla FAO che considerano il metano gas a vita breve e pertanto non valutabile in termini di CO2e (la CO2 è un gas a vita lunga), gli allevamenti EU (in primis quello bovino), riducendo le emissioni di metano, non solo non hanno riscaldato l’atmosfera, ma hanno contribuito a raffreddarla per un’entità complessivamente pari a -2,9 miliardi di CO2ew, una mitigazione paragonabile a 1/3 (a che si somma) di quella ottenuta con i sequestri di carbonio da parte di suolo e vegetazione nello stesso periodo.  

Il ridimensionamento forzoso dell’#AllevamentoBovino aumenterà le importazioni di #carne e #latte da Paesi terzi, spostando il problema in aree con allevamenti con efficienze minori di quelle europee. Condividi il Tweet

Questo comportamento del metano, cioè la sua capacità di raffreddare l’atmosfera in tempi brevi se le emissioni sono ridotte, è ben noto ai decisori politici che potrebbero intravedere una scorciatoia al raggiungimento degli obiettivi climatici sopprimendo l’allevamento dei ruminanti invece che vincolare gli altri settori produttivi a piani più severi di decarbonizzazione dai combustibili fossili.  

Il ridimensionamento forzoso dell’allevamento bovino, oltre  e far transitare pericolosamente l’entità di autoapprovvigionamento di proteine nobili sotto il livello di guardia (si deve sempre prevedere una riserva strategica nei casi, già visti, di epidemie o guerre fisiche o commerciali), aumenterà le importazioni di carne e latte da paesi terzi e perciò sposterà il problema in aree con allevamenti con efficienze minori di quella europea (fra le massime al mondo) e pertanto con maggiori impatti per unità di proteina importata. Vi saranno inoltre svariati danni collaterali, fra cui l’abbandono dei pascoli (grandi captatori di CO2), la riduzione di sostanza organica a disposizione dell’agricoltura biologica e la rarefazione delle disponibilità di materia prima per le produzioni tipiche a denominazione di origine. 

Non occorre produrre scenari complicati, ma semplicemente osservare la realtà per rendersi conto che la bovinicoltura europea non è un problema per il clima, ma rappresenta una parte della soluzione. A meno che non si voglia, come sembrano fare gli eco-animalisti, fare pagare ai bovini e ai loro allevatori le colpe dell’inquinamento provocato da coloro che non sono stati virtuosi come lo sono stati (e saranno) gli allevatori europei.  

Presidente Emerito dell'Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali, Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e Presidente dell’Associazione Carni Sostenibili. Fra i migliori esperti globali in scienze animali, è incluso nel 2% di scienziati maggiormente citati al mondo.