FAO, senza allevamenti solo un mondo peggiore
La responsabilità della zootecnia nella produzione di gas climalteranti è modesta, di contro la zootecnia si candida ad essere la soluzione alla crescita demografica mondiale e al contenimento dell’insicurezza alimentare.
L’uomo potrà fare a meno degli animali? La risposta è un no, secco e senza appello. Più d’una le motivazioni, tutte suffragate da evidenze scientifiche. La carne, il latte, le uova forniscono nutrienti indispensabili e non sempre disponibili altrove. Non solo proteine nobili (dove figurano aminoacidi essenziali), ma molti altri nutrienti come vitamine del gruppo B, minerali come zinco e ferro. Tutte cose note. Ma alcuni vorrebbero sostituire gli animali con bioreattori per la coltivazione di cellule o con alimenti iper-processati a base di ingredienti di esclusiva provenienza vegetale.
Tralasciando le implicazioni di carattere economico che si celano dietro questi progetti, chi sostiene la necessità di chiudere gli allevamenti punta il dito sul loro impatto ambientale, sul consumo di suolo, sul dispendio di risorse idriche. Tesi che la scienza sconfessa. Partiamo dall’acqua. Affermare che per produrre un chilo di carne siano necessari 15mila litri di acqua, come alcuni sostengono, è piegare l’informazione a uso di tesi preconcette. In gran parte si tratta di acqua piovana e quella realmente “bevuta” dagli animali torna in circolo con gli alimenti o con gli “esiti” del metabolismo. Nessun consumo, semplicemente un “uso” – come ha recentemente ricordato anche il CREA.
Si afferma poi che il terreno necessario agli allevamenti potrebbe essere utilizzato per colture atte a sfamare l’uomo. Su questo argomento un recente documento della FAO ricorda che nel mondo sono impegnati per l’allevamento del bestiame circa 2,5 miliardi di ettari, la maggior parte dei quali (il 77%) rappresentati da pascoli e praterie che solo in parte possono ospitare colture utilizzabili dall’uomo.
A proposito della concorrenza fra uomo e animali in tema di cibo, occorre poi sfatare alcune false convinzioni. Certo, soia e altri legumi possono essere interessanti fonti proteiche per l’uomo, come pure molti cereali. Ma gli animali ne consumano una minima parte e in cambio ci forniscono aminoacidi e altri nutrienti che quei cibi non contengono. Recenti studi hanno dimostrato che in media sono sufficienti 3 chili di cereali per produrre un chilo di carne. Ma occorre aggiungere che nella dieta degli animali i cereali figurano anche in veste di prodotti che residuano dalle lavorazioni molitorie e alimentari. Grazie agli animali i prodotti secondari (riduttivo chiamarli sottoprodotti) delle industrie del cibo si trasformano da residuo a forte impatto ambientale in prezioso alimento per gli animali. Qualche esempio? Le trebbie di birreria, il melasso che residua dalla produzione dello zucchero, il pastazzo di agrumi che esita dalla produzione di succhi e via elencando.
Nel mondo sono impegnati per l’#allevamento del #bestiame circa 2,5 miliardi di ettari, la maggior parte dei quali (il 77%) rappresentati da #pascoli, #praterie e #terreni incoltivabili. Condividi il TweetI bovini, poi, grazie alla presenza del rumine possono trasformare vegetali indigeribili per l’uomo in proteine, vitamine e minerali che nemmeno erano presenti nel cibo di partenza. Merito di un mirabile processo che si realizza nel loro tratto digerente, riccamente popolato da una straordinaria micropopolazione di batteri e funghi. C’è così la conferma che 0,6 kg di proteine ingerite si trasformano in un kg di proteine di alto valore nutritivo. Numeri destinati a migliorare di pari passo con l’aumento dell’efficienza degli allevamenti, che consentirà ad esempio di ridurre i terreni sui quali coltivare seminativi per la produzione di mangimi.
Come spiega Anne Mottet, Livestock Development Officer della FAO, “si stima che circa l’86% dei mangimi per animali, in sostanza secca, non è attualmente commestibile per gli esseri umani. Questo include erba, paglia, crusca, residui dai semi oleosi… I cereali, che sono commestibili, rappresentano solo il 13% dell’alimentazione del bestiame. Ma questo è circa un terzo della produzione cerealicola globale e questa quota può essere ulteriormente ridotta includendo più cibo che gli esseri umani non possono mangiare. I residui vegetali e i sottoprodotti possono essere utilizzati anche per il combustibile, per la produzione di biogas, per l’edilizia… Ma gran parte di essi sarebbe sprecata, se non utilizzata come mangime per il bestiame. I nostri sistemi alimentari producono sempre più residui, sottoprodotti e rifiuti, e il bestiame ha un ruolo importante nel convertire questi materiali in proteine di alta qualità”.
Grazie a queste prerogative, la zootecnia si candida ad essere la soluzione alla crescita demografica mondiale e al contenimento dell’insicurezza alimentare (eufemismo con il quale si definisce oggi la fame). Un problema che coinvolge almeno due miliardi di persone secondo i dati diffusi da FAO e OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief). Numeri destinati ad aumentare sotto la spinta della crescita demografica. Un problema che potrà essere affrontato anche grazie agli allevamenti. Non mancano gli esempi. In Tanzania e Mozambico sono un punto di riferimento gli interventi del CEFA, che favorendo l’allevamento di bovini ha creato le premesse a un autonomo sviluppo economico e sociale che va di pari passo con la lotta all’insicurezza alimentare.
Quale #CompetizioneAlimentare fra uomo e animali? Circa l'86% dei #mangimi per animali, in sostanza secca, non è commestibile per gli esseri umani (dati #FAO). Condividi il TweetGli allevamenti, obietterà qualcuno, sono però una delle cause delle emissioni climalteranti, dunque il loro numero va ridotto e non aumentato. Anche questa una convinzione da sfatare. Se si calcola la produzione di gas climalteranti prodotti dagli allevamenti e si mettono a confronto con l’anidride carbonica sequestrata dalle coltivazioni per la produzione di alimenti zootecnici, si scopre che il bilancio è a favore degli allevamenti per circa il 10%. Si potrebbe allora concludere che l’allevamento è parte della soluzione al cambiamento climatico e non il contrario. Un beneficio al quale andrebbe aggiunta l’azione migliorativa sulla fertilità dei terreni che deriva dalle concimazioni organiche. Strategica poi l’importanza dei reflui zootecnici per la produzione di energie rinnovabili.
Restando sui temi ambientali, non va dimenticato che l’allevamento rappresenta per molte aree marginali una delle poche opportunità economiche per evitare l’abbandono da parte dell’uomo. Accade anche in Italia, dove la crescita delle aree boschive coincide con la chiusura degli allevamenti. Sovente si tratta però di una crescita disordinata, priva di quella manutenzione che la presenza dell’uomo e degli animali può garantire. Aumentano così i rischi di incendi e di degrado. Anche questa una conferma che un mondo senza allevamenti, dunque, sarebbe solo un mondo peggiore.